Giusi Fasano, Corriere della Sera 15/11/2014, 15 novembre 2014
«BARBA E DOCUMENTI, IL MIO PIANO» DIARIO DEL KILLER DEL CATAMARANO
DALLA NOSTRA INVIATA ANCONA «Stabilii un piano e seppur riconoscessi io stesso quanto fosse pazzesco, curai l’esecuzione sino alla fine nei minimi dettagli (...) Il mio piano consisteva nell’andare in Polinesia con Diana e spacciarla per mia figlia di 13 anni (...) Mi feci crescere la barba e lei si iscrisse a un’associazione studentesca con il mio cognome e l’età di mia figlia». E giù dettagli sul progetto, sui documenti da usare, sui passaggi più rischiosi del viaggio....
Metodico, paziente, costante, accurato, deciso. Filippo De Cristofaro è sempre stato così. Cura i suoi piani «nei minimi dettagli», come scrive lui stesso negli appunti che dovevano diventare il libro della sua vita e che adesso sono invece pagine buone, semmai, per studiare il suo profilo psicologico e cercare di capire dove può essere finito e chi può averlo aiutato a fuggire.
Sessanta pagine di un ergastolano che racconta di sé, dei suoi amici più cari, dei suoi sogni e dei luoghi e delle persone che per lui hanno contato quand’era un uomo libero. Sono nel fascicolo del suo processo e sono diventate materiale prezioso per gli inquirenti che gli stanno dando la caccia da quando, sette mesi fa, non è più rientrato in carcere (sull’isola d’Elba) dopo un permesso premio di tre giorni.
Il killer del catamarano, come lo definirono le cronache dell’estate 1988, si è ripreso la sua libertà il 19 aprile, non il 21 quando invece venne dato l’allarme. Aveva l’obbligo di firma ma con il suo «studiare ogni dettaglio» probabilmente aveva previsto che se anche non avesse firmato nessuno se ne sarebbe accorto. E infatti andò così e quando finalmente partirono le ricerche lui aveva quasi tre giorni di vantaggio, un’enormità.
Un passo indietro nel tempo: il 28 giugno 1988. Il cadavere di Annarita Curina, skipper di Pesaro, finisce nella rete a strascico di un peschereccio. Le indagini portano a Filippo De Cristofaro e alla sua fidanzata olandese diciassettenne, Diana Beyer, rintracciati e arrestati in Tunisia. I giudici credono nel racconto di lei: ha progettato tutto lui e l’ha coinvolta nel delitto, voleva che fosse lei a ucciderla ma lei ha dato una prima coltellata e poi non ce l’ha fatta e lui ha «finito» Annarita a colpi di machete. Per rubarle il catamarano e fuggire in Polinesia. Alla fine i giudici diedero l’ergastolo a lui e 6 anni e 6 mesi a lei che in realtà, grazie all’intervento della sua avvocatessa Marina Magistrelli, scontò in cella solo 15 mesi.
Davanti al «fine pena mai», invece, il killer del catamarano ha vissuto ogni giorno di carcere con l’ossessione della fuga. Ci provò una prima volta nel 2007 riuscendo a fuggire dal carcere di Opera, ma lo rintracciarono dopo poche settimane. Avrebbe dovuto organizzarla meglio, pensò tornando in carcere. E si rimise a «studiare».
Sette mesi fa gli uomini della squadra mobile di Ancona guidati da Giorgio Di Munno, hanno disegnato la mappa dei suoi primi spostamenti fino a perderne le tracce. Il procuratore generale Vincenzo Macrì, allarga le braccia: «Le piste che abbiamo seguito fin qui non hanno dato i frutti sperati e francamente al momento ritengo improbabile riuscire a rintracciarlo. Ma certo non ci arrendiamo».
Nessuna resa, a costo di ricominciare tutto daccapo, compreso il fatto di riaprire il fascicolo dell’omicidio e cercare lì dentro un possibile indizio. Per esempio, appunto, le pagine che lui scrisse per farne un libro sulla sua vita. L’incipit: «Il lettore dovrà scusarmi se non ho la fluidità di scrittori professionisti». Poi il racconto dell’infanzia, dei tanti lavori per sbarcare il lunario, della passione per il ballo, degli studi, dei Paesi in cui ha vissuto e lavorato e infine la conoscenza di Diana e il progetto (fallito) di fuggire con lei, minorenne, in Polinesia. Quel piano incrociò la povera Annarita, conosciuta per caso e diventata strumento per realizzare il sogno, perché possedeva un catamarano. Nel suo libro-diario, De Cristofaro racconta che (prima di ideare l’omicidio) si occupò anche di «distrarre» gli amici per non far notare quanto fosse nervosa Diana. A modo suo scrupoloso. Come lo è stato 26 anni dopo. In fondo il progetto è sempre quello: scappare.