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 2014  novembre 15 Sabato calendario

TUTTI AMANO LA GERMANIA, TRANNE NOI

da Berlino
Tutti amano la Germania, tranne gli italiani. O, più esattamente, tranne i nostri politici e politologi. Secondo un’indagine condotta dalla Gesellschaft für Konsumforschung (GfK), la società per la ricerca di mercato, interrogando 20 mila persone in 20 paesi, la patria di Frau Merkel è in testa alla lista dei paesi più stimati, che qualcuno traduce in più amato.
L’anno scorso la Germania risultava seconda dopo gli Stati Uniti, ma adesso è passata in testa.
Gli Usa perdono per la prima volta il primato che detenevano dal 2009: colpa di Obama. Al terzo posto troviamo la Gran Bretagna, seguita da Francia, Canada, Giappone, e dall’Italia, prima di Svizzera, Australia e Svezia.
Controcorrente la nostra rivista Internazionale nell’ultimo numero, presenta in copertina la bandiera tedesca pericolosamente incrinata, e il titolo «Non invidiate la Germania». Nel sottotitolo spiega: «Pochi investimenti, infrastrutture fatiscenti, forte dipendenza dalle esportazioni. L’economia tedesca è più fragile di quanto sembri». In parte è vero, ma da alcuni sintomi si giunge a una diagnosi fuorviante. Sarebbe come se a un malato di polmonite si consigli di non invidiare l’amico che si è buscato un fastidioso raffreddore.
L’inchiesta della GfK non sarebbe affidabile dato che la società sarebbe di parte in quanto tedesca? I risultati sono confermati da un’analoga indagine condotta l’anno scorso dalla Bbc, e quest’anno dall’Huffington Post, cioè da chi di solito è supercritico nei confronti dei «crucchi».
In Europa, due terzi di chi ha meno di trent’anni indica nella Germania, e più precisamente in Berlino, il luogo in cui vorrebbe vivere. La capitale è letteralmente invasa dai giovani in cerca di una chance, e in testa troviamo gli italiani. Sbagliano indirizzo perché la metropoli è povera, senza industrie, e farebbero meglio a andare in altre città. Le Università tedesche sono le più ambite dai giovani, ottime e gratuite al contrario delle americane, costose e meno autorevoli rispetto al passato. La disoccupazione continua a scendere (2,8 milioni), e gli occupati non sono mai stati così tanti (42 milioni). Si può anche aggiungere che 8,6 milioni (il 16%) nella ricca Germania vivono sulla soglia di povertà. Ma sono assistiti, e la soglia è posta a 970 euro, a 1.080 a Monaco. E, per sfatare un altro pregiudizio, il costo della vita è meno elevato rispetto a Roma o a Milano. All’estero invidiano anche i tedeschi poveri.
Il giudizio viene suddiviso in sei categorie: esportazioni, governo, cultura, società, turismo, immigrazione e investimenti. Partiamo dalla fine: ha ragione Internazionale, Berlino potrebbe e dovrebbe investire di più, le infrastrutture sono logore, ma perché negli ultimi vent’anni si è dovuta ricostruire la scomparsa Ddr (circa un terzo della superficie del paese, meno di un quinto della popolazione), trascurando le regioni occidentali. Il ministro delle finanze, Wolfgang Schaüble, ha fatto approvare il bilancio preventivo che prevede il pareggio per il 2015, per la prima volta dal 1969 (noi dovremmo riuscirci ogni anno grazie al professor Monti).
Ma sempre Schaüble ha appena stanziato 10 miliardi extra per rifare strade, ponti, binari. E la Germania, tra stato e privati, investe 50 miliardi all’anno per la ricerca, più di tutti gli altri paesi dell’Ue messi insieme. Un’altra ricerca, questa volta svizzera, conferma che il Made in Germany è sempre considerato il più affidabile sul mercato mondiale: è vero che le industrie tedesche dipendono dall’export, e le ultime difficoltà dipendono dalla crisi dei clienti, Francia o Italia, e da un rallentamento in Cina e in India.
E soprattutto dal crollo delle esportazioni a causa delle sanzioni volute dagli Usa contro la Russia, che già sono calate del 28%. In estate la Germania veniva data in recessione per un calo dello 0,2%, ma il terzo trimestre registra un più 0,1. Di fatto si rimane stabili, ma a un livello altissimo. L’anno venturo il pil dovrebbe aumentare dell’1,2 invece dell’1,8 previsto qualche mese fa. Si rallenta non si frana. Ma i tedeschi si preoccupano, e prendono provvedimenti. Per loro, eterni pessimisti, un raffreddore è preoccupante. In questo danno ragione all’ «Internazionale», ma tutto è relativo.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 15/11/2014