Luciana Grosso, pagina99 15/11/2014, 15 novembre 2014
TABAGISTI INVOLONTARI
Se non si sono compiuti i 18 anni, in America, non si possono comprare né fumare sigarette. Legale è invece lavorare 12 ore al giorno nei campi di tabacco, a 14 anni o anche meno se accompagnati dai genitori.
Il lavoro nei campi di tabacco è il settore in cui si concentra la stragrande maggioranza del lavoro minorile d’America: una manovalanza strana, quasi completamente straniera e clandestina, in arrivo dal Messico e dall’America Latina, che affolla i campi degli Stati della Tabacco Belt, la cintura del tabacco: North Carolina, Kentucky, Tennessee e Virginia.
Da qui viene il 90% del tabacco americano e, per diretta conseguenza, qui si concentrano i bambini lavoratori. Nelle giornate tipo, ragazzini di 13 anni o poco più raccolgono e imballano migliaia di foglie, si caricano le balle in spalla e, poi, le impilano nei magazzini. Mentre lo fanno, fumano 50 sigarette al giorno, anche se non ne accendono nemmeno una.
A rivelarlo è Human Rights Watch che, nel report pubblicato lo scorso maggio, I bambini invisibili del tabacco, stima che ogni bambino che lavora in una piantagione inali 53 microgrammi di nicotina al giorno (laddove una Marlboro Rossa ne contiene 0,8).
Realizzato dalla ricercatrice Margaret Wurth, il report di Hrw raccoglie, più che dati e numeri (quasi impossibile averne, perché per quanto legale la presenza dei bambini nei campi è comunque volatile, spesso clandestina o solo temporanea), le testimonianze di chi, invece di andare a scuola, va a lavorare: 191 tra bambini e minorenni, tutti tra i 13 e i 17 anni, a cui è stato chiesto di raccontare la propria storia per comporre il quadro del lavoro nei campi. Il ritratto che ne è uscito è desolante.
Non solo perché quasi nessuno di loro ha finito o finirà gli studi, non solo perché lavorano e vivono in condizioni di povertà, ma anche perché l’unica strada che si presenta loro per uscire dal niente in cui vivono rischia di minare per sempre la loro salute: maneggiano strumenti pericolosi e taglienti, inalano tutto il giorno diserbanti e pesticidi e, come se non bastasse, hanno a che fare con la nicotina. La stessa nicotina presente nelle sigarette cui l’America ha dichiarato una guerra senza quartiere, proibendole ovunque, viene respirata dai suoi più giovani lavoratori, senza nessuna forma di sicurezza, nessuna mascherina, nessuna tutela.
In base alle testimonianze raccolte nel report, tre quarti dei bambini intervistati dicono di aver provato, almeno una volta nella vita, i sintomi di avvelenamento da nicotina, una sindrome conosciuta anche come “Malattia del tabacco verde” che dà vomito, perdita di appetito, vertigini ed eruzioni cutanee di vario tipo. E poi c’è il fattore dipendenza, per effetto del quale questi giovani, di fatto, sono fumatori.
Effetti sociali e sanitari, quelli denunciati, rispetto ai quali era difficile rimanere indifferenti e la cui eco ha raggiunto almeno in parte l’effetto desiderato, tanto che la Philip Morris International ha annunciato che, dallo scorso cinque novembre, si impegna a comprare solo tabacco coltivato da imprese che assicurano il rigido rispetto delle regole sul lavoro minorile, escludendo i più giovani dalle mansioni pericolose o nocive.
Luciana Grosso