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 2014  novembre 15 Sabato calendario

LA SCUOLA SECONDO L’ISIS: NÉ ARTE NÉ GINNASTICA

«Dall’inizio del nuovo anno accademico hanno rigorosamente diviso studenti da studentesse. Le classi miste sono vietate. Professori maschi non possono avere femmine tra gli allievi e viceversa. L’università è stata addirittura sdoppiata per evitare l’incontro tra i due sessi. Lo stesso hanno imposto al mercato, dove ormai ci sono intere aree per donne e altre per uomini». Le testimonianze quotidiane che giungono da Mosul e dalle aree saldamente sotto controllo dello Stato Islamico (anche noto come Isis) a cavallo tra Iraq e Siria descrivono con dovizia di particolari la nascita di una sorta di nuovo «Isistan» che ricorda molto da vicino l’Afghanistan del Mullah Omar venti anni fa.
L’interpretazione «talebana» della versione più integralista della legge coranica fa da padrone. «L’educazione fisica è stata sostituita da lezioni intense di sharia (la legge islamica, ndr ). Oppure da corsi di jihad (la guerra santa, ndr ). Al posto dell’arte si studia la calligrafia araba. Il nuovo nome da imparare bene a memoria per tutti nel mondo della scuola è quello di Dulqarnain, che è il responsabile di Isis incaricato dei programmi educativi nella provincia di Ninive», scrive un abitante in questa che sino ai primi di agosto era la provincia più ricca di comunità cristiane e di variegate minoranze etniche e religiose. Sui siti web locali si firma «Mays». Il suo diario, come del resto le testimonianze di tanti altri iracheni e siriani rimasti a vivere sotto il governo di Isis, è stato ripreso negli ultimi giorni dai media iracheni di Bagdad e anche dalla Bbc . Per le nuove «pattuglie della moralità» (anche questo un nome che richiama immediatamente l’universo talebano) sono tabù tutte le forme d’arte che riproducano il corpo umano e persino gli animali. Vietate a scuola le matite colorate. Una settimana fa le televisioni di Bagdad riportavano la comparsa di posti di blocco con miliziani specificamente incaricati di punire chiunque ascoltasse musica diversa dalle nenie islamiche. E’ prevista la fustigazione per chi viene sorpreso a fumare. Nella zona siriana di Raqqa (la capitale di Isis) sarebbe anche stato creato un battaglione denominato «Al Khansa» costituito da donne, tra cui alcune volontarie arrivate dal Kuwait, e comandato da una certa Um Miqdad, che sarebbe alle dipendenze dirette del Califfo Abu Bakr al Baghdadi con lo specifico incarico di occuparsi degli affari femminili nella guerra agli «infedeli».
Ovviamente sui social media non si trovano solo critiche. E’ proprio tramite la Rete che Isis va a reclutare i volontari stranieri, che oggi costituiscono larga parte dei suoi quadri dirigenti anche a Mosul. E alcuni tra gli effetti più popolari dell’intransigente rigorismo jihadista sarebbero la fine della corruzione, l’abbassamento dei prezzi e soprattutto la scomparsa di crimini e furti. Tutto questo può essere letto come una genuina adesione alla causa di Isis in una parte della popolazione sunnita stanca delle ingiustizie perpetrate dai governi sciiti a Bagdad e da quello di Bashar Assad a Damasco negli anni passati. E tuttavia risulta molto difficile comprendere i sentimenti prevalenti.
La repressione del Califfato «in nome di Allah» è totale e senza clemenza. Qualsiasi oppositore, o anche solo critico dei suoi sistemi di governo e regolamenti sociali, può essere torturato e ucciso praticamente senza processo.
Un rapporto pubblicato ieri dalle Nazioni Unite accusa i dirigenti e militanti Isis di «gravi crimini contro l’umanità», che includono «massacri di massa» dei prigionieri e delle minoranze etniche e religiose, oltre a decapitazioni e lapidazioni pubbliche. I massacri più recenti hanno visto la morte di diverse migliaia di uomini legati alle tribù sunnite di Al Anbar, la regione dell’Iraq occidentale, che si rifiutano di aderire alla causa jihadista. La pressione nei loro confronti è oggi fortissima. Tanto che nelle ultime ore il Califfato ha reso noto un nuovo decreto: ogni famiglia deve offrire un suo giovane da reclutare tra le milizie combattenti contro il governo di Bagdad. I «disertori» rischiano la decapitazione di fronte ai loro cari. Esenti solo anziani e figli unici.