16 novembre 2014
VOLTAGABBANA
Il record della Sicilia: sono già 43 su 90, quasi uno su due, i deputati regionali che hanno cambiato casacca in due anni, ovvero dall’inizio della legislatura del governatore Crocetta
la Repubblica, giovedì 13 novembre 2014
L’ultima sigla è nata proprio ieri: Sicilia democratica, nuova insegna della maggioranza che sostiene il governatore Rosario Crocetta. L’hanno abbracciata con entusiasmo – su input del capopopolo catanese Lino Leanza – sei deputati: tre dei quali eletti nelle file dell’opposizione. È il tredicesimo gruppo parlamentare di un’Assemblea regionale che ha battuto ogni record di trasformismo. Sono già 43 su 90, quasi uno su due, i deputati regionali che hanno cambiato casacca in due anni, ovvero dall’inizio della legislatura. È un fenomeno inarrestabile, quello della transumanza politica all’interno dell’antico e glorioso Palazzo dei Normanni: sono 62, in tutto, gli spostamenti, perché non sono pochi i deputati che ne hanno fatto più di uno. In media, da quando è in vita il parlamento siciliano nella sua attuale composizione, una volta ogni dieci giorni un “onorevole” ha fatto i bagagli ed è passato in un altro partito. Con contorsioni inimmaginabili. La più irrequieta Alice Anselmo, che oggi milita nel movimento “Articolo 4” dopo essere stata eletta nel listino del presidente Crocetta, essersi iscritta al gruppo “Territorio”, avere abbracciato i “Democratici riformisti” e avere sposato l’Udc. E cosa dire dell’ex sindaco forzista di Ragusa Nello Dipasquale che, folgorato dall’ex comunista Crocetta, ha militato finora in tre gruppi diversi e si appresta ad approdare a quello dei democratici? Un percorso che si conclude solo due anni dopo un mitico comizio in piazza a Niscemi, ancora visibile su Youtube, in cui Dipasquale, lo stesso Dipasquale, urlava a squarciagola «Questo Pd mi fa schifo». Per carità, la Anselmo e Dipasquale sono in buona compagnia, in un’Ars in cui la frantumazione politica ha prodotto ben tre gruppi di Forza Italia, e in cui può accadere che Salvatore Lo Giudice, un candidato eletto nella lista dell’ex Msi e An Nello Musumeci, passi nella coalizione del “rosso” Crocetta ancora prima della seduta inaugurale. Saltano le appartenenze, le ideologie. Solo i gruppi di Pd e M5S hanno mantenuto, quasi per intero, la loro originaria consistenza. Con qualche clamorosa eccezione: l’ex pentastellato Antonio Venturino, che dell’Ars è vicepresidente, si è rifugiato sotto il garofano del Psi. Da Grillo a uno degli ultimi simboli della Prima Repubblica, un salto all’indietro da brividi. In 14, d’altronde, hanno cambiato non solo partito ma schieramento. La testimonianza di una instabilità che non teme confronti. Né con il passato stessa Ars – nella scorsa legislatura lunga quasi 5 anni furono “appena” 34 i deputati saltafosso – né con il Parlamento: alla Camera, finora, la media dei cambi di casacca è stata di uno su 10 deputati, a Palazzo Madama di uno su quattro senatori. «Tutto ciò è amorale», tuona Musumeci, che è presidente della commissione regionale antimafia. E che, per frenare questo frenetico via vai da un gruppo all’altro dell’Assemblea siciliana, ha pensato addirittura a disincentivi economici: una “multa” da 500 euro mensili ai gruppi che accolgono i transfughi. Ma il codice etico di Musumeci non è ancora stato esaminato neppure in commissione. Qualcuno ha obiettato che con questa norma, forse, si viola la libertà di mandato che la Costituzione riconosce agli eletti. E allora la transumanza continua.
Emanuele Lauria
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La Costituzione, articolo 67, garantisce al parlamentare di esercitare le sue funzioni senza vincolo di mandato. Una garanzia per la libertà di espressione e di scelte del singolo di fronte a possibili diktat delle maggioranze interne ai partiti, specie se queste ’forzano la mano’, avanzando proposte non inserite nel programma elettorale. Ma i nostri parlamentari tendono a esagerare e spesso utilizzano questa libertà garantita dalla Carta come arma per seguire personali convenienze politiche e non solo.
Dall’inizio della legislatura nella sola Camera dei Deputati sono 76 gli onorevoli che hanno cambiato partito o gruppo parlamentare, secondo i dati forniti da OpenPolis. Su 630 eletti, vale a dire il 12% del totale. Una percentuale enorme, specie se consideriamo che nella precedente legislatura (2008-2013) i cambi di casacca erano stati 120 ma in cinque anni.
In testa a questa speciale classifica gli eletti di Forza Italia e Scelta Civica. Il partito di Berlusconi ha perso per strada ben 28 deputati dopo il ’tradimento’ di Alfano consumato nell’autunno 2013. L’ex premier voleva staccare la spina al governo Letta, ’colpevole’ di non tutelarlo sul fronte decadenza dalla carica di senatore. I ’diversamente berlusconiani’ lo lasciarono col cerino in mano durante il voto di fiducia a ottobre, per poi distaccarsi definitvamente qualche settimana più tardi e dare vita al Nuovo Centrodestra.
Scissioni anche in Scelta Civica, l’ormai ex partito di Mario Monti, un anno e mezzo fa convinto di governare con Bersani dopo le Politiche del 2013. La divisione si è consumata grazie ai noti trasformisti Mario Mauro (già ex Forza Italia) e Pierferdinando Casini (che politicamente ha flirtato con chiunque), che hanno dato vita al gruppo Popolari per l’Italia, una delle tante stampelle del governo Renzi al Senato. Scelta Civica ha perso complessivamente 18 deputati, per poi scomparire alle urne nel voto europeo dello scorso 25 maggio.
Medaglia di bronzo, ma solo per il numero ridotto di deputati, per Sinistra Ecologia e Libertà. Il voto sul DL IRPEF ha definitivamente spaccato il partito (leggi) dopo un anno vissuto nella strana situazione di essere alleati del PD, ma ufficialmente fuori dalla maggioranza di governo. SEL ha perso 12 deputati fin qui, ma in termini di percentuale si tratta di un terzo degli eletti totali (37). Cinque deputati in meno anche per il Movimento Cinque Stelle, che hanno lasciato aderendo al gruppo Misto dopo le polemiche su vertenza Ilva (Furnari e Labriola), per solidarietà alla senatrice espulsa Adele Gambaro (Zaccagnini) e per le successive espulsioni a Palazzo Madama di Orellana, Campanella, Bocchino e Battista (Catalano e Tacconi).
Ci sono poi gli eterni indecisi, deputati che hanno fatto avanti e dietro da un gruppo all’altro. Come Alberto Giorgetti (tornato da Berlusconi dopo breve parentesi nel NCD) e Stefano Quintarelli (il quale, precisa nei commenti lo stesso deputato, è passato da Scelta Civica e Popolari per l’Italia, e ritorno, per favorire la scissione fra le due litigiose componenti del partito fondato da Mario Monti)
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Repubblica, 13 novemre 2014
ROMA .
Voltafaccia, gruppuscoli che mestamente si dissolvono e un pallottoliere che lavora a ritmo serrato. I cambi di casacca si rincorrono, al Senato. Ed ecco che già si prepara una nuova microscissione: tre senatori dei Popolari per l’Italia, capitanati da Mario Mauro, sono pronti a migrare. Dalla maggioranza all’opposizione, allora: «Per andare dove? Stiamo ragionando. Di certo noi siamo dalla parte opposta rispetto a Renzi». Finiranno con ogni probabilità già oggi in Gal — «è possibile, valutiamo ogni strada» — di certo la mossa dell’ex ministro della Difesa assottiglia ancor di più il modesto vantaggio su cui può contare Matteo Renzi a Palazzo Madama. Senza di loro, infatti, la maggioranza — almeno quella organica — scende a quota 166.
Ormai da mesi Mauro, assieme al collega Tito Di Maggio, mostra insofferenza per la svolta renziana. «E ora si avvicinano a noi, scegliendo una posizione intermedia...», conferma l’azzurro Maurizio Gasparri. È pronto insomma il gran salto: «Quando decidiamo? Attendete — dissimula il diretto interessato — qualche giorno cambia poco...». Anche l’attuale sottosegretario all’Istruzione Angela D’Onghia — pure lei senatrice — dovrebbe seguire Mauro nella nuova sfida, evitando però di votare contro Palazzo Chigi. «Noi possiamo incidere poco sugli equilibri dell’esecutivo — spiega intanto l’ex ministro della Difesa — Possiamo invece lavorare per ricostruire il centrodestra. E per farlo dobbiamo essere alternativi a Renzi».
L’ennesimo cambio di campo è accolto con freddezza da Aldo Di Biagio, anche lui senatore dei Popolari per l’Italia. «In questo momento — sostiene — non esiste altra stagione delle riforme, altra leadership e altra coalizione che l’attuale. Quello di Mauro rischia di essere un gesto disperato. Fa così perché non venne inserito nella rosa dei ministri: una questione personale, insomma. Mi fa tenerezza e dimostra la sua pochezza».
Non è solo Mauro, però, a tenere in allerta Palazzo Chigi. L’area centrista, esplosa con il fallimento del progetto di Mario Monti, è ormai un bacino di voti border line. Emblematico il caso del gruppo Gal, ufficialmente all’opposizione. Dei dodici componenti, tre (Naccarato, Davico e Langella) votano con il governo (facendo risalire la maggioranza a quota 169), altri tre (Russo, Scavone e Compagnone) sono in bilico, mentre i restanti sei votano contro l’esecutivo. Anche da questo risiko rinsecchito dipende la tenuta di Renzi.
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IN PARTENZA
Gli ex montiani Mario Mauro, Tito Di Maggio, e il sottosegretario Angela D’Onghia: verso Gal