Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 16/11/2014, 16 novembre 2014
SANDRO GOZI, L’EX PRODIANO TUTTO EGO E LASAGNE
Sandro Gozi è un appassionato di maratone. Quando la politica italiana ne ignorava l’esistenza, i giornali romagnoli segnalavano la presenza del giovane Sandro, classe ‘68 di Sogliano al Rubicone, sul ponte Brooklyn di New York. Oggi fa vita sedentaria, pure piuttosto insalubre, nei salotti televisivi. I truccatori gli passano una cazzuola di fondotinta, gli impomatano la chioma nera, e Gozi scatta: è il più convinto dispensatore di ottimismo renziano pur non essendo di origine renziana. È così fiero e tronfio per la poltrona da sottosegretario a palazzo Chigi che gli ha donato Matteo Renzi - e finanche con l’agognata delega per gli Affari europei - che potrebbe persino smentire di aver conosciuto Romano Prodi, di aver collaborato col professore presidente della Commissione europea e di aver consumato due legislature in Parlamento con geniali proposte di legge per valorizzare la sfoglia emiliana. Quello che Gozi non smentirà mai è che Gozi è uno statista, un europeista, prototipo di una generazione Erasmus (lo rivendica) che doveva prendere il potere, e forse un pochino l’ha preso. A cosa va attribuita, se non a un atteggiamento egemonico, la doppia cacciata da Chigi del consigliere per Bruxelles, il rampante Stefano Grassi, e dell’esperto ministro Enzo Moavero? Una coppia al servizio di Enrico Letta e Mario Monti, non proprio due tapini per i tecnocrati. Grassi e Moavero lo potevano oscurare, una malattia per un uomo che vive di lucine di telecamere, di poltrone dentro cui sprofondare, di scenette da interpretare. Vive di capi chinati, come all’ambasciata di Francia per ricevere il titolo di Cavaliere della Legion d’Onore; di visione globale, come nel pronosticare la ricchezza indiana da consumato reggente dell’associazione Italia-India. Fu leggendaria la scalata di un tir per discutere in tv con un camionista ingrugnito e tatuato, l’esatto opposto di Gozi che gesticola con attenzione ieratica, sacerdotale. E avrà ragione Umberto Bossi che abbandonò sdegnato il tavolo di una trattativa impossibile a Varese per puntellare l’ultimo governo di Prodi: il professore disertò l’appuntamento dai leghisti, e mandò il sobrio Gozi. Che per Bossi era “un ragazzino di parrocchia”, col massimo riguardo per le parrocchie, il Senatur scappò fuori a sfumacchiare il sigaro.
A quei tempi, sebbene fosse deputato e non più un funzionario di Bruxelles, Gozi correva da fermo. E fu citato, senza conseguenze penali, nelle carte dell’inchiesta “Why Not” e i comitati di affari di San Marino. Al professore di Bologna, Gozi deve l’ascesa in Europa e la discesa a Roma. Ha sofferto la pugnalata dei 101 a Prodi per il Quirinale, ma ha sofferto e ha denunciato ancora di più la “pulizia etnica dei prodiani”. Per l’esattezza, di un prodiano. Perché il partito non aveva assegnato a Gozi la presidenza di una commissione di Montecitorio. Non fu nominato ministro o vice o qualsiasi cosa nell’esecutivo di Enrico Letta, e lo sgarbo aumentò il fastidio del perseguitato Gozi, che s’era infilato lesto nella segreteria di Pier Luigi Bersani, tanto per coprire un fianco e accumulare punti come se la politica fosse la tessera di un supermercato: prima o poi, vinci un premio. Il mite Sandro divenne severo. Avvertiva, sospettoso, i ritardi di programma, i disguidi con Bruxelles, i pateracchi di maggioranza. Quant’era fiscale, Gozi. O era già renziano: “Il segretario di partito e il presidente del Consiglio devono coincidere”, ferragosto 2013. Una condanna a morte per l’esecutivo di Letta e una promozione a Renzi. Erano ancora lontane le primarie di dicembre. Con le primarie dem, Gozi ha sempre avuto un rapporto bizzarro. Nell’autunno 2012, all’epoca contestatore lieve di Bersani e tosto di Renzi, s’è candidato per un giorno. Un sacrificio, disse, per i figli dell’Erasmus. Condì il comunicato con un appello a Civati: “Pippo, facciamo squadra insieme”. Pippo o non Pippo, rimase solo. Sul lago di Bolsena, per le “governiadi” di Beatrice Lorenzin (Pdl), Gozi era in compagnia di tanta gente di destra. E siccome è un tipo che si adatta, si adattò. Elogio del Porcellum: “In teoria avrebbe agevolato il merito. Avremmo avuto la migliore classe dirigente della storia della Repubblica”. Con modestia, si può presumere che Gozi si riferisse a Gozi, anch’egli selezionato col Porcellum. In seguito, Gozi ha celebrato il Mattarellum, ovviamente l’Italicum versione iniziale e l’Italicum versione attuale. Esperto di sfoglie, se ne aveste bisogno, vi può fornire la ricetta per una lasagna classica. Il segreto: deve essere ristretto. Il sugo, non l’ego.
Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 16/11/2014