Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 16/11/2014, 16 novembre 2014
STORIE DI UOMINI, CAPODOGLI E DENARO
Quanto vale una balena? Eccoci, riprendendo il filone di "Economia e Letteratura", a parlare del famoso capitano Ahab. Per lui, nel romanzo Moby Dick, la balena che lo ossessionava non aveva prezzo, e avrebbe volentieri dato tutte le sue sostanze pur di ucciderla. Quanto vale una balena? Qualcuno dice a Pip, il mozzo negro sulla baleniera di Ahab, che lui come schiavo vale meno di una balena. Ma il prezzo vero di una balena, ai tempi di Herman Melville come adesso, viene dettato dalla domanda e dall’offerta. La domanda e l’offerta di che cosa, esattamente?
Una prima maniera di rispondere alla domanda è quello di vedere domanda e offerta relativi a una balena morta. Della carcassa di una balena vengono utilizzate molte parti. Innanzitutto la carne, la pelle e le cartilagini che ancora vengono consumate in alcune parti del mondo. Poi c’è il grasso, usato per spremerne un olio da illuminazione, per saponi, vernici e usi alimentari: un tempo veniva chiamato "lardo di Quaresima" (nell’ipotesi sbagliata che la balena fosse un pesce - è un mammifero - la Chiesa permetteva il consumo di quel grasso anche nel periodo di magro della Quaresima). Poi c’è la famosa ambra grigia, usata come fissativo in profumeria. In Moby Dick il nostromo Stubbs convince artatamente il capitano di un’altra baleniera ad abbandonare la carcassa di un capodoglio, nella quale lui poi trova l’ambita ambra grigia, che peraltro si trova solo nell’1% dei capodogli. E non bisogna dimenticare, infine, le famose stecche di balena (estratte dai fanoni), con cui le nostre nonne e bisnonne armavano i corsetti o tenevano su le crinoline di quelle ampie gonne che andavano di moda.
Questi sono dunque i prodotti della balena per i quali c’è, o c’era un tempo, una domanda. E l’offerta? L’offerta dipende innanzitutto dai costi e dai margini di profitto connessi alla caccia alle balene. Una caccia che un tempo era un affare pericoloso (chiedetelo al capitano Ahab e alla sua mezza gamba). E ancora oggi è, se non pericolosa (gli arpioni vengono sparati dalla nave, e non lanciati a mano da una scialuppa esposta ai colpi di coda del cetaceo), certamente costosa.
Comunque, dato che una balena sola fornisce tonnellate di carne, alla fine il prezzo, formato da domanda e offerta, è relativamente contenuto. Nei ristoranti di Tokyo che servono la balena un sashimi o uno "speciale tempura" non costano molto: l’equivalente di circa 7 euro. Ma - c’è un ma - il prezzo può essere altissimo: molti anni di carcere (è successo a un "sushi chef" a Los Angeles) se la balena è servita nei Paesi (quasi tutti) dove è proibito il commercio di prodotti derivanti dalle balene. Un accordo internazionale per proteggere le balene esiste, ma non è stato firmato da Norvegia e Islanda. Il Giappone lo ha firmato, ma ha ottenuto una clausola che permette di cacciare balene "a scopi scientifici". Una scappatoia di cui il Giappone si avvale sfacciatamente uccidendo ogni anno centinaia di balene che finiscono sui ristoranti del Paese del Sol Levante.
Sì, perché il prezzo di qualcosa dipende anche dalla situazione legale. La droga costa molto perché è proibita, e la fornitura della droga è soggetta a costosi e clandestini processi di fabbricazione e distribuzione. L’avorio costa perché ci sono accordi internazionali per la protezione degli elefanti, e il commercio di avorio è proibito. Droga e avorio si possono comprare (illegalmente) ma costano molto di più di quel che sarebbe se non fossero prodotti proibiti. In Italia non c’è una tradizione culinaria che riguardi la carne dei cetacei, ma se qualcuno si volesse togliere uno sfizio e mangiare una bistecca di balena, la potrebbe ottenere (illegalmente) solo a carissimo prezzo (per non parlare di multe e peggio).
Oggi quei prodotti delle balene sopra menzionati sono quasi tutti spariti: l’olio di balena non viene più usato, l’ambra grigia è sostituita da prodotti sintetici, il lardo di Quaresima è solo una curiosità del passato, e le stecche di balena si trovano al massimo in qualche vecchia soffitta. Rimane la carne di balena, consumata in alcuni Paesi scandinavi e in Islanda, ma soprattutto in Giappone.
Ma se della balena ormai serve solo la carne, il costo della caccia non è troppo alto? Sì, tanto è vero che, come provano numerosi studi, l’industria baleniera in Giappone sopravvive solo perché è sovvenzionata dallo Stato.
Allora, torniamo al prezzo della balena. Quanto vale una balena? Abbiamo parlato fin qui di una balena morta. Ma anche le balene vive hanno un prezzo. Non per metterle negli acquari ma semplicemente per... guardarle. Il "whale watching", l’osservazione delle balene, è ormai un’industria in Paesi come l’Australia o la Nuova Zelanda. In dati periodi dell’anno c’è una "transumanza" delle balene, che passano lungo certe coste o al largo di certe baie. Navi cariche di turisti paganti si avventurano in quei tratti di mare per un’esperienza unica al mondo: le balene soffiano e saltano, mentre mille scatti e mille video riporteranno a casa le immagini di un grande spettacolo della natura. Forse lungo quelle coste un tempo partivano le baleniere, e i nonni dei capitani del whale watching di oggi erano altri capitani Ahab intenti ad arpionare i cetacei. Ma quanto più riposanti sono le navi di oggi affollate di turisti eccitati rispetto alle baleniere di ieri, quando sulle tolde sanguinolente venivano macellate le carcasse di quei gentili giganti del mare...
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Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 16/11/2014