Gigi Garanzini, La Stampa 15/11/2014, 15 novembre 2014
CRUIJFF, NOZZE D’ORO CON LA RIVOLUZIONE NULLA FU PIÙ COME PRIMA
Cinquant’anni oggi il debutto nell’Ajax di Johann Cruijff, uno dei fenomeni veri del calcio di tutti i tempi. Aveva compiuto a primavera i 17 anni, da tempo spopolava nelle giovanili a suon di gol e quel giorno l’allenatore Buckingham in cattive acque, che da lì a poco avrebbe ceduto il bastone del comando a Rinus Michels, decise che era tempo di rischiarlo. L’Ajax vinse 3-1 a Groningen, la settimana successiva ne rifilò cinque al Psv con il primo dei 402 firmati in carriera da Cruijff, e insomma la leggenda dell’olandese volante era ufficialmente cominciata. Quando poi, giusto un paio di mesi più tardi, la panchina venne affidata all’allora trentottenne Michels, ex centravanti dei lancieri, la leggenda stessa prese a perfezionarsi. Perché se Johann Cruijff sta certamente tra i primi 5 fuoriclasse della storia del pallone, per me al quarto posto dopo Di Stefano, Maradona e Pelè in ordine non solo alfabetico, a Rinus Michels il podio degli allenatori di tutti i tempi non glielo leva nessuno: e nemmeno, sempre per me e per quel niente che vale, il gradino più alto.
Qui però cominciano le anomalie. Anzi, l’atipicità. Atipico era, per Gianni Brera cui dobbiamo il glossario storico del calcio che ancora non si nutriva di ripartenze né di attacchi alla profondità, quel genere di calciatore capace sia di impostare, che di rifinire, che di concludere, ma cui non riuscivi ad attribuire né il cliché di attaccante né quella di centrocampista. Oggi si chiamano «falsi nueve», ed è una delle poche etichette che nel linguaggio calcistico moderno rendano l’idea. A patto, si capisce, di distinguere il grano dal loglio, perché di pippe che se la tirano da «falsi nueve» son piene soprattutto le agende dei procuratori. Cruijff lo era ai livelli più alti, come vent’anni prima l’ungherese Hidegkuti, come il sommo Di Stefano. Con questa differenza. Che mentre Di Stefano e Hidegkuti, per quel poco che le rare immagini dei tempi ci hanno restituito correvano rotondo, Cruijff andava a strappi. A scarti improvvisi, ad accelerazioni impensabili, a continui cambi di marcia che lo rendevano praticamente immarcabile. Prima nell’Ajax, poi nell’Olanda e infine nel Barcellona, tutte avventure condivise guarda caso con Rinus Michels, Cruijff ha cambiato il modo sino a lì conosciuto di essere fuoriclasse nel segno della velocità. Di strappare all’improvviso, di arrivare al massimo dei giri in una frazione di secondo come oggi solo il miglior Messi sa fare. Aiutato da grandi squadre, i cui interpreti erano in qualche caso di valore assoluto e perfettamente in grado a loro volta di manovrare ad alta velocità. Ma anche di rallentare, di melinare, di addormentare apparentemente la manovra. Vedasi la celeberrima sequenza del gol segnato dall’Olanda alla Germania nella finale mondiale di Monaco.
Atipica d’altra parte fu anche la carriera di Cruijff, a partire proprio dalle origini. Pesava così poco il calcio olandese anni ’60, ed era talmente di là da venire il calcio internazionale in tv, che a cinque anni dal debutto Cruijff arrivò alla finale di coppa Campioni ’69 con il Milan se non da illustre sconosciuto, quasi. E ad ogni buon conto quella sera al Bernabeu brillò la stella di un sublime Rivera e pesarono i tre gol di Pierino Prati. L’Ajax cominciò a rifarsi nel ’71 e ne vinse tre di fila con Panathinaikos, Inter e Juve nell’ordine. Così come tre furono i palloni d’oro di Cruijff nel ’71, ’73 e ’74 prima della straordinaria avventura al Barcellona, da giocatore prima e da allenatore poi. Ma già nel ’78, con la defezione volontaria al Mondiale d’Argentina, la carriera era praticamente conclusa e le appendici a New York e Los Angeles qualcosa semmai tolsero, certamente non aggiunsero. Rivisitato nel giorno delle sue nozze d’oro col pallone, più che il profeta del gol Johann Cruijff appare come la stella cometa che segnò il passaggio dal calcio antico a quello moderno. Dopo Cruijff, il suo Ajax, la sua Olanda, il suo Barça, tutto quello che c’era stato prima apparve, da subito, irrimediabilmente datato.
Gigi Garanzini, La Stampa 15/11/2014