Alessandro Ferrucci, il Fatto Quotidiano 17/11/2014, 17 novembre 2014
CAROFIGLIO “IO E GUERRIERI: TRA LIBRERIE, PD E LA MIA BARI”
[Intervista] –
Bari
Come (ex) magistrato interroga; come (ex) politico si informa, come scrittore approfondisce. Quando si intervista Gianrico Carofiglio bisogna stare molto attenti a non finire dall’altra parte del microfono, è lui a domandare, non si ferma alla prima risposta, incalza mentre si guarda attorno, magari risponde al telefono, poi torna sull’argomento, quindi mostra le bellezze della sua città, Bari. “Qui fino a qualche anno fa passavano le auto (foto in basso a destra), era il caos. Poi è stata pedonalizzata ed è rinata. Bari è rinata. Ho anche comprato un piccolo studio per scrivere, ma non ci sono mai andato. Troppo silenzio. E io ho difficoltà a concentrarmi”. Cinquatatre anni ben portati, fisico asciutto (“mi alleno tutti i giorni”), quattro milioni di copie vendute tra Italia e resto del mondo, ora è di nuovo in libreria con La regola dell’equilibrio, protagonista il suo avvocato Guerrieri impegnato in un altro caso, sempre tra le strade del capoluogo pugliese: “Se non lo ha ancora comprato, le do questo che ho utilizzato per una presentazione, ma è pieno di appunti”.
Lei scrive sui libri?
Sì, amo evidenziare delle parti: è un modo per ricordare i passaggi migliori. Montaigne faceva lo stesso.
In “Né qui né altrove, una notte a Bari” racconta anche di come le piaceva girare per librerie. Lo fa ancora?
Sempre, ma oggi in città ce ne sono di meno. Un tempo ne contai 34. Quando ero giovane entravo e fantasticavo: “Deve essere bello avere un proprio libro poggiato qui sopra”
Il sogno si è avverato...
Ricordo il giorno in cui mi ha telefonato Elvira Sellerio per comunicarmi che avrebbe pubblicato il mio primo romanzo, era il 14 maggio del 2002, e mi disse: “Complimenti, è molto bello, voglio uscire subito, a settembre”.
Senza alcun lavoro di editing?
Nessuno, un tempo da Sellerio non c’era l’editing, hanno iniziato con il mio Ragionevoli dubbi. Ma prima i miei lavori li testavo con gli amici, in particolare una filologa. A tutti chiedevo il massimo della sincerità.
E lo erano, sinceri?
Spero di sì. Ed è andata sempre bene, solo una volta la casa editrice mi ha contestato la prima stesura, nel Silenzio dell’onda. Avevano ragione, ma la riscrittura fu drammatica.
Ha mai riletto “Testimone inconsapevole”?
Certo, in alcuni passaggi si poteva aggiustare. Però insieme a Gomorra credo sia il libro italiano di autore vivente con il maggior numero di riedizioni, sopra le settanta, e tradotto in non so quante lingue, l’ultima lo swahili. Sono appena tornato da una doppia presentazione in Kenya.
Paura dell’ebola?
Al rientro molte persone mi hanno guardato con preoccupazione, alcuni mi hanno detto: “Ci vediamo tra 21 giorni”.
Per le traduzioni sono mai stati mutati dei passaggi?
Solo con i francesi, sono inclini all’intervento manipolativo. Per il resto no, soprattutto in lingua inglese c’è stato un gran bel lavoro e un bel successo, ma è la Germania il paese dove Guerrieri ha il maggior riscontro.
Guerrieri e Bari: come è cambiata negli ultimi trent’anni?
È mutata soprattutto negli ultimi vent’anni e per vari motivi: l’arrivo di alcuni finanziamenti, coincidenze varie, e qualche merito per il sindaco di allora (Simeone Di Cagno Abbrescia): sta di fatto che la città vecchia è rinata, e grazie alla decisione di chiuderla al traffico. Qui (e indica uno spiazzale) c’era un parcheggio. Ora si passeggia.
Inizialmente i baresi come l’hanno presa?
L’amministrazione è stata brava a comunicare lo scopo finale. In particolare l’attuale sindaco ci ha messo la faccia, quello che ogni politico dovrebbe fare, anche a rischio-vaffanculo.
Ha mai nostalgia della Bari di un tempo?
In generale non sono incline a tale sentimento. Poi però ho dei momenti in cui penso alla mia città negli anni Settanta, ma in quel caso la nostalgia è più legata alla propria storia, all’essere ragazzo. (Ne La regola dell’equilibrio, scrive: “Rimpiangere il passato come se fosse l’età dell’oro. Uno rimpiange la propria giovinezza e magari quando ci stava in mezzo pensava che fosse uno schifo”)
Della sua carriera da magistrato, non rimpiange nulla?
Mi piaceva tantissimo. Mi piaceva fare l’investigatore, ogni volta che potevo mi occupavo direttamente delle indagini.
La vita da investigatore quanto le ha permesso di analizzare la psicologia altrui, poi riportata nei romanzi?
È stata fondamentale la capacità di immedesimarsi nell’altro, stessa esigenza per lo scrittore.
E la vita da parlamentare?
A certe condizioni la rifarei. Sono stati cinque anni interessanti in chiave personale, inutili dal punto di vista politico. Ma lo sapevo...
Tradotto?
Sapevo che sarei andato a non contare nulla, la mia era un’esplorazione, oggi vorrei altro...
Cosa detesta o ha detestato dei politici-colleghi?
Quando descrivono la loro esperienza come un sacrificio. Fesserie. Chi si butta in politica lo fa perché la ama, invece quasi si vergognano a dirlo, e questo è il segno di un rapporto non sincero che è parente dell’inclinazione a non riconoscere i propri errori, le proprie violazioni e la tendenza ad auto-giustificarsi e auto-assolversi.
Renzi ha costruito parte del successo quando ha perso le primarie con Bersani, poi è salito sul palco di Firenze e ha recitato un mea culpa...
Vero, ma è allora. Oggi è un’altra storia, altrimenti avrebbe spiegato cosa è accaduto con Enrico Letta in quei quattro giorni, dallo staisereno alla destituzione.
Il magistrato Carofiglio come interrogherebbe Renzi?
Gli chiederei: “Quando hai pronunciato quello staisereno, eri sincero? Non stavi già pensando di prendere il suo posto? Poi cinque giorni dopo lo hai fatto, hai detto che ti sei reso conto che il Governo non andava avanti. Bene, quando lo hai capito? In quale momento? E cosa è successo? Te lo ha detto qualcuno, c’è stato un evento?”
Lei non ama molto Renzi.
Non è esattamente così, trovo sia un politico di grande talento e mi è capitato di difenderlo quando nel Pd dicevano che era un cripto-fascista, anche con attuali fedelissimi. Ciò detto non mi piace il suo stile di comando, ma come molti tifo perché ce la faccia. (Su Bari inizia una leggera pioggia, ma la temperatura è comunque alta, poche automobili in giro, qualcuno passeggia, c’è chi lo riconosce, lo saluta con garbo, è uno di loro).
Quanto le manca il lavoro in team rispetto alla solitudine dello scrittore?
Molto, in particolare l’adrenalina di quando stavi per risolvere un caso. Ho il ricordo preciso della mia ultima indagine: ero già stato nominato in Commissione Antimafia.
E quindi?
Era il novembre del 2006, mi chiamano per una rapina in un pub. Abbiamo risolto tutto in sei ore grazie al riconoscimento vocale (silenzio). Guardi lì, vede questa zona? (siamo dentro Bari vecchia). Fino a qualche anno fa non si entrava, era pericolosa. Ora è il centro della movida.
Nei suoi libri racconta dello street-food tipico barese, la polenta fritta, “cotta con un olio che sembra perfetto per i tir...”.
Ma lo sa che una delle famiglie che la cucina e la vende mi ha fatto sapere di essersi offesa!... Ha per caso una sigaretta?
Uno attento al fisico come lei, fuma?
Un paio al giorno, soprattutto dopo pranzo. Da magistrato erano molte di più. E il pacchetto di sigarette era una delle mie piccole chiavi-psicologiche durante gli interrogatori.
In che senso?
Spostavo il pacchetto al delinquente, era un modo per minare una certezza in un momento di difficoltà Ma funzionava solo con i pesci piccoli, non con quelli più scafati.
Per quelli più scafati?
Aspetti psicologici più complessi, se vuole ne parliamo in un’altra chiacchierata.
Ha fan tra i soggetti che ha arrestato?
Una volta è arrivato l’avvocato di un mafioso con dieci copie di un mio libro per degli autografi, in un altro caso mi sono giunti i saluti di un capo-mafia condannato a 26 anni.
Come passi le tue giornate?
Scrivo, studio, leggo, viaggio e poi continuo con il karate, i pesi e qualche esercizio di mia invenzione.
Da ragazzo era impegnato politicamente?
No, mi infastidiva la mediocrità di certi slogan. Ma ero già di sinistra con l’inclinazione al bastian contrario, così in primo liceo non ho rispettato l’occupazione e sono entrato. In classe eravamo in quattro: un paio di secchioni, un fascista e io. Non sopportavo il branco.
E il branco come reagì?
Vennero in classe a minacciare, “ci vediamo fuori”, già praticavo il karate e da sbruffone gli risposi “non c’è problema”. Poi, per fortuna, non successe niente.
È stato coinvolto in molte risse?
(Lampo negli occhi) Qualche volta, più da ragazzo.
L’ultima?
Sette anni fa, una lite stradale. Un tipo scese e provò a mettermi le mani al collo, io semplicemente lo sbilanciai, poi quando ero pronto a colpirlo lui si bloccò. Aveva percepito il pericolo. Mi fermai.
Bari la Milano del sud, dove le donne vanno in pelliccia anche con venti gradi...
È vero, accade. Anche oggi ne abbiamo incontrata qualcuna, è una città con qualche sfumatura parvenu, ma amo viverci, non tutta la settimana, ma qualche giorno sì.
Il resto dove sta?
Giro, poi spesso a Roma.
Con chi ha legato durante il quinquennio parlamentare?
Non con molti, in particolare con Luigi Zanda, è una persona seria e intelligente. Poi Vincenzo Vita, Giovanni Legnini e Gianni Cuperlo.
Gente che l’ha impressionata negativamente?
Tanti. Alcuni orrendi, compresi tra i nostri. Ma lasciamo perdere.
Insomma, la politica non l’ ha deluso.
A me no, i delusi sono coloro i quali credono di essere qualcuno solo perché eletti, mentre non sono nessuno. Diventano tecnicamente depressi, con spalle curve e sguardo perso.
In Senato il suo compagno di banco era Ignazio Marino.
Un amico, va valutato su un tempo medio-lungo.
Se ci arriva...
Ha la testa dura, è un uomo con grandi qualità, ambizioso e intelligente. Adesso andiamo, le mostro casa. Poco fuori Bari vecchia, un appartamento curato, ma senza esagerare, bello, ma senza ostentazione. Libri, libri, libri. Un gatto di un anno che corre, il figlio Alessandro che guarda una partita di basket. Ci sediamo nello studio, lui in poltrona, io dall’altra parte della scrivania. E torna la sensazione dell’interrogatorio, una lampada accesa e poggiata sul tavolo amplifica la scena. Ci salutiamo. Direzione aeroporto, il tassista chiede il motivo del viaggio. Per Carofiglio, rispondo. “Ah, il magistrato! Un tipo tosto. Pochi anni fa, tre balordi hanno provato a fottergli l’automobile. Li ha stesi tutti e tre!”. Sì, proprio un tipo tosto.
Twitter: @A_Ferrucci
Alessandro Ferrucci, il Fatto Quotidiano 17/11/2014