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 2014  novembre 18 Martedì calendario

LA SCOMMESSA DEI NUOVI RICCHI DI WALL STREET

Com’è andata la settimana? Per quasi tutti noi, la risposta è: senza infamia e senza lode. I miei ultimi sette giorni, per esempio, sono stati occupati da beghe, piccole vittorie quotidiane e il sollievo di qualche progetto a più lungo respiro.
Ma per 78 uomini e donne, la settimana scorsa è stata l’inizio di un’ altra vita. Mi riferisco al piccolo plotone di banchieri, traders e specialisti della finanza che è stato promosso al rango di «partner» a Goldman Sachs, la posizione più alta nella banca d’affari.
Ai magnifici 78, buona fortuna, o come dicono ai nuovi assunti a Goldman: «Don’t screw it up», «Non rovinate tutto». Al resto di noi, soprattutto quelli che hanno avuto una settimana così così, spetta riflettere sul simbolismo e la sostanza della decisione. Come spesso accade, il mondo della finanza guarda a Goldman per prendere atto del suo stato di salute, prestigio e valore sociale.
La scelta dei nuovi partner non è un’eccezione. La Wall Street che si specchia nei 67 uomini e 11 donne ha le rughe della crisi finanziaria, problemi economici creati da nuove regole e patemi d’animo per il suo ruolo in una società americana sempre più in tumulto.
Incominciamo, però, con le buone notizie. Diventare partner a Goldman significa far parte di un club esclusivo - il titolo è conferito a meno del 2 per cento degli impiegati, e solo ogni due anni -, con la responsabilità di guidare la banca più famosa, invidiata e copiata del mondo. Ma è anche un biglietto solo andata verso soldi, fama e prestigio.
I partner di Goldman guadagnano un salario annuo di almeno 900.000 dollari ingigantito da bonus principeschi. E avere il famoso rango sul curriculum è una garanzia di futuro impiego in altre banche, hedge funds e persino nel governo degli Stati Uniti (che i critici di sinistra spesso chiamano «Government Sachs» per la presenza pesante di ex partner).
Il bello, per i nuovi arrivati, è che la promozione non porta con sé i pericoli di una volta. Quando Goldman era una «partnership», una società a nome collettivo, i partner mettevano a rischio il proprio capitale: se la banca perdeva soldi, i partner erano i primi a rimetterci. Ma dal 1999 quando Goldman si fece quotare in Borsa, gli azionisti e i creditori hanno assunto il ruolo di rete di sicurezza dalla società.
Goldman mantiene il titolo come status symbol, un marchio Doc di appartenenza all’élite della finanza. Ho parlato con uno dei 78 mercoledì sera, a poche ore dall’annuncio, e mi ha detto di essere stato sommerso da email di congratulazioni: centinaia di missive elettroniche nello spazio di pochi minuti, molte da gente che non sentiva da anni. Quando gli ho chiesto se si sentiva diverso, ha scosso la testa dicendo che poco o niente sarebbe cambiato nella vita e nel lavoro da giovedì mattina.
Fa bene a tenere i piedi per terra. La crisi finanziaria è a soli sei anni di distanza e sono ancora presenti molti dei problemi che fecero delle banche in generale, e di Goldman in particolare, il nemico pubblico numero uno.
Per ora, l’astio nei confronti dei professionisti della finanza - quell’astio che portò il Congresso a passare regole dure e spinse ragazzi arrabbiati a creare Occupy Wall Street - è stato placato da un’economia in ripresa, un mercato azionario in grande spolvero e riforme serie portate avanti dalle banche.
Gli eccessi, se ci sono, si vedono meno. Anche a New York, la ricchezza non è più ostentata come una volta. Meno bottiglie di Krug, meno Bentley parcheggiate fuori dalle discoteche, meno feste di compleanno stile Versailles. E quasi tutti i banchieri con cui parlo premettono che non ci deve lamentare perché nel loro mestiere si guadagna più che in altre industrie.
I regolatori ci hanno messo del loro, impedendo alle banche di prendere parte in attività che in passato avevano portato a problemi sia finanziari sia sociali: grandi rischi ricompensati da grandi bonus che spesso incoraggiavano i traders a prendere rischi ancora più grandi, mettendo a repentaglio miliardi di dollari (vedi alla voce: Kerviel, Jerome).
E’ per questo che Zuccotti Park - il quartiere generale di Occupy a pochi passi dal quartier generale di Goldman - non è più occupato, che la gente comune si sta preoccupando di altro (il virus Ebola, l’arrivo di Bradley Cooper sul palcoscenico di Broadway; la forma penosa dei New York Knicks ecc.) e che i banchieri stanno vivendo sonni abbastanza tranquilli.
Ma attenzione a dare per scontato questo momento di pace. Sotto la superficie, Wall Street è tutt’altro che tranquilla. Le nuove regole del gioco del dopo-crisi stanno creando difficoltà enormi per le banche. Senza la possibilità di prendere rischi con i propri soldi - e di amplificarne i guadagni usando enormi quantità di debito - gli utili delle banche stanno soffrendo e gli investitori se ne sono accorti.
Le azioni di Goldman valgono quasi il 20% di meno di prima della crisi. E anzi, Goldman sta andando meglio di molti altri rivali. Le azioni di Citigroup valgono un decimo di prima della crisi. Le banche stanno tagliando i costi come e quando possono - impiegati, uffici, viaggi - e non è un caso che Goldman abbia promosso solo 78 partner, una delle classi più piccole dal 1999. Ma i mercati finanziari non sono sicuri che basterà.
Non sono convinti che Goldman e compagnia abbiano delle strategie che gli permetteranno di fare soldi a lungo termine e sopravvivere in una giungla finanziaria che è stata completamente trasformata negli ultimi sei anni.
Quando brindano, discretamente, alla loro nuova vita, i 78 partner di Goldman dovranno sperare di non essere tra gli ultimi membri di una specie in via d’estinzione.