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 2014  novembre 15 Sabato calendario

ANCHE CANDIDATI AL NOBEL IN GARA PER LA PEGGIOR SCENA DI SESSO 2014

L’autorevole Literary Review ha svelato i 10 finalisti che, quest’anno, si contenderanno il suo Bad Sex in Fiction Award, temuto premio annuale per la peggiore scena di sesso in un’opera di narrativa. Le regole per essere candidati sono semplici: «tutto dev’essere fuori contesto, e stupido». Le scene selezionate corrispondono ai criteri. Alcuni degli autori sono ben noti ai lettori italiani, tra questi c’è Helen Walsh, c’è Michael Cunningham con La regina delle nevi (Bompiani) in cui si descrive il coito bruscamente interrotto di Tyler, musicista a caccia del successo: «Vive per secondi in quell’elevata straziante perfezione. È questo, solo questo, si è smarrito a se stesso, non è nessuno, è annientato, non c’è nessun Tyler, c’è solo… Si ascolta ansimare, meravigliato. Cade in un estatico bruciante senso di ferita, perdendo, perso, disfatto. Ed è finita». Un capolavoro del kitsch con i più classici cliché orgasmici: la perfezione straziante, il perdersi, l’ansimare; peccato che a malapena si capisca che diavolo accada. Molto più esplicito è Murakami Haruki, scelto per il rapporto a tre nel suo romanzo L’incolore Tsukuru Tazaki e i suoi anni di pellegrinaggio" (Einaudi). Dopo una serie di metafore, Murakami va al sodo informandoci che il pelo pubico delle due concubine «era bagnato come una foresta pluviale», frase che ci aspetteremmo di trovare in un eventuale Natale in Giappone con De Sica e Boldi, più che da un papabile premio Nobel. Segue Wilbur Smith, il Joseph Conrad formato soap che, dopo ripetute candidature merita, stavolta, di aggiudicarsi il premio; ne Il dio del deserto (Longanesi) si supera così: «Questa increspata cortina / non copriva i suoi seni che schizzarono fuori come creature viventi. Erano perfettamente tondi, bianchi come il latte di cavalla e sormontati da capezzoli color rubino che si corrugarono quando il mio sguardo li percorse». Per noi non c’è gara: il premio andrebbe agli inquieti capezzoli color rubino che spuntano dai capelli, dotati di vita indipendente. Ma bisogna fare i conti anche con l’ultimo vincitore del premio Booker, l’australiano Richard Flanagan, che nel romanzo The narrow road to deep north (inedito in Italia) racconta la triste interruzione di un atto sessuale a causa dell’uccisione di un inerme esemplare di pinguino blu azzannato da un cane: «Baciò la dolce, rosea fossetta lasciata dalle sue mutandine elasticizzate, che correva attorno al suo ventre come la linea dell’equatore circonda il mondo. Man mano che si perdevano nella circumnavigazione l’uno dell’altra, da vicino giunsero acute grida che terminarono in un più profondo ululato». L’uomo lupo australiano ha colpito ancora? «Dorrigo guardò in su. Un grosso cane stava in cima alla duna. Sopra la bava imbrattata di sangue, stringeva nella bocca umida un pinguino blu minore che si dimenava». Avremmo designata questa porcheria per la vittoria finale, se non fosse che qui non siamo più nel campo del brutto sessuale, l’ambito del premio, ma nel brutto assoluto. Flanagan meriterebbe la squalifica. Anche il nigeriano Ben Okri vinse il Booker, e ora rischia di conquistare il Bad Sex grazie a un passo del suo romanzo The age of magic (da noi inedito), in cui una donna durante un rapporto sessuale si sente «sicura adesso che ci fosse un paradiso e che fosse qui, nel suo corpo» e che: «l’universo era in lei e a ogni suo movimento esso le si rivelava». Saranno stati i peperoni? In passato si sono aggiudicati il premio scrittori del livello di Tom Wolfe, Noman Mailer, Jonathan Littell, a riprova che scrivere di sesso può risultare un’impresa disperatissima anche per i più grandi. Non sarebbe male importare il premio anche da noi. I nostri scrittori non sfigurerebbero al cospetto della notte dei capezzoli viventi.