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 2014  novembre 15 Sabato calendario

GENTILONI: GARANTIRE ALLA RUSSIA IL SUO RUOLO DI GRANDE PAESE

Qual è il posto dell’Italia nel mondo?
«Quello di un Paese europeista, fedele ai valori occidentali, internazionalista e aperto, che non vuole chiudersi nel protezionismo, ma promuove gli scambi, è favorevole a un’immigrazione regolata, partecipa alle missioni di pace e sicurezza. Non ultimo, un Paese molto concentrato sul Mediterraneo: ce lo chiedono i Paesi dai Balcani al Nord Africa. C’è forte coerenza nella politica estera italiana degli ultimi 60 anni e i nostri partner ne hanno piena consapevolezza».
Da poco più di due settimane alla guida della Farnesina, Paolo Gentiloni deve misurarsi con un fardello di crisi regionali che proprio in questi giorni tornano ad aggravarsi, proiettando instabilità e scenari minacciosi. Di Ucraina, Libia e situazione economica europea il nuovo ministro degli Esteri ha parlato mercoledì, nel tour de force che lo ha portato a Berlino, Parigi e Madrid.
«Con i colleghi Steinmeier, Fabius e Garcia-Margallo — dice Gentiloni nella prima intervista a un giornale italiano — abbiamo confermato i rapporti di grande amicizia e sintonia tra i nostri Paesi. Ho avuto la netta impressione che ci sia ormai piena consapevolezza che il problema dell’Europa non è più legato a questo o quel singolo Paese, e noi siamo stati a lungo considerati un rischio, ma coinvolge l’intera economia europea. Le risposte in termini di rilancio, investimenti, lavoro e crescita devono essere comuni. Il che in parte è già implicito nelle regole d’ingaggio della commissione Juncker. Parlo del piano dei 300 miliardi e della priorità data alla crescita. Noi rispettiamo tutte le regole, ma il problema della crescita riguarda tutti, inclusa la Germania».
Le ultime uscite del presidente del Consiglio hanno però alimentato l’impressione di un’Italia meno «europeista comunque», rispetto al passato. Quanto c’è di vero?
«Io credo che Matteo Renzi sia europeista super convinto e abbia esportato questo spirito, contribuendo alla stabilità europea. Il modo in cui in Italia si è riusciti a costruire consenso, non solo elettorale, attorno a una linea di riforme e impegno europeo, ha fatto bene all’intera Ue. Ho registrato notevole interesse verso il nostro premier, sia tra i progressisti che tra i moderati. La dialettica su singole questioni non va confusa con il dato di fondo. Immaginiamo cosa sarebbe successo se dalle elezioni europee fosse emerso in Italia un dato più simile al risultato delle politiche del 2013».
Secondo la Nato, un forte concentramento militare russo è in corso al confine orientale dell’Ucraina. Il segretario Stoltenberg ha detto al nostro giornale che l’Alleanza Atlantica è pronta a sostenere l’Ucraina. È preoccupato?
«Condivido due sottolineature di Stoltenberg: la prima che l’Ucraina non fa parte della Nato. E l’Italia dà per scontata questa non appartenenza anche per il futuro. La seconda è che non esistono soluzioni militari. Certo c’è preoccupazione per i rischi di escalation. È stata messa in campo una strategia, con misure e sanzioni, cui l’Italia partecipa con coerenza e trasparenza assolute, senza accettare lezioni da alcuno. Credo però sia evidente a tutti che accanto alla necessaria fermezza, occorra tenere aperti tutti i canali diplomatici e cercare una soluzione politica in grado di garantire l’autonomia dell’Ucraina, ma anche il ruolo di un grande Paese come la Russia. Nella maggior parte dei colleghi ho riscontrato piena convergenza su questa combinazione di fermezza e dialogo. È illusorio pensare che la situazione possa risolversi con il solo strumento delle sanzioni. Ne parleremo lunedì a Bruxelles, nel primo Consiglio Esteri guidato da Federica Mogherini».
L’Italia non partecipa alla coalizione contro l’Isis. Non è un cambiamento rispetto alla linea che ci ha visti presenti in tutte le missioni internazionali?
«L’Italia partecipa politicamente e sostanzialmente alla coalizione globale anti-Isis. Siamo presenti alle riunioni, inviamo materiali, armi, effettueremo voli di ricognizione. Non prendiamo parte ai bombardamenti, del resto non potremmo farlo senza mandato parlamentare, ma in verità solo pochi Paesi lo fanno. Prendo spunto, per sottolineare che siamo uno dei Paesi al mondo più presenti nelle missioni di pace e sicurezza. Dovremmo avere maggior coscienza di esercitare un ruolo così importante».
La crisi in Libia ci tocca da vicino. Cosa pensiamo di fare, a parte essere i soli a prendere il fuoco con le mani tenendo aperta l’ambasciata?
«Non dobbiamo rassegnarci al rischio che la divisione diventi permanente e degeneri in piena guerra civile. Bernardino Leon, l’inviato delle Nazioni Unite, ha un compito difficile, ma è la strada su cui insistere, rafforzandola. I Paesi in grado di farlo, l’Italia in prima fila, devono esercitare una funzione di moderazione e influire sulle nazioni vicine o collegate, come Egitto, Algeria, Emirati, Turchia. In più l’Onu deve rimettere tutti a un tavolo: gli europei e i soggetti regionali interessati. Da solo, facendo la spola, Leon non può farcela. La crisi libica è una minaccia per il Mediterraneo e per l’Europa. Quest’anno abbiamo ricevuto attraverso la Libia 140 dei 160 mila rifugiati dalle aree di crisi. Bisogna fare in fretta, il tempo corre. La prossima settimana dovremmo vederci a Madrid con i Paesi coinvolti».
Cosa intende fare per i marò?
«Come ho ribadito anche ai due fucilieri di Marina, sulla questione c’è il massimo impegno del governo, sia sul piano dell’assistenza legale che su quello politico-diplomatico. Per il resto mi attengo alla più stretta riservatezza».
La Farnesina è stata ridimensionata dalle ultime finanziarie. Come intende valorizzare il potenziale di conoscenze della nostra diplomazia?
«Ho trovato un ministero solido, ricco di professionalità e competenze. Noi disponiamo di una rete, che non è passiva ma intelligente. Siamo al servizio delle istituzioni e di tutti i soggetti privati italiani nel mondo, ma con precise priorità di politica estera ed economica. Non siamo un service . Avendo chiare le direzioni di marcia, per esempio che siamo uno dei primi Paesi esportatori al mondo, possiamo far bene. Naturalmente serve stabilità: sono il quinto ministro in poco più di tre anni».