Maurizio Stefanini, Libero 15/11/2014, 15 novembre 2014
INDIGENI CONTRO WWF: «PARCHI SOLO PER RICCHI»
Per salvare le foreste e gli animali si fanno estinguere gli uomini: e proprio quegli uomini che potrebbero essere i migliori guardiani della natura. Da anni impegnata su questa polemica, a inizio ottobre l’organizzazione di difesa dei popoli indigeni Survival International già a inizio ottobre aveva sparato una nuova dura bordata di avvertimento contro il Wwf, accusandolo di essere «complice degli abusi perpetrati contro i popoli tribali», nella forma concreta di squadre armate anti-bracconaggio «sostenute e finanziate dal Wwf» che se la prenderebbero con i pigmei Baka del Camerun sud-orientale. «Anziché occuparsi dei potenti che reggono le fila del bracconaggio organizzato, i guardaparco e i soldati perseguitano i Baka, che cacciano solamente per sfamare le loro famiglie», era il tenore della denuncia. «I Baka e i loro vicini, accusati di bracconaggio, subiscono arresti, pestaggi e torture. Molti Baka raccontano di amici e parenti morti a causa delle percosse. Il Ministro delle Foreste e della Fauna del Camerun, che recluta i funzionari forestali, è finanziato dal Wwf. Il Wwf, inoltre, fornisce alle guardie assistenza tecnica, logistica e materiale. Senza questo sostegno, le squadre anti-bracconaggio non potrebbero operare». Ma, appunto, era solo un anticipo. Un intero rapporto è ora uscito col titolo «Il lato oscuro della conservazione», in cui non solo il Wwf ma anche The Nature Conservancy e altre organizzazioni ecologiste sono accusate di stare portando avanti programmi che sfrattano gli indigeni dalle aree protette. Il motivo è che in questi giorni si tiene a Sydney il Congresso Mondiale sui Parchi: una conferenza internazionale sulla conservazione delle aree protette che si svolge ogni dieci anni. Il rapporto è collegato alla campagna Parks Need Peoples e si contrappone all’altra campagna United for Wildlife, che è promossa dai principi William e Harry, e di cui si dice che non ha risposto agli appelli che la sollecitavano a sostenere il diritto dei popoli indigeni a vivere nelle terre tradizionali e a cacciare per nutrirsi. Il rapporto denuncia che quasi tutte le aree protette sono, o sono state, terre ancestrali di popoli indigeni. Cioè, terre che i popoli indigeni hanno gestito, e da cui hanno dipeso, per millenni. Tuttavia, nel nome della «conservazione» i popoli indigeni vengono sfrattati da queste terre in modo che secondo Survival International è illegale. Vengono accusati di «bracconaggio» perché cacciano per procurarsi il cibo. Rischiano di essere arrestati, pestati, torturati e uccisi dalle squadre anti-bracconaggio. Nel contempo, per esigenze di finanziamento di queste campagne le stesse aree vengono aperte non solo al turismo, ma in alcuni casi perfino ai cacciatori di trofei paganti. Non è solo il caso dei Baka. Secondo Survival International, in nome della conservazione almeno 50.000 persone sono state cacciate dalle loro case o terre in Africa centrale: «ma alcuni elevano questa cifra nell’ordine dei milioni». Altre 100.000 persone hanno fatto la stessa fine in India nel 2009, con «milioni di altri privati delle loro fonti di approvvigionamento e sopravvivenza». Mezzo milione di persone sarebbero a rischio in Thailandia. Quattro «esempi tra molti». Gli abitanti della Sariska Tiger Reserve nello Stato indiano del Rajasthan, cacciati per dare spazio alle tigri in una dove in realtà nel 2005 non c’era già più alcun felino. Gli Ogiek della Mau Forest in Kenya. I Boscimani della Central Kalahari Game Reserve in Botswana, con la scusa della conservazione cacciati nel 2002 da una zona in cui poi invece si è iniziato a estrarre i diamanti. I Maasai di Loliondo in Tanzania, cui dopo l’espulsione dalle loro terre era stato promesso un «corridoio» tra i parchi del Serengeti e del Maasai Mara, che invece è stato poi affittato a una società che organizza safari. Un caso emblematico era stato prima ancora quello dei Wanniyala-Aetto: i famosi Vedda, popolo aborigeno dello Sri Lanka, cacciati dal 1983 dalla zona in cui da millenni vivevano cacciando e raccogliendo miele selvatico e frutta, per dare spazio al Maduru Oya National Park.