Tino Oldani, ItaliaOggi 15/11/2014, 15 novembre 2014
PRIMATI ASSURDI: 61 ANNI PER SENTENZIARE CHE IN SICILIA IL COMMISSARIO DELLO STATO AGIVA CONTRO LA COSTITUZIONE
In Sicilia l’hanno accolta con squilli di tromba, definendola «una sentenza storica». Si riferiscono alla pronuncia della Corte costituzionale, depositata pochi giorni fa, che dichiara incostituzionale il controllo preventivo delle leggi regionali da parte del Commissario dello Stato, carica attualmente ricoperta dal prefetto Carmelo Aronica. Che sia una sentenza davvero «storica», lo conferma un dettaglio che pare incredibile: la norma ritenuta incostituzionale risale a una legge di 61 anni fa, la numero 87 del 1953. Se ne deve pertanto dedurre che per decenni il rappresentante dello Stato in Sicilia, controllando a priori le leggi regionali, ha agito sulla base di una norma che era contro la Costituzione, quindi in modo illegale. E il solo fatto che ci siano voluti tutto questo tempo perché il sistema burocratico- giuridico lo scoprisse, basta e avanza per giustificare le imprese straniere, quando dicono che non investono in Italia per le lentezze della burocrazia e della giustizia.
Il fatto scatenante della sentenza risale al 2013, quando il Commissario dello Stato in Sicilia impugnò per presunta incostituzionalità un articolo della finanziaria regionale. Non era la prima volta che Aronica bocciava una delibera, anzi: i suoi controlli meticolosi erano diventati da anni un autentico terrore non solo per la Giunta regionale, guidata ora da Rosario Crocetta, ma anche per alcune categorie, palesemente assistite sul piano clientelare, come i 28 mila forestali, i 100 mila precari pagati dalla Regione e le decine di società regionali, definite di recente dalla Corte dei conti «una continua emorragia di denaro pubblico». Ciò che Aronica non immaginava era che quel suo ricorso alla Consulta sarebbe stato l’ultimo.
Per la prima volta, infatti, la Corte costituzionale non è entrata nel merito della questione sollevata, ma ha messo in dubbio la costituzionalità dell’impugnativa stessa, più precisamente il potere del Commissario dello Stato di impugnare e giudicare le leggi regionali prima che queste fossero pubblicate sulla Gazzetta. Il motivo? Semplice: come ha spiegato il relatore della sentenza, Sergio Mattarella, ex ministro e oggi giudice costituzionale, buon conoscitore della situazione in quanto ex politico siciliano (suo fratello Piersanti è stato ucciso dalla mafia nel 1980, quando era presidente della Regione), di norma il controllo delle leggi regionali, sotto il profilo costituzionale, viene svolto in tutte le Regioni (esclusa la Sicilia) soltanto dopo la loro pubblicazione sulla Gazzetta regionale. L’istruttoria, nei casi controversi, è demandata al ministro degli Affari regionali, che sottopone gli eventuali ricorsi al Consiglio dei ministri, che a sua volta ricorre alla Consulta. Il tutto entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge regionale.
In Sicilia, invece, il controllo è stato finora compito del Commissario dello Stato, che nel giro di soli 5 giorni, cioè tra il momento dell’approvazione della legge da parte della Regione e la sua pubblicazione sulla Gazzetta regionale, doveva decidere se una legge fosse in linea con la Costituzione, o meno. In pratica, un prefetto-giudice quasi onnisciente, con poteri da quasi giudice costituzionale. Un’enormità giuridica, che poteva avere senso nel 1953, quando le Regioni a statuto ordinario non esistevano, e il legislatore nazionale si dovette preoccupare di limitare l’autonomia legislativa della Sicilia, affinché non uscisse dai binari costituzionali e della spesa pubblica. Ma dopo che nel 1970 sono state istituite le Regioni ordinarie, le cui leggi sono controllate a posteriori dal governo centrale, l’eccezione siciliana non aveva più alcun senso.
Dunque, quella della Consulta è da considerare una sentenza giusta, benché tardiva. Dire che è in ritardo di 61 anni è forse eccessivo, ma anche dal 1970 ad oggi sono trascorsi 44 anni, e non sono pochi.
Nel motivare la sentenza, il giudice Mattarella ha scritto che «la soppressione del controllo preventivo delle leggi regionali si traduce in un ampliamento delle garanzie di autonomia, in quanto consente la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale». In pratica, significa che la Regione Sicilia, grazie al rafforzamento dell’autonomia, non avrà più alcun filtro nel varo delle leggi regionali. Ovvio che a Palermo questa novità sia stata salutata come una conquista.
Nei panni del governo di Matteo Renzi, ne saremmo invece terrorizzati. Lo sperpero del denaro pubblico che è stato fatto dalla Regione Sicilia, sotto lo scudo dell’autonomia, non ha eguali in Italia. E metterla sotto controllo spetta ora al ministro per gli Affari regionali Carmela Lanzetta, di professione farmacista, ex sindaco di Monasterace in Calabria, uscita viva da un attentato della ’ndrangheta: è considerata tra i pesi piuma nel governo Renzi, «un ministro invisibile». Lei stessa ha detto di sé: «I giornali non mi cercano, preferiscono la Boschi». Cara ministra Lanzetta, cambi registro alla svelta, e sulla Sicilia, se c’è, batta un colpo.
Tino Oldani, ItaliaOggi 15/11/2014