Giordano Bruno Guerri, Il Giornale 16/11/2014, 16 novembre 2014
ALTRO CHE PROGRESSISTA, IL PAPA FA IL PAPA
Farebbe ridere, se non fosse una questione così seria, l’ingenuità di chi si sorprende per l’ultima uscita di Francesco. Parlando ai medici cattolici, il Papa li ha incoraggiati a scegliere l’obiezione di coscienza pur di non praticare aborti e eutanasie. Che c’è di strano? Il Papa ha fatto il Papa, contro ogni speranza avventata di chi si aspettava da lui atti rivoluzionari anche in tema di dottrina. Una cosa, infatti, è scegliere di essere un Pontefice alla mano piuttosto che pomposo, «povero» piuttosto che sperperone. Altra è cambiare i principi fondamentali del cristianesimo.
Un Papa può, e Francesco l’ha fatto, mutare o tentar di mutare l’organizzazione della Chiesa, si tratti della Curia, della Rota o della banca vaticana. Può addirittura scalfire, o tentar di scalfire alcune sedimentazioni del cattolicesimo (che è cosa diversa dal cristianesimo), come la decisione di dare o non dare la comunione ai divorziati. Ma nessun Papa potrebbe, senza rischiare apostasia, scismi e «il fuoco dell’inferno», andare contro i dieci comandamenti, che stanno lì dai tempi di Mosè e da quelli di Gesù.
Come pochi credenti sanno, in realtà i comandamenti sono 17 o 21, a seconda che li si legga nell’Esodo o nel Deuteronomio, e vi si parla anche di asini e buoi. Ma in entrambe le versioni (13° per l’Esodo, 17° per il Deuteronomio), un comandamento è limpido, categorico e non ammette dubbi: «Non uccidere». Le stesse due parole sono scolpite al punto 5 della versione, ridotta e adattata, che quasi tutti siamo stati costretti a imparare a memoria da bambini.
Per la Chiesa cattolica il feto è una vita, e l’aborto un omicidio, quali che siano le condizioni del bambino e della madre. E una vita è sacra a tal punto che non ti appartiene, non te la puoi togliere neanche nelle condizioni di più atroce dolore o desolazione, figurarsi farsela togliere da altri. Né vale dire che la Chiesa fa eccezioni, come nel caso della «guerra giusta», richiamata anche in questi giorni da Francesco: la Chiesa ha sempre adottato una simile pratica, e sceglie lei quali sono le guerre «giuste».
Buffi mi paiono dunque coloro, compresi alcuni amici radicali, che speravano in una rivoluzione papale all’insegna di un cattolicesimo-fai-da-te, per cui «io credo nel Dio ma la Chiesa è un’istituzione vecchia, che cambierà». È un self service della fede - tanto caro alla quasi totalità dei credenti - per cui si può scegliere a piacimento, come gli ingredienti di una torta, a quali comandamenti obbedire: non rubo ma fornico, onoro la domenica ma non il padre e la madre, non ho altro Dio ma dico il suo nome invano, con liceità di libera hit parade. Si tratta di una pratica che può seguire il signor Franceschi, non Francesco. Non può e, certamente, non vorrebbe.
Mi preoccupo piuttosto, da laico, di un passaggio del discorso del Papa che solleverà meno polvere, di fronte ai due problemi più vistosi. È quello dove nega che sia «una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono. Stiamo vivendo un tempo sperimentale, male: fare figli invece di accoglierli, giocare con la vita. Attenti è un peccato contro il Creatore». Negando che le nuove tecniche di fecondazione siano una conquista scientifica, negando che un figlio sia comunque un dono - anche se non prodotto con il metodo naturale - il Papa dimostra di essere un tradizionalista, un conservatore, in definitiva un arcaico. E ho paura che ce ne darà altre prove.
Twitter: @GBGuerri