Mimmo Malfitano, La Gazzetta dello Sport 17/11/2014, 17 novembre 2014
BENITEZ: «EDUCO AL CALCIO, INSEGNO IL BELLO»
Ascoltarlo è stato piacevole. Tre ore di intervista, durante le quali Rafa Benitez ha discusso di calcio, attualità, politica, cultura, argomenti che lo coinvolgono fortemente e che ne completano la persona, che non vive soltanto del suo personaggio calcistico. In Italia è ritornato lo scorso anno, dopo i sei mesi trascorsi all’Inter, nel 2010, il tempo necessario per vincere la Supercoppa italiana e il Mondiale per club, prima di essere esonerato da Massimo Moratti. Il suo curriculum è invidiabile, ha vinto 11 competizioni, praticamente tutto: due Liga (Valencia); una coppa d’Inghilterra, un Community Shield, una Champions League e una Supercoppa europea (Liverpool); una Supercoppa italiana e Mondiale per club (Inter); due Europa League (Valencia e Chelsea). L’ultimo successo risale al 3 maggio scorso, quando ha conquistato la coppa Italia col Napoli, dopo aver battuto in finale la Fiorentina.
Si discute tanto sulla mancanza di risultati delle nostre squadre nelle competizioni europee: che cosa manca invece al calcio italiano per essere competitivo?
«L’intensità e la velocità, carenze che si sono evidenziate nella sfida Roma-Bayern Monaco. In Italia si bada soprattutto alla tattica e si dà molta più importanza all’avversario. Manca quella intensità del calcio inglese, per intenderci, che è più propositivo, così come la Liga e la Bundesliga».
Cosa intende per intensità?
«Tutto, non solo la fase difensiva. Bisogna essere intensi nel possesso veloce e orientato che, quando perdi la palla, ti permette di andarla a recuperare. In pratica, è un sinonimo di gioco più aggressivo, ma non solo in senso fisico».
Lei ha il contratto in scadenza e la questione ha aperto a diversi scenari futuri: che cosa potrebbe spingerla a non rinnovare col Napoli?
«L’esperienza mi dice che dobbiamo lavorare al progetto attuale, senza dimenticare di guardare oltre. Parlo spesso con Riccardo Bigon e dico sempre a De Laurentiis che deve garantire il futuro alla società a prescindere dal sottoscritto. Il problema non è il rinnovo, ma la condivisione della strada giusta, che noi condividiamo, e non è un problema di soldi o investimenti. Dobbiamo operare per capire se possiamo vincere qualcosa, se possiamo andare avanti oppure no. E poi…».
E poi?
«Ho la mia famiglia lontano, mia moglie e le mie due figlie vivono a Liverpool. E’ la prima volta che non le ho con me e non è facile. De Laurentiis sa bene quanto sia importante il valore della famiglia».
La sua vacanza a Liverpool, a settembre, è stata criticata molto. Le ha dato fastidio quell’accanimento nei suoi confronti?
«La verità è che avevo programmato tre giorni liberi e quattro di allenamenti. Io vivo nell’albergo attiguo al centro sportivo, lavoro anche 16 ore al giorno e ho uno staff di massimo valore: può anche starci che vada via qualche giorno durante una sosta. Non credo che gli allenatori italiani vivano nei rispettivi centri sportivi e passino con i giocatori il tempo che trascorro io».
Dica la verità: è ipotizzabile per lei un futuro da cittì della Spagna?
«In passato, quando mi veniva posto questa domanda e io rispondevo, il giorno dopo mi ritrovavo sui giornali titoli tipo: Benitez vuole la nazionale. Potrebbe essere un’idea, certo, ma a me piace lavorare sul campo, quotidianamente. Sono un insegnante, laureato all’Inef (la nostra facoltà di scienze motorie), la mia metodologia è insegnare. Io lavoro sulla testa del giocatore, per fargli capire il calcio, non solo su un modulo. Le convocazioni in nazionale di Callejon e la crescita di Koulibaly hanno premiato il loro e il mio lavoro».
In alcune partite, il Napoli ha schierato 11 stranieri: perché, secondo lei, si ricorre a questo tipo di mercato e si trascurano i settori giovanili?
«Così è il mercato. Qui in Italia si vuole tutto e subito e, dunque, si è condizionati dalla necessità di fare risultato. Diversamente, dopo tre settimane ti mandano via. Ecco perché si rende necessario prendere giocatori maturi e pronti». La società sta trattando André Ayew, 25 anni, esterno offensivo dell’Olympique Marsiglia, oltre al croato Perisic e all’ex juventino Giaccherini, per il mercato di gennaio, considerati gli infortuni di Insigne e Zuniga.
Ritorniamo alla scorsa estate, quando lei disse che se il Napoli fosse stato eliminato dalla Champions non sarebbe stata una tragedia. Dopo aver vissuto la delusione della città e lo choc della squadra, ridirebbe la stessa cosa?
«Assolutamente sì. Ero convinto di passare e volevo togliere pressione ai miei giocatori. Comunque, quell’eliminazione ha influito tantissimo sulla parte iniziale della stagione».
Lei non vince uno scudetto dal 2004, mentre Napoli lo sogna da 24 anni: capisce, potrebbe restare per sempre nella storia del Napoli.
«Non ci si può affermare con un fatturato inferiore agli altri. I numeri si devono analizzare nel contesto. Lo scorso anno abbiamo ottenuto 10 successi esterni, 78 punti e 104 gol: non si può dire che non si è fatto bene. Qui in Italia c’è equilibrio perché Lazio, Inter e Milan sono lì, in Spagna la differenza è più ampia. Dopo quattro anni con Mazzarri e la cessione di Cavani, per quello che abbiamo fatto è come se avessimo vinto. E una bella soddisfazione che ho avuto di recente è stato incrociare alcuni tifosi che mi hanno detto, “mister, finalmente ora ci divertiamo”».
Cosa manca al Napoli per vincere lo scudetto?
«Un progetto non dipende da un solo risultato, è importante creare la base per migliorare sempre e avere la possibilità, anno dopo anno, di vincere attraendo giocatori migliori. La Juve è l’esempio: struttura, rosa, organizzazione della società, componenti che si sono consolidate negli anni. I giocatori e la struttura della società fanno la differenza».
Garcia ha detto che la Roma vincerà lo scudetto, la Juventus è favorita su tutte: e lei dove si colloca?
«Non voglio essere monotono, ma io vado avanti partita dopo partita, diversamente si corre il rischio che se poi non fai in campo quello che dici, tutto diventa più difficile. Ora siamo terzi e guardiamo un po’ più avanti, non dico che non possiamo fare di più, ma che dobbiamo farlo di settimana in settimana».
Mourinho è in testa alla Premier col Chelsea, con il quale lei ha vinto l’Europa League due anni fa: ritiene che sia lui il migliore allenatore in assoluto?
«Io so come lavorano Mourinho, Van Gaal, Guardiola, ma è impossibile dire chi sia il più bravo. E allora cosa dovrei dire di Ancelotti? E’ chiaro che chi vince è sempre il più forte».
A proposito di allenatori, non le è sembrato curioso che a San Siro non annunciavano il nome di Mazzarri, prima dell’esonero, per evitargli i fischi?
«Quando sono arrivato al Chelsea i tifosi non erano contenti. Io ho fatto il mio lavoro da professionista, dando il massimo per la società e alla fine abbiamo vinto l’Europa League, i giocatori erano contenti di seguirmi. Essere troppo agitati trasmette insicurezza. Se i ragazzi ti vedono tranquillo è meglio. Poi ciascuno ha la sua maniera di fare, io provo a dare le soluzioni a un problema facendo l’insegnante e indirizzando i giocatori verso le risposte: insegno loro a pensare».
A Liverpool, Fernando Torres è stato uno dei suoi giocatori simbolo. Da qualche anno, invece, è involuto: perché?
«Lo volli io a Liverpool, è un grande giocatore, con Gerrard si trovava senza nemmeno guardarsi, al Chelsea con me ha fatto bene. Non so che fanno altri con lui, ma io so come guidarlo. Ne discussi con Inzaghi tempo fa, e lui me ne parlò bene. Il rendimento di un attaccante dipende anche dalla qualità dei compagni che l’assistono».
Crede che durerà la nuova esperienza di Balotelli?
«I tifosi del Liverpool sono fedeli, se lui lavora in campo gli staranno vicino».
S’è parlato di lui come di un possibile rinforzo per il Napoli, a gennaio: cosa c’è di vero?
«Assolutamente niente, è un’ipotesi che non ho mai preso in considerazione».
Tra poco più di un mese, il Napoli giocherà per la Supercoppa italiana, il primo trofeo stagionale: ci sta pensando?
«Certo, è una competizione che c’interessa eccome, ma sono concentrato sul campionato per capire dove possiamo risparmiare qualcuno per evitare infortuni. Tutti, comunque, devono essere preparati, questo è uno dei motivi per cui non comunico mai la formazione prima dell’immediata vigilia».
Lei è un uomo che non vive solo di calcio, le piace l’arte, la cultura, la politica. Quella italiana ha in Matteo Renzi la sua espressione del momento: che idea si è fatto sul Premier italiano?
«Mi sembra positivo vuole cambiare tante cose. Io che sono spagnolo dico che anche da noi bisogna cambiare qualcosa».
Cosa pensa del referendum indetto dalla Catalogna per l’indipendenza?
«La politica è particolare. Io sono tanti anni che non vivo in Spagna. Non voglio commentare».
L’arte, la cultura: Napoli è l’ideale per chi coltiva queste passioni. Condivide?
«Sicuramente. Mia moglie è esperta di arte e mi indica sempre che cosa visitare. Conosce Napoli e mi ha indirizzato per quelle poche visite che ho fatto finora nel centro storico. In Inghilterra abbiamo una fondazione, aiutiamo la gente di Liverpool, raccogliamo fondi per i ciechi, gli autistici: il mio impegno nel sociale non mancherà mai».