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 2014  novembre 15 Sabato calendario

IL FRANTOIANO E IL FLAGELLO DELLA MOSCA OLEARIA

Flagello mosca olearia. A Piano del Quercione, frazione di Massarosa, grosso borgo tra il lago di Massaciuccoli e le colline ai piedi delle Apuane, appuntamento con Marco Leverone che fa l’antico e nobil mestiere di frantoiano.
«Di solito in questo periodo iniziamo il lavoro alle 5 di mattina e andiamo avanti fino a notte fonda», racconta. «Invece quest’anno si lavora un pomeriggio sì e uno no, per 2, 3 ore al massimo. Le poche olive non distrutte dalla mosca olearia dei nostri clienti-produttori sono quasi finite. Coldiretti parla di un crollo della produzione al Centro-Nord del 35-50%? Noi siamo messi peggio. In una annata normale facciamo almeno 6 mila quintali di olive (ovvero, 1000 quintali di olio d’oliva, extra vergine ovvio) quest’anno non arriveremo a 500 quintali. Il 2014 è la peggiore annata della storia, neanche gli anziani ricordano una simile catastrofe. Non ci resta che sperare in un inverno ultrafreddo che uccida tutte le larve».
Premessa. Nato 53 anni fa a Viareggio, Leverone racconta di aver scoperto la passione per l’olio quando il suocero comprò un piccolo appezzamento di ulivi in collina. Nel 1997 Marco e sua moglie Miria Del Carlo decisero di aprire un frantoio oleario. «Un tempo ogni pezzetto di collina aveva il suo piccolo frantoio che lavorava 20, 30 quintali al giorno. A poco a poco la tecnologia ha semplificato la lavorazione e, però, quasi tutti hanno chiuso. Ci siamo accorti che c’era spazio per un grosso impianto che puntasse però sulla qualità assicurando la tracciabilità del prodotto», spiega Leverone che, l’anno scorso, al concorso della Lega Ambiente a Grosseto si è guadagnato il primo premio per olio Igp categoria fruttato medio. «Ho vinto con un olio mono cultivar Leccio del Corno. Quest’anno neanche a parlarne», dice Leverone.
Assaggiatore professionista di olio («Per essere iscritti all’Albo si devono seguire lezioni di teoria e di pratica; ma occorre un allenamento continuo») Marco Leverone è un tipo tosto che non ama i lamenti. Anzi. «Annate negative come questa servono anche a dare un nuovo impulso. Quando si casca in terra ci sta che ci si rialzi incavolati ma la rabbia deve servire a reagire. Dobbiamo capire in che cosa anche noi abbiamo sbagliato e darsi da fare». Non a caso mastro Leverone cita l’esempio dei frati francescani che vivevano nei conventi della zona. «Quando nel 1711 una gelata epocale annientò tutti gli olivi i frati ricominciarono a piantarli a terrazzamenti e con gli stessi tipi e la stessa percentuale – 80% di olivi frantoio, 20% di leccino – che ancor oggi abbiamo. Piantarono migliaia e migliaia di piante, un patrimonio enorme che dobbiamo preservare».
A quei tempi fu il gelo, ora a distruggere soprattutto in Toscana e Liguria la maggior parte dei raccolti è stata, grazie alla pioggia e al clima superumido, la mosca olearia, nome scientifico Bactrocera oleae. Spiega Leverone: «Le temperature ideali per la mosca sono intorno ai 25, 26 gradi. Oltre i 30 gradi è inibita sessualmente: anche se punge l’oliva la larva non cresce. Quest’estate già ai primi di luglio ci siamo accorti che andava male; erano partite all’attacco e nel giro di 10 giorni hanno infestato gli uliveti. Niente caldo, sempre pioggia la situazione è andata sempre peggio per settimane la mosca ha lavorato indisturbata. Risultato: da noi di biologico non c’è nulla ma anche chi ha trattato le piante ha avuto dei bei problemi». L’Italia del suo famoso ed eccellente olio d’oliva sconfitta da una minuscola mosca.
«Attenzione», avverte Leverone, «nella sua intelligenza animale la larva a un certo momento della stagione si nasconde, s’impupa per arrivare all’anno dopo. Sperare nel freddo non basta. Bisognerebbe eliminare le olive rimaste per evitare che facciano da letto di partenza per le mosche l’anno prossimo. Un tempo da noi le donnine andavano negli uliveti e raccoglievano tutte le olive anche quelle cadute a terra. Allora non si buttava via niente, oggi costa troppo! Che fare? Sogno un piano di recupero dei tanti nostri uliveti abbandonati che, oltretutto, darebbe lavoro ai tanti giovani disoccupati».
Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 15/11/2014