Carlo Bertelli, Corriere della Sera - La Lettura 16/11/2014, 16 novembre 2014
LUCI, COLORI, AMBIZIONI IL RESTAURO SVELA I SEGRETI DI PIERO DELLA FRANCESCA
Con attenta gradualità, in questi anni il Museo Civico di Sansepolcro, in collaborazione con la Soprintendenza d’ Arezzo e l’Opificio delle Pietre Dure, ha restaurato e analizzato tutte le opere di Piero della Francesca che possiede. È ora arrivato il turno della Resurrezione , l’affresco che Aldous Huxley, parafrasando Vasari, nel 1925 promosse a The best painting del mondo, un titolo che, sembra, nel 1944 risparmiò alla città un bombardamento, quando il giovane comandante britannico della batteria di cannoni in posizione di fuoco non sparò per non colpire il «dipinto più bello del mondo».
Soggiogati dalla serena bellezza dell’opera, ora che ci sono presentate le fotografie ai raggi infrarossi e agli ultravioletti, le macrofotografie e le risposte delle prime analisi, ci rendiamo conto di quanto poco sapessimo della sua fattura. Nel 1915 un restauratore esperto, Domenico Fiscali, lo stesso che in quel medesimo anno aveva restaurato la Leggenda della Croce in San Francesco ad Arezzo, dichiarò che, a suo avviso, non si trattava di un «buon fresco», bensì di una tempera alla caseina. Le piccole, minutissime scaglie di colore cadute, la sovrapposizione dei colori a strati, lo spessore della pennellata spingono a considerare anche questa lontana ipotesi e siamo ora in attesa di nuovi risultati.
Si profila così un restauro epocale, che garantirà la conservazione e farà progredire la conoscenza. Apparentemente non si potrebbe pensare composizione più semplice di questa: un quadrato spartito in tre zone orizzontali, il sarcofago cui si appoggiano i quattro soldati tra loro intrecciati, i monti dietro la figura di Cristo, infine il cielo. La luce si concentra tutta nel manto rosa e nel torso latteo di Cristo, ma l’alba si affaccia già dietro gli alberi e la collina. Tutto qui è immobile, è soltanto la luce del giorno imminente a suggerire il movimento, ma è appunto il movimento della luce, non delle persone o delle cose. La croce sul vessillo è una verticale che ha tale rispondenza in tutte le altre del dipinto, da rendere inconsapevoli del leggero agitarsi della stoffa, Cristo fa leva sull’asta e punta il piede sull’orlo del sarcofago, sorge senza alcuno sforzo, lento come il sole che sta per salire.
Il restauro si concentrerà soprattutto nel capire come nacque il capolavoro. Piero disegnò i particolari della composizione su di un cartone e quindi ne forò i contorni per trasferirli sull’intonaco attraverso lo spolvero dei fori col carbone. Nel piede di Cristo appoggiato sul sarcofago questo processo è evidentissimo. La razionalità della visione prospettica si confonde qui con la perfezione statuaria del disegno, che tuttavia consente all’arto una tenera dolcezza di carne vera, realizzata in sfumature di verde azzurro e di rosa, che il segno del chiodo — una leggera macchia inconsistente — appena sfiora. Dove invece Piero ha insistito sulle vicende anteriori alla resurrezione, è nella descrizione della ferita sul costato. Anche in questo caso, la decisione di dipingere la piaga venne in un secondo tempo. Piero era ammaliato dalla dolcezza dell’ incarnato del Risorto e, dopo aver modellato il corpo perfetto e intatto come quello di un Dioscuro antico, aggiunse, sopra la pennellata larga e spessa, una macchia rossa che due grumi appena di bianco di San Giovanni trasformano in gocce che riflettono la luce come rubini.
Nel dipinto tutti dormono. Dorme l’umanità in attesa del ritorno del Cristo, dorme la natura in attesa del risveglio primaverile. Il Redentore è qui tutt’uno con la sua stessa creazione. Dorme perfino il soldato con la testa rovesciata sul sarcofago — altare da cui il Cristo sta emergendo. La tradizione vi riconosce, credo a ragione, l’autoritratto di Piero. Se è così, si tratta dell’ eccezionale autoritratto del pittore addormentato. Egli non si vanta del prodigio che ha realizzato, come se tutto fosse miracolosamente anonimo e naturale. Piero sogna. Sogna la scena che ha dipinto per noi, anzi per la sua città, poiché la Resurrezione appare nello stemma civico di Sansepolcro. Alla reliquia che dette nome al Borgo, un frammento del Santo Sepolcro portato da due mitici pellegrini, allude probabilmente la pietra su cui si appoggia il soldato più a destra. Gli occhi di Cristo sono i soli aperti in tutto il dipinto. E ci guardano. Sono occhi di difficile interpretazione.
Roberto Longhi, impressionato dall’integrazione del Cristo con la natura circostante, li vide bovini. Certo, il Cristo deve ancora avere nella mente le cose spaventose e dolorose che ha visto agli inferi, ma non è qui soltanto perché è tornato in vita. È qui anche per salire al trono del giudice e alla Maddalena, la prima testimone della sua resurrezione, imporrà di non toccarlo. Una intangibile sacralità è il segreto di questa sua immagine.
Piero rifletté prima di dipingere gli occhi, come dimostrano i segni incisi sopra le arcate sopraccigliari. I documenti ci dicono che dietro l’ affresco vi era una canna fumaria, che potrebbe essere stata responsabile almeno in parte dell’ oscuramento di tutta la superficie e dell’inaridimento della materia pittorica. La notizia è che ora è stata trovata la sua ubicazione, ma ciò che ancora non sappiamo è dove la Resurrezione fosse stata dipinta.
Non fu infatti eseguita sul muro dove ora si trova. Nel Cinquecento, il muro originario fu segato e trasportato dove è ora, in una sala del Palazzo dei Conservatori, oggi Museo Civico. Una vetrata permette, oggi, di vedere la Resurrezione dalla piazza. Una tenue illuminazione fa sì che la sua immagine doni tranquillità alla notte cittadina. Ma come si presentava l’ affresco nella situazione originaria? La scena appariva lontana, al di là di una solenne inquadratura architettonica, tra due colonne scanalate con capitelli compositi, poste sopra uno stilobate probabilmente più alto della base attuale. Sarà impossibile ricostruire l’architettura dipinta, nella quale Piero dimostrava la sua profonda sintonia con la Roma antica e anticipava le invenzioni di Bramante e di Raffaello, che poterono vedere quanto Piero aveva realizzato a Roma.
Non sono pochi gli interrogativi che accompagnano l’operazione, appena iniziata, del restauro. Malgrado la sicura impostazione del disegno preparatorio, Piero lavorò lentamente, ogni volta correggendosi e aggiungendo nuove riflessioni, non tanto sulla forma quanto sul colore. Per esempio, l’intervallo fra la testa dell’autoritratto e il ginocchio del Cristo, fu campito in un secondo momento e una simile osservazione può ripetersi in differenti punti della composizione. Ne rendono conto specialmente le fotografie alla riflessione dei raggi ultravioletti, raggi d’onda più breve di quelli visibili e che rendono scure le parti più superficiali, in particolare i ritocchi. Di ritocchi, e probabilmente anche di adesivi e colle, un’opera così venerata ne subì di sicuro.