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 2014  novembre 18 Martedì calendario

PER QUANTO IN CALO, STRAVINCEREBBE

[Intervista a Riccardo Barenghi] –
«Entro il 2018 riformeremo la pioggia» ha stilettato domenica la Jena, al secolo Riccardo Barenghi su La Stampa. L’ex-direttore de Il Manifesto, romano, classe 1957, continua a distillare ironia amara, da sinistra e sulla sinistra, o su quel che ne resta. Lui s’è personalmente convinto che quel mondo, idee, miti, aspettative, non ci siano più e «che non rinasca solo con i ’contro’ ma anche con i ’per’», ci spiega, «non vanno bene quelli di Matteo Renzi, benissimo, tiriamone fuori altri».
E in un momento in cui si scommette su una rottura, da sinistra, nel Partito democratico, Berenghi è un interlocutore obbligato.
Domanda. Domenica a Milano, alla riunione di Area riformista, Pier Luigi Bersani le ha un po’ rubato il mestiere parlando del Patto del Nazareno.
Risposta. La battuta sul titolo Mediaset che sale all’annuncio di una nuova intesa? Beh, infatti una bella Jena.
D. In un’altra intervista da queste colonne, parlando delle tensioni interne al Pd, lei aveva detto che sarebbe stato meglio che quel partito non fosse nato e che le sue anime fossero rimaste distinte. Alleate, ma ognuna a casa sua. Siamo al momento degli addii?
R. Non ne sono mica tanto convinto, sa.
D. E perché?
R. Perché adesso col 41% di consensi, separarsi non è proprio facile, per quanto le premesse, le do atto, ci siano tutte: la sinistra interna non sopporta davvero Renzi e la sua politica. Però, di qui a dire ce ne andiamo, mettendo assieme un pezzo di Sel, quel che resta di Rifondazione, Maurizio Landini, come qualcuno dice. Mah, sono scettico.
D. Quale il motivo di tanta difficoltà?
R. Perché non è semplicemente un passo difficile, sono mille passi. Ci vuole coraggio e capacità organizzativa. Perché, in genere, prima si mettono a posto le cose, le situazioni, le alleanze future e poi ci si divide. Non è che possano fare una scissione Stefano Fassina, Pippo Civati e militanti sparsi sul territorio. Ci vuole una rete nel Paese e un leader. No, non vedo niente di tutto questo.
D. Qualcuno sostiene che saranno la Cgil o la stessa Fiom a dare corpo organizzativo a questo soggetto e carne al progetto.
R. Ma no, son sindacati, via...
D. Beh, però, se la Cgil di politica ne ha sempre fatta.
R. No ho mai visto un partito nascere dalla costola di un sindacato. Sarò pure di vecchia scuola, ma non ci credo. Un conto è portare migliaia di persone in piazza, un milione è stato detto, altro è farle votare un’altra cosa, o come si chiama.
D. Effettivamente il nome non è circolato.
R. Insomma, la «Cosa rossa» quale che sia. Perché in piazza c’erano prevalentemente elettori del Pd, a manifestare contro Renzi, però magari il voto glielo ridanno. Il sindacato va in piazza con le sue bandiere anche contro il segretario del Pd, però poi, alla fine, lo sostiene. Io vedo grandi mal di pancia in giro, ma non fino a un punto del genere. E sia chiaro che non me lo sto augurando, è una constatazione.
D. Anche perché poi, Bersani, dopo aver fatto la battuta sul Patto del Nazareno, ha precisato che la sinistra interna non farà mancare il voto al governo, anche se mettesse la fiducia.
R. Esatto. Perché poi a far cadere il governo diretto dal segretario del partito, ci vuole molto coraggio. Anche perché quella stessa sinistra ha consegnato il Pd a Renzi, facendogli vincere le primarie, con ampio consenso.
D. Lei è scettico, lo capisco. Però fra poche settimane ci sarà lo sciopero generale e...
R. ...ah lei dice che ci sarà? Beh, io non ne sarei così certo.
D. E perché?
R. Mah, la Cgil è un po’ isolata e magari l’esecutivo farà un’apertura e tutto rientra.
D. E se ci fosse? Pensa che possa in qualche modo influire su Renzi? Ne terrebbe conto?
R. Lui ha già risposto di no, ancora ieri, dall’Estero. Lo ha detto chiaro. Vado a memoria ma ha dichiarato una cosa del genere: «Non è più il tempo in cui le manifestazioni facevano cadere i governi». Però, certo, uno sciopero generale riuscito, con una grande partecipazione, una qualche fibrillazione la susciterebbe. D’altra parte sono i suoi elettori, quelli.
D. Anche se domenica, un sondaggio Demos per Repubblica, ha rilevato un calo del consenso e, in proiezione elettorale, una discesa sotto il 40%. Perde consensi da sinistra per le cose che fa, o sono i voti moderati un po’ in libera uscita, per la linea del governo che non inverte la tendenza della crisi?
R. Senza dubbio la prima che ha detto, credo che l’elettorato moderato con Renzi, in questo momento, si senta proprio a casa sua.
D. La crisi che morde, i risultati che non arrivano, i consensi che calano: il presidente del consiglio potrebbe chiudere l’Italicum e andare alle urne?
R. Lui vorrebbe tanto, secondo me. Per quanto in calo, stravincerebbe. Certo non con quello che resta del Porcellum. E approvare l’Italicum non è una passeggiata perché la legge di riforma si incrocia con l’approvazione definita di quella del Senato. Dovrebbe fare tutto entro febbraio per votare a maggio. La vedo dura. Certo, la minaccia delle urne è la pistola fumante del premier, come piace dire a voi giornalisti. Lo è perché gli altri hanno tutti da perdere.
D. In che senso?
R. Nel senso che Angelino Alfano prenderebbe due-voti-voti, Silvio Berlusconi non ne parliamo, è in caduta libera, Beppe Grillo è in crisi totale. Insomma le elezioni sono uno spauracchio per tutti.
D. Fra quelli che invece, in caso di elezioni, non perderebbero c’è la Lega. Contro il neo-populismo lepenista di Matteo Salvini si potrebbe riaggregare una certa sinistra-sinistra?
R. Mi sta chiedendo se l’antifascismo possa fare da collante?
D. In un certo senso. Non quello che un tempo si definiva «militante», ma certo, per contrapposizione, rinasce un sentimento di sinistra vecchia maniera.
R. L’antifascismo, l’antirazzismo, oggi l’antilepenismo sono sentimenti nobili, per carità. Sono dell’idea che vadano tenuti vivi. Ma non mi paiono sufficienti a far rinascere la sinistra, né una sinistra a sinistra di Renzi, il quale è qualcos’altro. Perché non puoi basarti solo sull’essere «anti» qualcosa o qualcuno. Devi aver e una proposta politica «per» qualcosa o qualcuno.
D. Giorgio Napolitano se ne va da vero? La Jena, l’altro giorno, ha commentato: «Proprio ora che mi ci stavo abituando».
R. Aveva detto che voleva aspettare le riforme ma se chi le deve fare traccheggia, è comprensibile comunque voglia lasciare. Magari lo convinceranno ad aspettare ancora: per come l’abbiamo conosciuto, non è uomo incline agli strappi.
Twitter @pistelligoffr
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 18/11/2014