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 2014  novembre 16 Domenica calendario

DALLE CASE DEI FERROVIERI AI CAMPI ROM COSÌ NASCE UN QUARTIERE-GHETTO

Una raffica di emergenze sociali e neppure un commissariato di polizia. Da decenni a Roma vale una regola. Tor Sapienza è il posto giusto per nascondere ciò che non va mostrato: nel dopoguerra munizioni sottratte ai tedeschi, oggi profughi, nomadi, occupazioni abusive d’immobili e allarmi ecologici. Diossina e abbandono.
La periferia est della capitale brucia rabbia al centro-profughi e rifiuti al campo rom. Di tossico nella borgata in fiamme non c’è solo la rivolta degli abitanti contro i richiedenti asilo ma anche la nube nera della spazzatura incendiata giorno e notte dai nomadi per recuperare rame. Una «terra dei fuochi» alle porte di Roma. «Tor Sapienza è una bomba innescata e tecnicamente i presupposti per un disastro del genere c’erano da tempo - spiega il sociologo Domenico De Masi -. Un ambiente degradato: natura e società in sofferenza per colpa della pessima gestione del territorio». Qui «si è concentrata la parte più povera della popolazione in un luogo lontano dal centro, tra centri profughi, campi rom e immigrazione fuori controllo», analizza De Masi. Da sempre nella borgata «converge chi fugge dall’indigenza in cerca di lavoro: prima scappavano dal Mezzogiorno, adesso dall’Africa».
Un profilo urbanistico da «deriva metropolitana». Dentro i palazzoni di viale Morandi il centinaio di profughi rappresenta l’ultima ondata. Prima di loro, un secolo fa, immigrati dalle campagne abruzzesi e calabresi. L’attuale nucleo urbano è l’allargamento della «Cooperativa dell’Agro Romano» fondata nel 1923 dal ferroviere molisano Michele Testa. Da allora le amministrazioni centrali e locali, di ogni colore politico ed epoca, hanno trovato in Tor Sapienza un «non luogo» adatto alle strutture respinte da altri quartieri. «Fino a farne ufficialmente un ghetto», documenta Daniele Rinaldi, consigliere del quinto municipio. La lista delle «ferite» è interminabile e un altro centro di prima accoglienza era in allestimento a via Rucellai. Stavolta però la gente è scesa in strada. E non si rassegna più.
«Non basta il residence di via Morandi dove gli immigrati si affacciano nudi e gettano oggetti dai balconi? Non si dorme per la musica a tutto volume», afferma Antonella Simoni. Quando fu aperto nel 2011, su decisione del governo alla quale la giunta Alemanno non si è opposta, doveva essere una «sistemazione temporanea». Ma le commissioni impiegano in media un anno per elaborare le pratiche, quindi chi chiede asilo soggiorna a tempo indeterminato. «Municipio e Campidoglio non hanno mai bloccato le decisioni centrali», puntualizza Rinaldi. Insomma, a forza di scelte calate dall’alto, Tor Sapienza è uno «slum» da staccare il più possibile dal resto della città. A via Salviati, in uno dei campi rom più turbolenti, viene bruciata la plastica sottratta ai cassonetti. Da poco un incendio ha distrutto il deposito dell’azienda dei rifiuti Ama. Una rappresaglia per operazioni di bonifica ambientale del Comune. A via Staderini, al confine con Tor Tre Teste, proteste e tensioni anche al centro profughi di via Staderini. A unire mattatoio, capannoni abbandonati, sfasciacarrozze e sale bingo i vialoni bui della prostituzione maschile e femminile «no stop», lungo i quali è stata persino deviata la linea 508 dell’autobus. Tragitto troppo pericoloso. Ovunque siepi non potate da anni, illuminazione guasta e collegamenti soppressi nel piano di riordino del trasporto pubblico.
Il cuore incattivito di Tor Sapienza è un complesso di case popolari al cui pian terreno negozi, garage e locali commerciali sono stati occupati abusivamente da etnie ostili tra loro e con i residenti italiani. Dopo la contestazione di venerdì al sindaco Ignazio Marino si respira un’atmosfera di diffidente attesa. Il centro per i rifugiati assaltato con pietre e bombe carta è sempre presidiato dalle forze dell’ordine. «Ci sentiamo stranieri in casa nostra, circondati da immigrati, nomadi, trans, scippatori e ubriachi», racconta Tullio. «Martedì non ce ne andremo dal Campidoglio senza la promessa che vengano sgomberati il centro e i locali occupati dai romeni che vivono nei sottoscala pagando in nero il parroco di una chiesa ortodossa», promette Manlio, rappresentante degli abitanti di viale Morandi, epicentro della sollevazione. Marino l’ha promesso: via il degrado, più lampioni e meno sporcizia.
«Speriamo sia così, altrimenti non so cosa potrà succedere», scuote la testa. Affiora una soluzione: «Nel centro vengano ospitate solo ragazze madri in difficoltà con i loro bambini, non ci interessa che siano italiane o straniere. La delegazione di cittadini non farà sconti. «Lavoreremo su progetti condivisi», mette le mani avanti il Comune. «Stavolta non ci faremo fregare - replicano nel ghetto in subbuglio -.Via i rifugiati e i nomadi. Non vogliamo più essere la discarica dei problemi di Roma».
Giacomo Galeazzi, La Stampa 16/11/2014