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 2014  novembre 17 Lunedì calendario

MOGOL: “BATTISTI CAPIVA IL FUTURO, ECCO IL SEGRETO”

[Intervista] –
Quando arrivo dal vialone che porta alla sua casa, lui è fuori a salutare ammiratori, persone che giungono fin qui per un autografo, o solo con la speranza di incontrarlo.
È un sabato di uno strano autunno, uno di quelli che con tenacia restano aggrappati al sole, convincendo fiori e uomini che sia primavera, che tutto stia per cominciare.
Toscolano è un posto quieto, appoggiato in una valle, tutt’intorno il bosco.
È l’Umbria dei poeti e dei santi, è terra di gente che lavora, che fatica, ma che non ha scordato la mappa del buon vivere.
Mogol mi accoglie con un sorriso normale, un abbraccio normale, e penso che la normalità dei gesti sia verità: niente orpelli estetici, niente rituali costruiti, solo la voglia di incontrarsi per condividere. Pochi passi lenti e siamo in casa. Il grande camino del salone è acceso. Oggi fa caldo, ma quel camino è un affresco che vive di fuoco. “Le cose non sono quasi mai come sono - sorride Mogol mentre cominciamo a sorseggiare un caffè - sono come tu le vuoi, come tu vuoi che siano...”.
Sono ancora lì a girare il cucchiaino nella tazzina , quando il suono mi arriva forte nelle orecchie, dritto nel petto.
Un giro di chitarra, sospeso al centro del salone, ipnotico, una batteria che scivola sotto le note metalliche e si fa largo, quattro giri in crescendo e poi via, si parte, un climax d’entrata, la porta di una nuova avventura. “Battisti era avanti, molto avanti. Lucio amava il rock e oggi quel rock è nelle sue canzoni, le sue e le mie”.
Alzo gli occhi, guardo Mogol che mentre parla suona nell’aria una chitarra invisibile. Il pezzo che ascoltiamo è Anche per te, la prima traccia di un cd-sfida: Le canzoni di Mogol Battisti in versione New Era.
“Il progetto è durato cinque mesi - racconta Mogol - con musicisti straordinari ci siamo chiusi in sala e abbiamo studiato gli arrangiamenti. La mia preoccupazione era quella di andare a toccare qualcosa di “sacro”, qualcosa di apparentemente inviolabile. Ma poi ho detto ai miei di lavorare senza paura, con coraggio. Ho pregato tutti di lavorare attraverso l’emozione prima ancora che con la tecnica. Esattamente il modello di didattica che seguo al Cet, la mia scuola. Con un impegno: se il lavoro fosse stato bello saremmo andati avanti, altrimenti avremmo preso tutto e lo avremmo buttato. Senza paura”.
Se non hai buttato tutto è segno che credi di aver vinto la sfida...
Oggi sono certo che la sfida è stata vinta. Spero lo dica anche la gente. Con Massimo Satta, arrangiatore raro, Gioni Barbera, pianista fantastico , e Stefano Pettirossi, il musicista e fonico che ha dato al lavoro un suono internazionale, abbiamo fuso la musica classica con il rock, un incontro affascinante. Ci sono gli archi che suonano sotto le chitarre e sostengono, come in una favola moderna, tutta la struttura. E c’è una ritmica potente: Roby Pellati, ex batterista di Ligabue, è un metronomo vivente, una mitraglia pazzesca. Le voci poi mi emozionano: Deborah Johnson, figlia di Wess e nipote del solista dei Platters, con una voce calda e misteriosa e Randy Roberts, figlio di Rocky Roberts, col graffio giusto sulle corde vocali per cantare rock.
Musicisti della tua scuola, dunque, hanno lavorato con te...
Sì, e sono fiero di questo. Vedi, la promozione oggi è nelle mani del profitto, i giovani devono essere artisti per il piacere di esserlo e non per una mira precisa. Il rischio è quello di bruciarsi e restare delusi... Se il successo arriva, bene, altrimenti restiamo noi... L’arte ci nutre per tutta la vita, senza tensione verso la ricerca di noi stessi, cosa rimarrebbe dell’uomo...
Cosa penserebbe Battisti di questo lavoro...
Lucio avrebbe certamente qualcosa da ridire - Mogol sorride mentre risponde - ma alla fine sarebbe d’accordo sull’idea di sperimentazione , di futuro. Lucio era futuro, era un precursore, un uomo di una cultura vastissima, che aveva il talento coraggioso di scrivere cose oltre il suo tempo. Talvolta però fu lui a non comprendere il tempo, come quella volta che il produttore dei Beatles gli fece una proposta importante e lui rifiutò. Io penso ancora oggi che sia stato un errore, ma ognuno fa le sue scelte. Comunque, con Battisti c’è stata identità di vedute e completezza... Io ho lavorato con tanti grandi artisti ma considero il connubio Battisti-Mogol più della metà della mia vita.
Perché allora non vi siete più sentiti?
La gente pensa per una questione di soldi, non è vero. Io e Lucio non ci siamo più sentiti per una questione di principio. Il punto che ci ha allontanato non voglio raccontarlo. È un grande dispiacere, ma questo non toglie nulla al valore della nostra storia professionale e umana insieme.
Ascoltiamo l’intero lavoro e alla fine arriva il tempo di un pranzo leggero. A tavola parliamo della cultura del cibo, dell’olio nuovo che arriva sulla tavola con un profumo antico, dell’abitudine alla musica fin da bambini, dell’importanza di far crescere i più piccoli con l’esercizio dell’ascolto, del significato della musica e quello delle parole. Parliamo anche di politica, lì dove il significato delle parole dovrebbe essere netto.
“Questo è un Paese - riflette Mogol - dove la gente troppo spesso dimentica di essere una comunità. Io continuo a sognare un posto dove tutti pensano al bene collettivo, se lavoriamo insieme ci sono speranze. La stessa speranza che io nutro in Matteo Renzi, dobbiamo sostenerlo, aiutarlo, dobbiamo avere fiducia. C’è una parola che significherebbe approdo ed è stabilità. Ecco, per questo Paese vorrei finalmente stabilità”.
E gli anni che passano ti pesano Giulio...
Posso risponderti con una sola frase: non so da dove arrivo, non so dove andrò, ma oggi so cosa voglio essere, ogni giorno che cammino su questa terra...’
Restiamo un po’ in silenzio, ma come nei pezzi rock che ho sentito in mattinata, c’è ora una nuova, improvvisa accelerazione. Mogol mi guarda con gli occhi di un bimbo birichino e mi chiede se il calcio mi piace. Resto spiazzato e divertito. Tanto divertito che dopo pochi minuti mi ritrovo in macchina, il Maestro alla guida, destinazione Terni. La Ternana gioca in casa e Mogol non se la perde. Arriviamo allo stadio e prendiamo posto in tribuna. C’è il sole, i tifosi cantano, il clima è disteso.
“Adoro il calcio - mi dice mentre seguiamo rilassati la partita - io sono di Milano ma tifo per tutte le squadre italiane. Se gioca la Nazionale annullo gli impegni e guai a chi mi disturba. Metto il calcio prima delle altre passioni, il cavallo e le immersioni. La Ternana è la squadra del posto dove vivo e la seguo con piacere. Il calcio è il cartone animato dei grandi, lo diceva Osvaldo Soriano mica io... Insomma, amo questo sport perchè è un po’ come la vita...’
E se dovessi con una definizione raccontare proprio la tua vita?
Posso dire che se non sono morto è stato solo per una continuo ripetersi di miracoli. Una volta ero sott’acqua, a 54 metri nelle acque di Salina, ero sceso a cercare un amico. Ad un tratto ho avuto problemi con le bombole, dall’erogatore usciva poca aria e sono andato nel panico. Sarei morto se non mi fossi concentrato sui pesci che mi nuotavano intorno. Poi uno scoglio, insomma proprio un miracolo, e quello scoglio mi ha aiutato a risalire, come un compagno che ti prende la mano e ti riporta in cima...
Usciamo dallo stadio prima che la partita finisca.
Ora è autunno, la sera porta un’aria pungente. Ci rimettiamo in macchina e torniamo a Toscolano. Lungo il tragitto penso che non è la prima volta che incontro Mogol e rifletto sul suo essere, ogni volta, disponibile alla conversazione, garbato nell’accoglienza, attento nell’ascolto. Roba rara, insomma. Gli comunico il mio pensiero e lui ride di gusto: “Vedi, mi dice, chi ha storia o potere spesso si gonfia, proprio come fanno le rane...”
Mogol mi accompagna alla macchina e mi chiede di ascoltare nuovamente il cd durante il viaggio verso Roma. Lo farò Maestro, gli dico abbracciandolo. Lui mi guarda e lentamente sussurra: “Guarda che Lucio sarebbe contento di questo lavoro, io lo so....”.
Roberto Inciocchi, il Fatto Quotidiano 17/11/2014