Edoardo Cavadini, Libero 16/11/2014, 16 novembre 2014
ALTRI 100 ARRIVI: PAESINO CHIUDE PER INVASIONE
La gente non li vuole più. Immigrati, migranti, clandestini, rifugiati, donne, bambini, pregiudicati, disperati senza più nulla alle spalle, laureati appesi a un sogno di futuro. La declinazione del fenomeno degli sbarchi sulle nostre coste è potenzialmente infinita. Ma la risposta degli italiani non è mai stata così univoca: adesso basta. Non c’è da fare sociologia ma da accendere la tv e guardare le immagini di un quartiere intero della Capitale in rivolta contro un centro di accoglienza. Non importa che ci siano di mezzo una quarantina di bambini spostati dalla polizia. La convivenza non era più possibile. E come a Tor Sapienza, periferia Est di Roma, anche in tutto il resto d’Italia crescono sacche di esasperazione contro i profughi che scendono nell’albergo tre stelle con la diaria pagata dallo Stato. È il caso di Badia Prataglia, frazione di Poppi, provincia di Arezzo: 785 anime che rischiano di convivere con 100 immigrati dopo che un hotel locale ha dato la disponibilità ad accoglierli. Un rapporto di uno ogni otto abitanti: hai voglia a non chiamarla invasione. E infatti la comunità - che il sindaco Carlo Toni definisce «generosa, accogliente, simpatica ma capace di ospitare al massimo venti profughi» - ha chiuso simbolicamente tutti gli esercizio commerciali consegnandone simbolicamente le chiavi alla prefettura di Arezzo. Rispetto alla composta esasperazione dei pratagliesi, le rimostranze dei cittadini di Pesaro sono state invece troppo rumoroso. E infatti lo scorso 12 novembre la questura ha deciso lo spostamento del sit-in organizzato per protestare contro l’arrivo di 30 profughi nelle stanze dell’hotel Principe. La motivazione? Non disturbare il riposo dei nuovi arrivati spossati da un lungo viaggio. Il 2 novembre è stata la volta di un’iniziativa organizzata da cittadini e Casa Pound a Cattolica in segno di protesta per la permanenza - dallo scorso marzo - di una settantina di profughi dal Mali e dalla Nigeria in un hotel gestito dalla comunità Papa Giovanni XXIII. Come nel caso pesarese, si è pensato a non turbare il soggiorno degli ospiti, che sono stati opportunamente fatti uscire dalla struttura per non udire slogan eventualmente razzisti. Risalendo lo Stivale si arriva a Rovolon, nel Padovano, dove lo scorso primo ottobre si è assistito a una vera e propria mobilitazione di famiglie e cittadini contro il progetto della parrocchia locale - attraverso l’associazione “Per un sorriso” - di dare alloggio a 200 profughi nella Casa di accoglienza San Domenico Savio. In quell’occasione, per perorare la causa dell’accoglienza amorevole si era spesa persino l’ex ministro Kyenge con un posto su Twitter (“C’è un’altra Rovolon che vuole i profughi: Uno per famiglia”). Non si sa se cotanto sponsor ha portato bene o male, sta di fatto che il progetto è stato accantonato di fronte al diniego della maggioranza degli abitanti. La mappa delle mobilitazioni silenziose anti-immigrati (lontanissime nei numeri dalle centomila persone portate in piazza Duomo a Milano il 18 ottobre dalla Lega Nord per dire «Stop all’invasione») porta anche nella laguna veneziana. La scorsa estate, il 3 agosto, si è svolta una triplice manifestazione (due sit-in a Venezia, uno a Chioggia) per ostacolare l’apertura di un centro di accoglienza permanente a Trivignano, nei locali di una ex scuola elementare. Si è trattato di iniziative non violente, lontane dalla tensione che si respira in una zona bollente come quella di Tor Sapienza, ma che danno la misura di un fenomeno in crescita di pari passo con l’esplosione di arrivi sul nostro territorio. I numeri del ministero dell’Interno sono noti, ma val la pena di rammentarli: gli immigrati nei centri di accoglienza sono 61mila, in crescita. Più della metà di essi, 32mila circa, hanno trovato spazio nelle strutture temporanee messe a disposizione dai Comuni.