Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera 17/11/2014, 17 novembre 2014
LA PAROLA FEMMINISMO NON È (PIÙ) DA BUTTARE
È cominciata con il settimanale Time che ha messo la parola «femminista» in una lista nera, vicino ad altre molto meno impegnative come «basico», «letteralmente», «ma per favore». Tutte espressioni che secondo un sondaggio condotto fra i lettori sarebbe bene archiviare e che non avrebbero diritto di essere traghettate nell’anno che verrà, in quanto troppo abusate. È continuata con una polemica feroce delle femministe non ancora estinte sulla stampa e sui social network, ed è finita con la direttrice del settimanale Nancy Gibbs che ha firmato un breve editoriale di scuse, con pubblica autocritica sulla decisione «di includere la parola in quella lista». Dando apparentemente ragione a chi considera il femminismo l’ultimo tabù.
Ma quella parola sfilata dalla lista non è una vittoria per nessuno. E soprattutto non dà ragione né alle femministe storiche e neppure alla generazione di donne più giovani, alle venti-trentenni che in buona fede credono che la parità di genere sia raggiunta, e non vogliono più sentirne parlare in termini ancora problematici.
Ma tanto meno possono cantar vittoria quelli che davanti a discussioni su temi come la fecondazione, la parità salariale, le donne leader, reagisce con livore ideologico e acribia da troller consumato: «Smettetela, basta, di nuovo le donne: siete vetero femministi!».
La decisione pragmatica della direttrice di Time dimostra solo che il problema della parità esiste ancora, che le femministe, anziane o meno, non ce l’hanno ancora fatta, e che chi, uomo o donna, è convinto di aver raggiunto già un equilibrio, soffre di miopia dell’ottimismo, perché scambia per equità vera un equilibrio asimmetrico che in realtà poggia ancora su uno squilibrio.
Dietro a questo apparente equilibrio c’è la realtà dei numeri che dicono che non è così, che si sono fatti grandi passi, ma la disparità è ancora strutturale. Si potrà cantar vittoria — femministe con diritto di cittadinanza e società tutta — solo quando ci sarà davvero equilibrio, per quanto nella differenza.