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 2014  novembre 16 Domenica calendario

PANCHINE ITALIANE, GENIO E INCAPACITÀ DIVISI DA UN PUNTO

Time elenca le parole da non portare nel 2015. So che oggi bisognerebbe dire bannare ma non ci riesco, sono uno che ficcherebbe il jobs act sotto il red carpet. Ma non divaghiamo. La prima parola da tagliare è femminismo. Nessun commento (no comment) ma citazione dal Corsera di ieri. Titolo: “La star dello sport britannico in lotta contro lo stupratore”. La star è Jessica Ennis-Hill, medaglia d’oro nell’eptathlon a Londra 2012, nata a Sheffield. Lo Sheffield United, squadra una volta in Premier e ora in terza divisione, le ha intitolato una tribuna, allo stadio. Lo stupratore è Ched Evans, 25 anni, nazionale gallese, attaccante dello Sheffield. Condannato a 5 anni di carcere nel 2012 per aver violentato una diciannovenne ubriaca, scarcerato dopo due anni e tornato ad allenarsi con la squadra. Secondo Jessica, “i campioni devono essere un modello di comportamento, possono influenzare le comunità e soprattutto i giovani”. Per coerenza, ha chiesto allo Sheffield di togliere il suo nome dalla tribuna. Tanto è bastato perché contro di lei un esercito di troll si scatenasse cui social network con un campionario di insulti. Chiedo scusa per la parola troll, avrei un paio di sinonimi in italiano ma anche per i quotidiani forse vige la fascia protetta e mi astengo. Sullo stesso caso, ha raccolto 160mila firme Jean Hatchet, femminista. Lo scrivo apposta pensando all’elenco di Time sulle parole da cancellare. Io di getto metterei in cima all’elenco, manager, di getto. Comunque, tra messaggi e cinguettii, a Jean Hatchet, scrive il Corsera, ne arrivano 500 al minuto. Non pensavo ci fossero tanti troll in circolazione. La musica non è finita ma è cambiata: rock &troll.
Perché segnalo questa storia? Perché mi interessano le storie in cui lo sport si dilata, si maschera, si trasforma. Prendiamo Tor Sapienza. Il sindaco Marino dice che ci ha messo la faccia ed è vero, gli va riconosciuto. Ma non basta, occorre metterci altro. A parte che la faccia gliel’avrebbero spaccata, probabilmente, se non ci fosse stato uno scudo di divise a proteggerlo. Cosa c’entra il calcio? Bastava leggere ieri su Repubblica un’intervista a Giuseppe De Rita, presidente Censis. Ha detto: «C’è un universo di violenza che sta tra l’estrema destra e il tifo ultrà, lasciato libero per anni, che ora lancia la sfida». In effetti, i cori erano cori da stadio, e le facce pure. Non tutte. A forza di considerare le periferie come discariche sociali, anche il residente più mite si esaspera. Ma resta, di fondo, la stessa disponibilità di tifosi ultrà, a Roma come a Milano e a Napoli, a mettere in scena l’indignazione di pancia, a fare da portavoce e mazzieri. Tutto serve: uno stupro forse tentato, non è chiaro da chi, come la voce che un furgone dei carabinieri avesse ammazzato un ragazzo prima di un derby all’Olimpico. Non era vero, ma uno stadio intero ci credette e non si giocò. Ciò che è credibile è creduto. Chi rompe non paga e i cocci non sono suoi.
Un modo di dire. Un altro: cercare un ago in un pagliaio. Pare che risalga a madame de Sévigné, che nel 1652 disse: «comme chercher une aiguille dans une botte de foin». Mi sembra più probabile che la frase fosse di qualcuno della servitù, non capisco che bisogno avesse madame di cercare un ago in un pagliaio. Dopo 462 anni, al Musée de Tokyo di Parigi (viste immagini su repubblica.it) il modo di dire è diventato sfida. Vinta da Sven Sachsalber da Silandro (Bolzano). Si era concesso due giorni per trovare l’ago, l’ha trovato dopo 29 ore e mezza. A Londra, due anni fa, ci era riuscito in sole sei ore, ma c’era meno paglia. Altre sue performances: mangiare funghi velenosi, passare 24 ore in una stanza in compagnia di una vacca, tagliare i rami dell’albero che lo sorreggevano. Una sfida impossibile anche per lui: difendere Mazzarri. Curiosamente, tra l’incapace Mazzarri e il geniale Inzaghi c’è un solo punto di differenza in una classifica che piange da entrambe le parti. Ma uno ha società, opinione pubblica e stampa a favore. L’altro no. Se per un punto Martin perse la cappa, altro modo di dire, può perdere Walter la panchina.
Chiusura con segnalazione di libri. Il primo è “Delitto Pantani”(ed. Nda, 167 pagine, 11.90 euro). L’ha scritto Andrea Rossini, cronista riminese. Lo segnalo ai ciclofili per completezza d’informazione, perché va contro dubbi e ombre e indagini riaperte. Per Rossini, nel 2004 magistrati e poliziotti fecero un lavoro perfetto, o quasi. Libro scritto bene, una ’scaletta’ incalzante, ma io ai dubbi sono affezionato e qualcuno mi resta. L’altro libro è “Ali”di Nancy Haieski (ed. Ultrasport, 323 pagine di grande formato, 47 euro). Bellissime foto, una vita sempre in prima fila, da Cassius Clay a Muhammad Ali. «I campioni non si fanno nelle palestre. Si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione ». «Tornai a Louisville dopo le Olimpiadi con la mia medaglia d’oro luccicante. Entrai in una tavola calda vietata ai neri. Pensai di metterli in difficoltà: il campione olimpico con la sua medaglia d’oro al collo. Mi dissero: Non serviamo negri qui. Dissi: Va bene, tanto io non li mangio. Mi misero alla porta. Scesi al fiume Ohio e buttai via la medaglia ». Questo episodio è famoso, altri meno. A chi li leggerà il gusto della scoperta.
Gianni Mura, la Repubblica 16/11/2014