L. Cr., Corriere della Sera 17/11/2014, 17 novembre 2014
I FANATICI OCCIDENTALI ANCORA PIÙ FEROCI DEGLI STESSI MILIZIANI
Sono ormai la forza trainante dello Stato Islamico, ma a ben guardare possono anche diventarne il tallone d’Achille. Parliamo dei volontari: quella variegata, motivata, spesso fortemente ideologizzata ed intrinsecamente estremista componente che accompagna le guerre di ogni tipo e in qualsiasi Paese. C’erano in tutti gli eserciti della Prima guerra mondiale; furono il nerbo internazionalista della Guerra di Spagna; le avanguardie comuniste, naziste e fasciste del Secondo conflitto mondiale; erano l’essenza delle milizie sioniste e palestinesi nel 1948. C’erano volontari in Corea, in Vietnam, in Algeria pro e contro il regime coloniale francese. Difficile trovare una guerra in cui non vi siano volontari.
La peculiarità di Isis però è che le brigate internazionali della Jihad sono necessarie e tuttavia viste con timore dagli stessi sunniti che sono venute ad aiutare. In Iraq il fenomeno è macroscopico. «Noi vecchi baathisti e legati alle tribù sunnite di Al Anbar non abbiamo nulla da spartire con gli integralisti religiosi afghani o con gli estremisti wahabiti arrivati da Arabia Saudita, Giordania e Algeria. Li useremo sino a quando ci serviranno per battere gli sciiti. Poi però ce ne disferemo», mi dicevano in giugno i militanti a Bagdad del «Muttahidun», uno dei maggiori movimenti sunniti rappresentato al Parlamento. I volontari della jihad, molto più violenti e intolleranti dei qaedisti locali, sono cresciuti per numero e importanza. Secondo la Cia sarebbero oltre 20 mila. Un recente rapporto interno segnalato dal Washington Post sostiene che ne arriverebbero ormai in media un migliaio al mese. Oltre 3 mila sarebbero tunisini, il singolo gruppo nazionale più numeroso. I cristiani fuggiti da Mosul affermano che i più pericolosi sono afghani, pachistani e soprattutto ceceni. Senza parlare di «ceffi» del tipo «John il Jihadista», noto anche come «John il Beatle», il terrorista dal perfetto accento inglese assurto a notorietà mondiale con il video della decapitazione del giornalista americano James Foley in agosto. A metà settembre la stampa anglosassone riportava che sarebbe stato identificato dai servizi inglesi come il rapper Abdel-Majed Abdel Bary. Due mesi fa a Erbil i profughi cristiani fuggiti da Karakosh, nella regione di Ninive attorno a Mosul, parlavano con paura di un altro rapper, questa volta tedesco, il quarantenne Denis Mamadou Gerhard Cuspert, meglio noto come Deso Dogg. «E’ lui che predica l’Islam con più convinzione. Dice che è bello morire per la guerra santa. Prima parla con dolcezza, ma poi passa alle minacce di morte. I jihadisti iracheni e siriani sono meno duri con i cristiani», sostengono. A Raqqa, la capitale di Isis, i volontari stranieri hanno preso le redini del potere. Ma tanti di loro hanno perduto la vita nella battaglia per la città curda di Kobane.