Enrico Franceschini, la Repubblica 16/11/2014, 16 novembre 2014
CARA ADA TI SCRIVO
LONDRA
«Cuore mio! Vita mia! Anima mia! Sangue mio! Bellezza mia! Gioia mia! Ciaciarella mia! Mimmina mia!». È Caruso che parla. O meglio, scrive. O forse, canta: perché le lettere del padre di tutti i tenori, che Christie’s ha scoperto e mette all’asta il 19 novembre a Londra, sono l’equivalente di una lunga canzone d’amore, con una donna come principale destinataria, Ada Giachetti, colei che fu la madre dei suoi due figli, più varie altre comprimarie nel corso del tempo.
Un romanzo sentimentale, un feuilleuton, un’opera lirica o magari una soap opera, come verrebbe chiamata oggi: in cui l’amore della sua vita lo lascia per l’autista di famiglia, lui prima le fa causa poi continua a mandarle soldi fino alla morte, la sorella minore sostituisce la maggiore nel suo letto, una spasimante sudamericana sospira per lui, una giovane americana di buona famiglia lo sposa, un’altra lo denuncia per molestie allo zoo di Central Park, New York, e così via, in un carosello di passioni estasiate e furibonde, degne di un dramma di Puccini.
Di tutto di più, come c’è stato di tutto e di più nella vita di un artista senza uguali, nato nel 1873 da una povera famiglia a Napoli, osannato sui palcoscenici di Milano, San Pietroburgo, Londra, New York, primo grande divo moderno della canzone, diretto dal vivo da Arturo Toscanini. Ma la caratteristica straordinaria del “Caruso innamorato” che esce prepotentemente fuori da queste lettere (piuttosto sgrammaticate, in verità) è che si tratta di una corrispondenza del tutto inedita. Non l’aveva mai letta neppure Enrico Caruso junior, suo figlio e autore della sua biografia ufficiale. Il tenore aveva consegnato le missive, insieme a una montagna di altre carte personali, appunti, fotografie, cartoline, telegrammi, ritagli, conti e assegni, a un intimo amico, Antonino Perrone, all’epoca residente negli Stati Uniti, a Boston, poco prima di ripartire nel maggio 1921 per Napoli, dove Caruso sarebbe morto appena tre mesi più tardi per i postumi di una pleurite mal curata e altri disturbi, alla precoce età di quarantotto anni. Accadde all’hotel Vesuvio, per l’occasione anche quello trasformato in palcoscenico, come per l’adeguato finale di un’opera, con il divo attorniato da una corte di familiari, medici, amici, servitori.
Fu dunque quasi un testamento spirituale, nelle sue intenzioni probabilmente da mantenere segreto, quello che consegnò all’amico e che la famiglia di quest’ultimo ha poi custodito gelosamente per generazioni, fino alla recente decisione di venderlo, affidandolo a una delle più grandi case d’aste del mondo. E l’attesa per l’asta è spasmodica per un archivio che, dicono i curatori di Christie’s, contiene la «storia non detta» del leggendario cantante, una nuova fonte essenziale per comprendere meglio il suo talento, la sua tecnica e la sua spesso problematica vita privata. Ne fanno parte ben duecentoquindici lettere autografe di Caruso ad Ada Giachetti, la soprano di cui si innamorò mentre era sposata con un altro uomo e che ripudiò il marito per fuggire con lui, lettere d’intenso desiderio sessuale («Ada, ho bisogno di sentire il tuo corpo incollato al mio per il resto delle nostre vite»), più altre centoventuno di Ada a Caruso, colme di romanticismo («Mi sembra di impazzire, non riesco a controllarmi, mi pare di morire, sono due giorni che non ricevo una tua lettera, che tortura è questa»). Ci sono testimonianze del furore di Caruso quando la relazione termina fra accuse reciproche, insieme alle prove che sino alla fine il tenore continuò a inviare denaro a quella che è stata certamente la donna della sua vita.
Sebbene non certo l’unica: venti lettere autografe di Caruso a Rina Giachetti, sorella di Ada e a sua volta cantante, e centotrentacinque lettere di Rina a Enrico, raccontano in che modo lei prese il posto della sorella nel cuore, e sotto le lenzuola, del cantante. E poi altre lettere d’amore, di Caruso a Dorothy Benjamin, l’americana che divenne la sua prima moglie, di svariate innamorate a lui, come l’ereditiera argentina Vina Velasquez, («Mi tesoro, son las 1-1 de la noche y no puedo dormir»), o Luisa Starace, e della seconda moglie Teresa, della soprano Luisa Tetrazzini, delle donne che gli facevano causa e a cui lui pagava i danni al tribunale di Manhattan pur di mettere a tacere i sordidi pettegolezzi.
In questo incredibile archivio c’è molto altro ancora, riflessioni sulla fama, sulla paura di andare in scena, sulla stanchezza («Il pubblico mi ha chiesto un bis per cinque minuti ma io sono crollato a terra stremato e ci sono voluti quattro uomini per portarmi via»). Ma su tutto il materiale spicca il “Caruso innamorato”: il più famoso e il più pagato cantante della sua generazione, il primo a incidere dischi e a venderne un milione di copie, la voce e il cognome diventati sinonimo della lirica, che fa cantare la carta come se fosse uno spartito per il suo privato, struggente “elisir d’amore”.
Enrico Franceschini, la Repubblica 16/11/2014