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 2014  novembre 19 Mercoledì calendario

PELLIELO: «SPARO E PREGO PERCHE’ CI CREDO»

Spara. E il piattello si infrange. Medaglia di bronzo a Sydney 2000, argento ad Atene 2004 e a Pechino 2008: quando Giovanni Pellielo gareggia, non è la scena di uno spaghetti western, non c’è tempo per romanzare, né lui veste da cowboy. Quando Johnny prende la mira sbriciola con regolarità quel bersaglio mobile, neanche fosse il titolo di un film.

Lei si è già qualificato per la sua settima Olimpiade, ma che momento attraversa il vostro sport?

Positivo. Abbiamo 800mila praticanti, di cui 30mila agonisti, con 556 società. Le regioni leader sono Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna. E i poligoni più importanti sono a Lonato (Brescia), a Ponso (Padova) e a Montecatini Terme.

Lei debuttò a Barcellona ’92. Le manca solo il titolo olimpico…

Vedremo come andrà a Rio de Janeiro tra due anni. Teoricamente potrei reggere fino a Tokyo 2020: allora avrò 50 anni, non mi pongo limiti. Valuterò assieme al ct Albano Pera.

Il fucile pesa 3 chili e 700 grammi. Per iniziare serve il porto d’armi?

No, pensano a tutto i centri di avviamento allo sport, mettendo a disposizione armi e istruttori. Bastano 50 euro l’anno per tessera e assicurazione. E per ogni serie di 25 piattelli si pagano 5 euro, altrettanto per le cartucce.

Qual è il bello del tiro a volo?

Può essere praticato da chiunque, non ha veramente età e questo è il massimo: in gara esistono anche 80enni agguerriti. Si può sparare in giacca, cravatta e camicia, e la campagna è il posto migliore. Rappresenta un bello stacco rispetto al lavoro, alla routine quotidiana. Sono sufficienti cuffie per attutire il rumore e magari il giubbino per le competizioni.

Esiste il rischio di fare un uso sbagliato delle armi?

Una volta avviato il percorso tecnico, si richiede il porto d’armi per uso sportivo: è una sorta di carta di credito, forma di rispetto verso chi incontri per strada. Occorre essere incensurati, le visite mediche sono accurate, per cui il nostro mondo è popolato solo da persone perbene, tant’è che siamo all’ultimo posto nelle classifiche degli incidenti.

A quando risale il suo primo sparo?

Iniziai tardi, appena maggiorenne. Da bambino ballavo, a 8 anni ero campione d’Italia di categoria e continuai sino a 17.

Pensi che a 19 anni Jessica Rossi aveva già vinto l’oro europeo e mondiale…

Sempre nella fossa olimpica. Già, potrebbe essere mia figlia, visto che ho 43 anni e lei 22. Siamo amici, come con gli altri compagni di squadra.

Non ha avuto una grande stagione, è rimasta fuori da tutte le finali, eppure mette sempre grande impegno.

Quanti colpi ha sparato in carriera?

La media è di 50mila l’anno, dunque oltre un milione, considerato che gareggio dal ’90. Forse è anche per questo che amo il silenzio.

In questo sport esiste il doping?

Per me il doping sono le bistecche di mamma Santina. All’Acquacetosa ho fatto gli esami, sono risultato grasso, del resto peso 90 chili, per uno e 76 di altezza. Se facessi uso del Gh, ovvero dell’ormone della crescita, sarei più magro… Nel nostro sport le sostanze proibite non servono.

Dov’è più popolare la vostra disciplina?

Nei paesi arabi, in Kuwait e a Dubai sarei straricco. Il pubblico massimo a una mia gara sono stati i 5mila spettatori di Atene, 10 anni fa.

Quanto ha guadagnato in tutto?

Ho sempre vissuto bene, mi sono comprato la casa. Ho due auto, una Polo e il Suzuki Vitara.

Che differenza rispetto al calcio e alle sue degenerazioni…

Ecco, ritengo che i fucili vadano usati solo in gara. Penso alla morte del tifoso napoletano Ciro Esposito, a Roma. Mostrare le immagini di armi negli stadi per i giovani diventa motivo di imitazione, ha un effetto negativo autogeno. Guardando quanto male si fa, si generano mentalità aggressive, con effetti devastanti.

Lei poi è noto per essere l’azzurro più credente…

Al punto che dopo un pellegrinaggio a Lourdes mi sono fatto costruire una cappella in casa. Bisogna crearsi i propri spazi, perché Gesù venga a visitarli. Viviamo in questo frastuono che consuma tutto così velocemente e allora occorre scavare a fondo per cercare la fede. Dentro di noi.

Ma a casa Pellielo a Vercelli si celebra Messa?

Certo. Vengono preti da ogni luogo, a partire dal custode del sacro convento di Assisi.

Lei viene da una famiglia di grande fede?

Non eccessivamente. O almeno non la esternano, in casa nostra non c’è mai stato bigottismo. Io pure credo, ma con i piedi per terra, non sono fra le persone che recitano 800 rosari. Cerco di avvicinare le opere alle parole, la preghiera dal cuore al fare.

Fa beneficenza, dunque?

Aiuto il prossimo. Tutti faticano, anche chi è vicino ha bisogno di essere consolato. In fondo lo diceva pure padre Pio, quando Cleonice Morcaldi, sua figlia spirituale, gli asciugava la fronte: persino il frate cappuccino diventato poi santo aveva piacere ad essere consolato. C’è una solitudine forsennata, fuori e dentro di noi.

Tanto più che un anno fa lei ha perso papà Ugo...

È cambiato ancora qualcosa. Avevo visto tanti soffrire per un lutto, in realtà io non li capivo veramente, adesso sì. Sono single, mi restano due fratelli: Mario, 50 anni, e Angelo, 56.

Le capita di essere irriso per la sua fede?

Non è un problema mio. Quello è un atteggiamento che si ritorce contro chi lo ostenta.

Che differenza, la sua pacatezza rispetto all’esuberenza di Mario Balotelli e Valentino Rossi…

Onestamente mi sono simpatici. Nella vita hanno sofferto molto, eppure portano questa bella maschera. Devono sembrare quel che non sono, non dev’essere tanto piacevole.

Che messaggio si sente di dare al premier Renzi e ai politici?

Li inviterei a calarsi maggiormente nella realtà quotidiana, a non vivere su un piedistallo lontano. A compiere uno sforzo, magari dimezzandosi lo stipendio. Con quella cifra risparmiata, si potrebbero fare assumere tanti italiani in più nelle nostre aziende.

Di questo Papa che opinione ha?

Mi affascina per quanto dice, peraltro il suo credo è molto difficile da attuare, soprattutto l’invito ad essere Chiesa povera per i poveri. Io sono fiero di essere cattolico, ma dovremmo tutti vivere di più la fede.

Ha mai pregato per vincere?

Non direttamente. Si vince per aspirare a migliorare se stessi, non per distruggere gli avversari.

Ha conosciuto gli altri sportivi così religiosi?

L’ex calciatore Nicola Legrottaglie, ma prima che manifestasse la sua conversione. E ho letto del pallanotista Alex Giorgetti. Quando mi invitano per raccontare la mia storia, vado sempre volentieri, neanche chiedo i rimborsi spese.

Quando è sbocciata la sua fede?

Nel 2000 venni premiato con il Discobolo d’oro in Vaticano, dal cardinale Camillo Ruini. C’era anche Giovanni Paolo II, mi prese le mani, guardò diritto i miei occhi e per due volte disse: «Vai avanti». Si rivolse solo a me, ricorderò sempre quel-l’istante. Mi ha cambiato per sempre.