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 2014  novembre 18 Martedì calendario

Gioco d’azzardo per Sette - L’ultimo studio Ipsad sostiene che i “giocatori problematici”, cioè quelli che rischiano di sviluppare disturbi psicosomatici e dipendenze compulsive, sono l’1,6% (erano lo 0,6% nel 2007 e l’1,3 nel 2010)

Gioco d’azzardo per Sette - L’ultimo studio Ipsad sostiene che i “giocatori problematici”, cioè quelli che rischiano di sviluppare disturbi psicosomatici e dipendenze compulsive, sono l’1,6% (erano lo 0,6% nel 2007 e l’1,3 nel 2010). Si tratta di 256mila persone sui 16 milioni di italiani che, almeno una volta, si sono affidati alla fortuna. Il 78% ha tra 15 e 34 anni, il resto tra 45 e 64 anni. In Italia: 3.472 Gratta e Vinci acquistati ogni secondo, 32.243 euro al minuto giocati alle slot, 70 milioni di euro al giorno puntati sul Bingo, 2,2 miliardi l’anno affidati all’estrazione del Lotto, 4 miliardi alle scommesse sportive, 10.229 punti sparsi sul territorio per i concorsi pronostico, 5.657 spazi dedicati alla raccolta delle puntate sull’ippica, 7.059 attività dove piazzare almeno una scommessa sportiva, 33.624 ricevitorie del Lotto, 65.321 punti dove acquistare un tagliando della lotteria. Azzardo deriva dall’arabo az-zahr, che significa dado. Gli italiani ogni anno trascorrono 491.667.000 ore davanti alle macchinette, sui poker online, a comprare Gratta e Vinci e così via. Nel 2013 il gioco d’azzardo in Italia ha movimentato 84 miliardi e 728 milioni di euro. Gli italiani nel 2013 hanno perso, giocando d’azzardo, circa 17 miliardi di euro. Nei primi otto mesi del 2014 le entrate erariali relative ai giochi sono state pari a 7.716 milioni di euro (+36 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Marco Baldini ha lasciato il programma radiofonico Fuoriprogramma con Fiorello. Motivo: «Non sono più in grado di garantire un buon livello di professionalità». E’ perseguitato dai creditori. I debiti li ha fatti giocando, anche se ha smesso dal 2008: «Nel 2011 ho perso il lavoro. Per due anni sono stato fermo perché Fiorello era fermo. E lì i debiti sono aumentati perché non avevo entrate. Ora non riesco più a far fronte a tutto». Un rimpianto: «Era l’aprile del 1991. Avevo 40 milioni di lire di debito. Valerio, un amico di Cecchetto, me li ha prestati. Metà li ho usati per i debiti, metà li ho giocati. Da lì è nata tutta la tragedia. Quella è la pallina di neve che è diventata valanga. L’errore più grande della mia vita». «Mi urlarono in faccia di scavarmi la fossa. Una buca dove sotterrarmi. La scampai solo per caso e in quel momento presi la mia decisione. Basta con quella vita, con il gioco, con gli strozzini e con i debiti. Perché tanto, con l’azzardo, non si vince mai» (Marco Baldini nel 2005). Identikit del giocatore patologico: maschio (80%), età tra 40 e 50 anni, di solito lavoratore autonomo (73% contro il 27% di dipendenti), quasi sempre fumatore (90%). Perché chi è in difficoltà economiche si mette a buttare i soldi nei giochi o chiede prestiti a tassi impossibili? Secondo ricercatori dell’università di Chicago perché, quando si è in affanno, i problemi appaiono più pressanti e le spese più urgenti. Questi pensieri prendono il sopravvento, consumando le energie di cui si avrebbe bisogno per compiere scelte razionali. Secondo uno studio dell’università del Massachusetts General Hospital, l’eccitazione che prova il giocatore d’azzardo per una vincita attiva le stesse aree del cervello che si accendono quando un tossicomane assume cocaina. Dice il Codacons che in Italia i costi sociali legati al gioco «sfiorano 7 miliardi di euro» e un solo giocatore patologico costa allo Stato 38mila euro annui. Gli eunuchi dell’antica Cina, come tutti i cinesi accaniti giocatori, quando erano a corto di denaro o in forte perdita, davano i loro genitali come posta con l’intenzione di riscattarli in caso di vincita. In caso di morte, le famiglie di un eunuco che si fosse giocato gli attributi avevano il dovere morale di ritrovarli prima di seppellirlo oppure di comprarne un paio al mercato nero. Nei ridotti della Scala si giocava d’azzardo: Mozart vi imparò il “Mercante in fiera” e anche Alessandro Manzoni era solito dilapidarvi consistenti somme di denaro. Nel 1786 l’imperatore Giuseppe II cercò di arginare il fenomeno vietando il gioco d’azzardo in teatro: i palchettisti continuarono a giocare, sostenendo che altrimenti gli spettacoli ne avrebbero sofferto. La Lex Alearia, di epoca repubblicana, che elencava i giochi proibiti: capita aut navia (testa o croce, la moneta più adatta a questo gioco aveva incise la prua di una nave e la testa di Giano), tali (astragali), tesserae (dadi), digitus micare (morra), parva tabella lapillis, ludus Latruncolorum (sorta di dama che richiedeva l’uso di scacchiera e pedine), duodecim scripta (dodici righe, richiedeva anch’esso l’uso di scacchiera e pedine). Una delle attrattive delle locande pompeiane erano i giochi d’azzardo, proibiti dalla legge, al pari delle scommesse. I più diffusi: gli “astragali”, ossicini del piede di un ovino che, una volta lanciati in aria, dovevano essere ripresi con il dorso della mano (chi non riusciva a prenderli tutti, doveva raccogliere quelli a terra senza far cadere quelli in equilibrio sulla mano); i dadi, in osso, numerati da uno a sei, venivano lanciati in terra da un bussolotto (“fritillus”), vinceva chi avesse ottenuto il punteggio più alto, o chi avesse puntato sul risultato pari o dispari dei numeri usciti (secondo il gioco romano “par et impar”). Dadi ritrovati a Pompei che sul lato opposto al 6 presentano una piccola cavità dove i bari erano soliti nascondere un pezzetto di piombo. “Sic, ne perdiderit, non cessat perdere lusor” (così ai dadi il giocatore perdente per non restare in perdita continua a perdere) (Ovidio). Il gioco del Lotto, nato a Genova nel 1576, a Roma fu proibito come gioco d’azzardo fino al Settecento. Fu papa Clemente XI Albani a consentire la prima estrazione, la mattina del 17 settembre 1703 nel cortile di palazzo Pamphilj a Piazza Navona. Sul palco sedeva un giudice notaro, due orfanelli di Santa Maria in Aquiro cavavano i bussolotti, letti al pubblico da un certo Mattia Matto (nome di fantasia per indicare che quel gioco era una follia). Papa Innocenzo XIII mantenne il gioco, messo al bando dal successore Benedetto XIII «perché ingiusto e iniquo». A partire dal 1732, Clemente XII lo autorizzò definitivamente a Roma e in tutto lo Stato pontificio, con scomunica per chi avesse giocato all’estero. L’estrazione fu spostata sulla piazza del Campidoglio, nove volte l’anno, le entrate furono utilizzate per fini culturali come l’ampliamento della biblioteca Vaticana. Sotto Clemente XIV, nel 1740, comparvero i botteghini (o “raccoglitori di lotti”), piccole botteghe distribuite nelle piazze principali. Per avere i numeri al lotto, alcuni romani si raccomandavano a san Pantaleone (lasciandogli la finestra aperta con carta, penna e calamaio sul davanzale). Altri, invece, salivano in ginocchio gli scalini dell’Aracoeli, di notte, recitando avemarie ai Re magi. Sotto Gregorio XVI (tra il 1836 e il 1845), chi giocava al lotto si raccomandava al frate cappuccino Pacifico, che aveva la virtù di fornire i numeri vincenti e sbancare il Lotto. Avvisato dai gestori del gioco, il papa spedì il frate in un convento fuori Roma, lui si congedò con una cantilena: «Roma, se santa sei, perché crudele se’ tanta? Se dici che se’ santa, certo bugiarda sei!». Con questi versi consigliò i numeri 66, 70, 16, 60 e 6: uscirono tutti, sbancando il lotto. Dostoevskij finì con lo sposare la giovane stenografa che stese sulla carta le pagine del romanzo Il giocatore (1867). Molti cambogiani vanno a pregare sulla tomba di Pol Pot per avere i numeri fortunati da giocare al Lotto. Secondo gli abitanti della zona il leader dopo la morte è diventato lo spirito guardiano delle montagne Dangrek, può guarire gli ammalati e aiutare la fortuna al gioco (infatti nelle vicinanze della sepoltura è stato costruito un casinò). «Ero al casinò tutte le sere, bruciavo il fido concesso ai giocatori abituali in pochi minuti, poi arrivavano gli strozzini, quelli che ti chiedono un 10% di interesse al giorno. Una sera a Venezia stavo per suicidarmi. Ho dovuto vendere tutto quello che avevo comprato: un albergo, una fattoria con 20 ettari, una società orafa, le case. Quella sera ho capito che il gioco d’azzardo è il mio nemico più pericoloso» (Pupo). Katia Ricciarelli, per colpa del gioco, ha visto naufragare il matrimonio, lungo 18 anni, con Pippo Baudo. Il quale racconta: «Eravamo in tre: io, Katia e il demone del gioco. Anche il 19 novembre, in piena separazione, lei era a Montecarlo a giocare grosse somme». Mara Maionchi bandita, su sua richiesta, da tutti i casinò: «Fatti due conti e visto che spendevo tutto quel che mi entrava, ho mandato una lettera autografa nella quale chiedo che mi si tenga fuori da tutti i casinò nel caso mi dovessi presentare. È una procedura poco nota, ma c’è. Ora sono nel loro schedario». Charlie Sheen, secondo quanto riferito dalla ex moglie Denise Richards, arrivava a scommettere fino a 20mila dollari a settimana sugli eventi sportivi. Pamela Anderson si è dovuta addirittura sposare nel 2007 con Rick Salomon, amico di vecchia data cui doveva 250mila dollari a causa delle perdite col poker. Un’indagine nazionale rivela che in Italia almeno 800mila bambini e adolescenti fra 10 e 17 anni (ovvero il 20% del totale) giocano d’azzardo. Quattrocentomila bimbi fra 7 e 9 anni hanno già impegnato la paghetta con lotterie, scommesse sportive e bingo. Tanti giocano usando computer e tablet, dato che la metà dei genitori (51,3%) non usa filtri e limitazioni per i figli. Quelli che spendono più di tutti nei giochi d’azzardo risultano gli australiani con oltre 1.000 dollari a testa annui, segue Singapore con circa 900. Poi i finlandesi superano i 600 e a seguire neozelandesi, statunitensi e italiani, attestati attorno a 450 dollari. Pavia, la città italiana dove, secondo le statistiche, è più alta la spesa pro capite per l’azzardo. C’è una slot machine ogni 136 abitanti, la più alta densità d’Italia. Il denaro gettato nelle scommesse equivale qui al 7,8% del prodotto lordo locale, pari a oltre 2.800 euro all’anno a testa.