Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 16 Domenica calendario

“OGNI NOTTE A CASA PENSO CHE PUÒ ESSERE L’ULTIMA”

Possono darci quello che vogliono, ma senza bomb jammer ci fanno fuori comunque”. L’ultimo allarme si è infilato nei corridoi del palazzo di giustizia di Palermo portandosi dietro l’odore della paura. Un odore acre, come il tritolo che secondo Vito Galatolo, il boss dell’Acquasanta che ha deciso di saltare il fosso e farsi pentito, sarebbe già arrivato a Palermo, per fare saltare in aria Nino Di Matteo, il pm che da anni indaga sulla trattativa Stato–mafia, condannato a morte dalle parole di Totò Riina, oggi bersaglio principale di una strategia della tensione che mescola minacce, allarmi bomba e confidenze che dal ventre molle di Cosa nostra raccontano di un attentato già in fase preparatoria.
“Non è questione di paura, con quella ci lavoriamo”
La notizia non ha scalfito il muro umano che ogni giorno sta a guardia del magistrato: sono una decina di uomini, i suoi angeli custodi, posizionati alla fine del corridoio al secondo piano del palazzo di giustizia, dove c’è l’ufficio di Di Matteo. L’ultima rivelazione sul tritolo già arrivato a Palermo, è finita sui giornali mentre stavano facendo il loro lavoro, muti e impassibili come ogni giorno. “Non è una questione di paura: con quella ci lavoriamo portandocela addosso e guadagnandoci lo stipendio” si lascia sfuggire qualcuno, tradendo un minimo di emozione. Un lusso, l’emozione, che chi fa questo lavoro non può permettersi di avere, neanche ora che al palazzo dei veleni tornano a risuonare quelle frasi, parole nere che raccontano dell’arrivo di esplosivo e che già vent’anni fa erano state presagio di stragi. “In realtà non è cambiato granché: semplicemente ogni notte penso che potrebbe essere l’ultima che passo con mia moglie”.
Fino a un anno e mezzo fa, a fare da scorta all’uomo più in pericolo d’Italia c’erano soltanto cinque carabinieri: poi in Procura erano iniziate ad arrivare lettere di minaccia, missive anonime in cui si spiegava come “amici romani” di Matteo Messina Denaro avessero già decretato la morte del pm, perché qualcuno non voleva un governo fatto di “comici e froci”.
Doppi turni per evitare il cambio a metà giornata
Da quel momento il livello di guardia per Di Matteo è stato alzato, la scorta è stata raddoppiata, e da Roma sono arrivati gli uomini del Gis, il Gruppo intervento speciale dei carabinieri, teste di cuoio addestratissime per ogni evenienza. Seguono Di Matteo ogni metro, fanno turni doppi per evitare di darsi il cambio a metà giornata, controllano ogni dettaglio nella vita del magistrato, bonificano gli ambienti e i percorsi quotidiani : solo che qualche falla nella protezione del pm continua a esserci. A cominciare dalle vetture con cui Di Matteo si sposta: sono tre jeep, due di colore grigio, un po’ datate e con una blindatura media, e una nuova, con una blindatura B6, resistente a colpi ripetuti di Kalashnikov. Solo che l’auto più nuova e sicura, quella messa a disposizione di recente per proteggere meglio Di Matteo, non è di colore grigio come le altre, ma nera: un dettaglio importante per ipotetici attentatori che capirebbero facilmente in quale jeep si trova il pm.
“All’esplosivo non si scampa neanche con l’auto blindata”
“Il problema maggiore – dicono però i ragazzi della scorta – non è uno scontro a fuoco o un attentato con fucili mitragliatori o armi da fuoco: il vero problema è un attentato con il tritolo, a quello non si scampa neppure con le auto più blindate del mondo”. L’unica soluzione per evitare una nuova strage troppe volte annunciata è rappresentata dal bomb jammer, il dispositivo elettronico in grado di bloccare le frequenze radio, neutralizzando così qualsiasi ordigno esplosivo piazzato nei pressi delle auto blindate dei magistrati. “Il bomb jammer per Di Matteo è già stato messo a disposizione” aveva detto nel dicembre 2013 Angelino Alfano, dopo aver partecipato al vertice del comitato per l’ordine e la sicurezza, convocato alla prefettura di Palermo proprio per incrementare la sicurezza del pm minacciato da Riina. E invece a quasi un anno dalle rassicurazioni del Ministro dell’Interno, il bomb jammer per Di Matteo non è mai arrivato. Ufficialmente perché il dispositivo sarebbe ancora in fase di sperimentazione per saggiare i possibili effetti collaterali. In realtà il dispositivo è stato già utilizzato diverse volte, per scortare i capi di Stato stranieri in visita nel nostro Paese. A Palermo, però il bomb jammer non c’è ancora. Nonostante le scorte raddoppiate, le teste di cuoio e i veicoli blindati, lo Stato non ha ancora spedito l’unico strumento che può davvero salvare la vita al pm che indaga sulla Trattativa. E con la sua, salvare anche quella dei suoi angeli custodi.
Twitter: @pipitone87
Giuseppe Pipitone, il Fatto Quotidiano 16/11/2014