Lanfranco Vaccari, SportWeek 15/11/2014, 15 novembre 2014
LA SIMULAZIONE È COME UNA SCOREGGIA
Dopo la prima fase di Brasile2014, il Wall Street Journal ha rivisto tutte e 32 le partite per assegnare un premio alla nazionale con i migliori cascatori. Ha contato 302 episodi teatrali, con giocatori che si rotolavano nel dolore, giacevano in posizione fetale o si accasciavano a terra immobili, consumando in totale 132 minuti – solo in nove casi è stata necessaria la sostituzione per infortunio. Primi: nella classifica degli “infortuni”, il Brasile con 17 e, in quella del “tempo di contorcimento”, l’Honduras con 7’40” (l’Italia era 22ª a pari merito nella prima, con 7, e terz’ultima nella seconda, con 1’36”).
Gli americani considerano la simulazione un elemento essenziale del calcio – e il principale motivo per deprecarlo. Ne fanno (addirittura) una faccenda di carattere nazionale: «Noi cerchiamo di fare tutto in modo equo, siamo fatti così», ha detto Tab Ramos, vice di Jürgen Klinsmann sulla panchina della nazionale Usa. Invocano un codice d’onore non scritto: «Dobbiamo fare attenzione che nella Nhl non comincino a comportarsi come quella ridicola gente del calcio», ha detto Don Cherry, una leggenda dell’hockey canadese. «I tuffi minacciano la cultura della Nba e della Nhl», è il preoccupato titolo di un lungo pezzo su Breitbart, un sito ultraconservatore.
E se c’è da trovare un colpevole, sanno dove trovarlo: «Vlade Divac è stato il Padre dei Cascatori nella Nba», ha scritto Dan Bickley, commentatore dell’Arizona Republic.
Si raccontano una favola.
Il basket ha cominciato a fare i conti con i simulatori nel novembre 1928, quando si cercò di limitare gli effetti di una minacciosa novità chiamata the dribbler (il portatore di palla che si scontra di proposito con chi lo marca per ottenere un fallo). Nei Celtics a cavallo degli Anni 50 e 60 c’era una guardia di nome Frank Ramsey: il 9 dicembre 1963 firmò su Sports Illustrated un articolo intitolato “Le brillanti mosse di un maestro dell’inganno”, spiegando come si inducono gli arbitri a fischiare. E nella top3 dei cascatori in attività ci sono, secondo il sito The Richest, LeBron James, Dwayne Wade e Chris Paul, che guadagnano in media 19 milioni di dollari a stagione. Due anni fa la Nba ha introdotto le multe per flopping, cinquemila dollari e multipli per violazioni ripetute. Troppo esigue: contarci per cambiare il comportamento dei giocatori, ha detto l’allora commissioner David Stern, «è permettere alla speranza di trionfare sulla ragione». Adesso la Nhl sta ripercorrendo la stessa strada, multando quello che chiama embellishment (la reazione esagerata a un fallo): a fine di ottobre ne sono stati sanciti uno ogni 8,6 partite quando in tutta la stagione scorsa la media è stata di uno ogni 23,7. «È diventato un problema», ha ammesso Colin Campbell, uno dei capi della Nhl: «Si capisce che i giocatori cerchino fischi a loro favore, però si è passato il limite». Ci si sta avvicinando anche la Nfl, dove si sta scoprendo che qualche squadra (i New York Giants, i Chicago Bears) finge infortuni per rallentare gli avversari. Ma sono crociate con poche (o nessuna) possibilità di successo. Come ha scritto Jason Conception su Grantland, «la simulazione sta allo sport come il peto all’essere vivi: è disturbante, ridicola e a volte imbarazzante; ma comunque una realtà». E non c’è modo di arginarla.