Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 16/11/2014, 16 novembre 2014
MA CHI SI OCCUPA DI COMBATTERE LA CORRUZIONE?
Questo fine settimana si è riunito a Brisbane il vertice dei G-20. Questi vertici sembrano una grande perdita di tempo. Grandi kermesse in cui i leader nazionali si fanno propaganda, occupando i telegiornali con meravigliose dichiarazioni di intenti, cui raramente seguono i fatti. Perché non abolirli? A sostenere questi vertici non sono i loro successi, ma la disperata necessità che il mondo ha di soluzioni globali. Oggigiorno molti dei principali problemi hanno una scala mondiale, ma manca un’autorità che coordini una risposta globale (le Nazioni Unite sono inefficaci). Prendiamo il rischio di una epidemia di ebola: le inefficienze del sistema sanitario di due Paesi africani diventano improvvisamente un problema di tutti. Lo stesso vale per l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici.
Raramente questi vertici sono risolutivi. Ma quasi sempre aiutano un coordinamento internazionale delle politiche. Coordinamento troppo lento rispetto a quello che sarebbe necessario, ma certamente più veloce di quello che avverrebbe in assenza di questi vertici.
Il meeting di Brisbane ha due temi di particolare rilevanza per l’Italia: i paradisi fiscali e la corruzione. Come dimostrato dal recente scandalo che ha coinvolto il neo-presidente della commissione europea Juncker, anche il piccolo Lussemburgo riesce a creare notevoli opportunità di elusione fiscale a imprese di tutto il mondo. Questi paradisi sopravvivono anche per l’assenza di uno sforzo combinato degli altri Paesi nel combatterli.
Lo stesso vale per la corruzione internazionale. È una visione diffusa - soprattutto nel nostro Paese - che la corruzione in altri Paesi sia un male necessario, soprattutto in certi settori. «Così fan tutti» si sente affermare troppo spesso ai vertici delle imprese, e «così fan tutti» ripetono molti politici, lasciando intendere che chi afferma il contrario è o ingenuo o in mala fede. Se così fan tutti, possiamo fare anche noi, senza senso di colpa alcuno.
Si tratta di un atteggiamento non solo cinico ma anche miope. Cinico perché condanna interi continenti alla miseria. Grazie alle nuove scoperte di petrolio e gas, nel prossimo decennio alcuni dei Paesi più poveri al mondo riceveranno 3mila miliardi di dollari in royalty. Se questi soldi non andranno ad arricchire dittatori cleptocrati potranno sollevare l’Africa dal sottosviluppo. Senza regole appropriate rischiano di creare una nuova stirpe di oligarchi, da fare impallidire quelli russi. È inutile che ci impegniamo in politiche di aiuto, se non risolviamo questo problema.
Ma non è solo l’altruismo per le sofferenze del continente africano che ci deve spingere a una battaglia contro la corruzione internazionale. Come è miope pensare che l’ebola sia un problema solo della Liberia e della Sierra Leone, così è miope pensare che la corruzione dell’Africa sia solo un problema africano.
Dato che le tangenti non sono legali, per pagarle è necessario alterare il sistema di reporting finanziario, creando un sistema segreto che mina alla radice la possibilità di una corretta corporate governance. La corruzione distrugge anche la possibilità di un meccanismo di promozione meritocratica. Il pagamento delle tangenti presuppone una omertà mafiosa tra i vertici, che mal si sposa con un sistema in cui chi sbaglia paga. Le prime vittime della corruzione sono proprio la governance e l’efficienza delle imprese che la praticano.
Sarebbe poi ingenuo pensare che, una volta creato un sistema opaco per pagare le tangenti, questo non sia utilizzato dai manager delle imprese stesse per fare la cresta alle tangenti o addirittura stornare fondi delle imprese a vantaggio personale. La corruzione è più contagiosa dell’ebola.
Purtroppo non si può combattere la corruzione internazionale in un solo Paese. Negli anni 80 l’unica nazione ad avere una legislazione chiara in materia erano gli Stati Uniti, che dopo lo scandalo Lockheed, avevano introdotto il Foreign Corrupt Practices Act (Fcpa). Questa legge però non veniva fatta molto rispettare. Grazie allo sforzo di organizzazioni internazionali come l’Ocse e il coordinamento avvenuto in meeting come i G-20, tutti i Paesi sviluppati (inclusa l’Italia) hanno adottato regole comuni contro la corruzione internazionale, prendendo a modello la Fcpa. Questo coordinamento ha permesso agli Stati Uniti un’applicazione più rigorosa della stessa.
Al centro del vertice di Brisbane c’è la crescita economica. Speriamo che un peso adeguato sia dato anche alla lotta contro la corruzione. La corruzione aumenta il costo di fare affari, erode la fiducia del pubblico, mina lo stato di diritto, riduce gli investimenti e provoca sprechi e inefficienze. È venuto il momento di intensificare il coordinamento internazionale nella lotta alla corruzione. Qualsiasi passo in questo senso basterebbe a giustificare il G20 di Brisbane.
Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 16/11/2014