Antonio Debenedetti, Corriere della Sera 16/11/2014, 16 novembre 2014
LA DESTREZZA IN NERO DI DUE GIALLISTI
Una morta che non è morta... Un assassino che si trasforma in vittima del suo stesso piano criminale... Sono colpi di scena che, nell’era dei computer, vanno goduti alla luce di alcune informazioni preliminari. Cominciamo dal punto di arrivo cioè da quello che fu, a metà degli anni Cinquanta, il segreto del successo di Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Quei due bravi ma mai pienamente riconosciuti giallisti francesi decisero, dopo essersi incontrati e aver fatto società, di osare forti del loro scrivere a quattro mani l’inosabile, cioè di fare a meno nei loro libri del buon senso, di sopprimere la logica, di infischiarsene delle contraddizioni più plateali mettendo il lettore di fronte al fatto compiuto. Come i grandi illusionisti, di cui condividono il gusto dell’azzardo spettacolare, Boileau e Narcejac puntano all’applauso a scena aperta. Niente sofisticherie o strizzate d’occhio ai critici. I due lavorano a tutto vantaggio del lettore comune, quello che cerca nelle loro pagine distrazione e divertimento.
Boileau e Narcejac, per garantire la piena riuscita dei loro giochi di destrezza, hanno bisogno come i grandi prestigiatori d’una atmosfera ben preparata e calcolata. Luci schermate, penombre ottenute con effetti un po’ da baraccone, un tono vagamente funerario. Il loro, detto alla svelta, è un mondo dove sembra non essere ancora stato inventato il sole. Con un istinto da formidabili guitti sanno in che modo far stare la platea dei loro lettori col fiato in gola. Non ci credete? Pensate che abbia esagerato? Prendete questo romanzo, I diabolici (traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco, Adelphi, pagine 173, e 16 ), una vera chicca dove «effettacci», scene madri costruite in deliziosa malafede, trovatine tirate su come la chiara d’uovo si susseguono senza soste. A patto di non guastarvi da soli la festa con dubbi superflui, con riflessioni fuori luogo, arriverete alla fine d’un fiato.
Un viaggiatore di commercio, Fernand Ravinel, rappresentante di articoli da pesca, si lascia convincere da Lucienne, la sua amante, a compiere un passo mica piccolo: uccidere la moglie o quantomeno farsi complice d’un tale odioso delitto. L’uomo, in realtà attirato dal sostanzioso premio d’una assicurazione, vince gli ultimi scrupoli dicendosi: «Beh, sì, tutto sommato mi sono sposato senza sapere bene perché». Eppure Mireille, questo il nome della futura morta ammazzata, non sembra da buttar via. Giovane ancora, poco più di trent’anni, «è minuta ma muscolosa e tonica. Ha le labbra fresche e minuscole lentiggini intorno al naso. Può nel complesso dirsi una donnina graziosa anche se insignificante».
L’abilità degli autori sta nel farcela vedere mentre viene fatta morire affogata nella vasca del suo bagno e nel farci più tardi ritenere che sia ancora viva. Caspita! E la sua assassina? Dottoressa in medicina, con al mignolo un anellone da banchiere (sic) e una passione per le bisteccone al sangue, lascia nella bocca del lettore un retrogusto d’antipatia. Che diavolo! Con Fernand, il suo concubino, non riesce a fare nemmeno del buon sesso esaustivo. Liberatorio. Che razza di donna è? Non aggiungiamo altro, una frettolosa parafrasi non renderebbe giustizia alla vicenda.
Andrà ricordato che I diabolici ebbe una fortunata versione cinematografica diretta da Henri Clouzot. Le protagoniste Mireille e Lucienne furono trasformate dalle bravissime Simone Signoret e Véra Clouzot in due indimenticabili varianti moderne di quelle che sotto altre lune erano le dark lady. Cosa non sa fare il cinema! Pensate cosa riuscì a ottenere Hitchcock dalla «patatinosa» Kim Novak nella Donna che visse due volte derivato dall’altro longseller di Boileau e Narcejac che i francesi conobbero col sinistro ma catturante titolo di D’entre le morts.