Massimo Oriani, La Gazzetta dello Sport 16/11/2014, 16 novembre 2014
FELDEINE, L’ARMA NON PIU’ SEGRETA
La pioggia battente e i tuoni rimbombano nel vuoto del Pianella. E’ appena finito l’allenamento e James Feldeine si infila una felpa. Fa sempre freddo nello scatolone di Cucciago. Stasera al Forum, nel derby contro Milano, beh, altro clima, altra storia.
Feldeine, Sacripanti l’ha definita il faro della squadra. Si riconosce in questo ruolo?
«Sicuramente, perché sfrutto la mia esperienza in Acb e nelle ultime due estati con la nazionale dominicana. Siamo una squadra con molti giovani e io posso aiutarli. Coach vuole che lo faccia, mi sento un allenatore in campo e li critico molto, ma per il loro bene. In particolare cerco di stimolare Buva. Mi piace tantissimo e ha tutto per diventare un giocatore fantastico tra un anno, basta che se ne renda conto».
Che differenze ha notato tra il campionato spagnolo e la serie A?
«Moltissime. Nella Acb si gioca un basket più tattico, ragionato e poi non ci sono così tanti americani. Qui c’è più libertà ed è un bene per me perché si adatta meglio alle mie caratteristiche. In Spagna spesso ero frustrato dal sistema di gioco»
Avete fatto tanta fatica in difesa ad inizio stagione, ora state crescendo molto sotto questo aspetto.
«Ho saltato tutto il precampionato e penso che il fatto d’aver giocato 30’ a partita al rientro abbia condizionato la squadra perché ero indietro nella conoscenza del gioco, non ero ancora integrato. Ma gara dopo gara continuiamo a migliorare, anche in attacco».
Dove può arrivare l’Acqua Vitasnella?
«Dobbiamo innanzitutto vincere almeno 3 partite in Eurocup per passare il turno. In campionato non avremo problemi, siamo una delle squadre più forti. Puntiamo ad entrare nelle Final Eight e ai playoff, poi si vedrà».
Sa cosa vuole dire il derby con Milano per Cantù?
«L’abbiamo già affrontata in preseason ma ora si fa sul serio. Ne ho giocati con il Fuenlabrada contro il Real, capisco l’importanza. Spero di trascinare i compagni e indicargli la strada verso la vittoria» .
E’ cresciuto a Washington Heights, quartiere newyorchese tristemente conosciuto anche come Crack City. Come è riuscito a stare lontano dalla droga e dalla violenza?
«Grazie a mio fratello maggiore, David, che mi ha fatto da padre, visto che sono cresciuto senza un papà. Lui giocava a basket e io volevo solo imitarlo. Tutti i giorni dopo scuola passavamo ore ed ore sui playground. Mi ha tolto da un quartiere difficile, gliene sono grato. Quando sono andato al college lui ha smesso, lasciando che fossi io la faccia della famiglia per quanto riguarda lo sport».
A proposito di playground, ha segnato 50 punti in una partita contro Kemba Walker, play di Charlotte e Brandon Jennings, ex romano, oggi a Detroit, tutti e due della Nba.
«Di solito non mi piace quel tipo di pallacanestro, si guarda troppo allo showtime e poco alla sostanza. Ma mi hanno invitato, c’era un sacco di gente e ci sono andato, finendo col segnare 50 punti».
Come nasce il soprannome Secret Weapon (Arma Segreta)?
«E’ il mio nome per lo streetball. Da ragazzino non ero conosciuto a New York, dopo il college (Quinnipiac, un piccolo ateneo del Connecticut, ndr.) la mia popolarità è cresciuta e così mi hanno affibbiato questo nickname» .
Tifoso Knicks?
«No, non ho una squadra. Seguo le partite dei miei migliori amici, Kemba Walker, ora con gli Hornets ed Edgar Sosa, a Sassari. Non mi resta molto tempo per vedere altro».
Anche lei da bambino sognava di «Be like Mike», essere come Jordan?
«Lo ammiravo, ma non ho mai cercato di essere come lui. Ho sempre voluto crearmi una mia identità in campo. E’ così ancora oggi».