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 2014  novembre 15 Sabato calendario

COSÌ IL KUWAIT CANCELLA GLI APOLIDI

Il Kuwait soffre per la presenza di circa 110 mila apolidi illegali dentro i suoi confini e, dopo molti anni, ora ha trovato la soluzione: diventeranno cittadini dell’arcipelago delle Comore dove, di conseguenza, molti potranno essere deportati. Il problema dei «bidun» (senza nazionalità) affligge il Kuwait sin dagli Anni Settanta: si tratta in gran parte di discendenti di tribù beduine mai divenuti cittadini di alcuno Stato ma vi sono anche molti iracheni e sauditi, immigrati illegalmente negli ultimi 25 anni, in cerca di lavoro in uno degli Emirati più ricchi del Golfo Persico.
Trattandosi di residenti apolidi, senza permessi e con status illegale, costituiscono un serio grattacapo per la dinastia degli Al-Sabah che in passato ha tentato anche di arruolarli in massa nell’esercito per risolvere il problema. Ma alla luce di innumerevoli fallimenti, adesso il Kuwait ha escogitato una soluzione diversa che il ministro dell’Intero, Mazen al-Jarrah, ha riassunto con l’annuncio: «Tutti i bidun diventeranno cittadini delle isole Comore, che apriranno qui da noi appositi consolati per registrarli tutti».
Alla base della svolta c’è un accordo economico bilaterale che vede il Kuwait impegnarsi per la costruzione di numerose scuole e ospedali in una delle nazioni più povere del Pianeta in cambio di circa 100 mila passaporti, visto che 10 mila «bidun» verranno invece naturalizzati kuwaitiani «trattandosi di casi particolari».
L’arcipelago delle Comore, un’ex colonia francese sulla costa orientale dell’Africa davanti al Mozambico, divenuta indipendente nel 1975, ha il 45,6 per cento della popolazione che vive sotto il livello di povertà e una disoccupazione al 14,5 per cento - che supera il 44 fra i giovani - con il governo carente di entrate al punto da non aver pagato gli stipendi ai dipendenti pubblici per molti mesi dell’anno corrente. Tali difficoltà economiche spiegano perché, due anni fa, le Comore accettarono dagli Emirati Arabi Uniti una cifra stimata in circa 200 milioni di dollari per accogliere come propri cittadini un imprecisato numero di suoi residenti illegali ed è questo precedente che ha attirato l’intenzione del Kuwait.
Il risultato dell’emissione dei centomila passaporti è duplice: nell’immediato i bidun vengono considerati «cittadini stranieri residenti» e dunque la piaga dell’illegalità è risolta, ma soprattutto, proprio in quanto «non connazionali», possono essere espulsi in qualsiasi momento. Ciò significa che le Comore, che al momento contano poco più di 900 mila anime, sono destinate a superare presto la soglia del milione di abitanti. È lo scenario verosimile di questo massiccio trasferimento di popolazione che fa dire a Said Boumedouha, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente, che si tratta di «un’operazione scioccante perché consente a due Stati di decidere cosa fare di centomila persone senza interpellarle». Hakeen al-Fadhi, leader dei bidun più volte detenuto in Kuwait, preannuncia dure proteste: «Non siamo apolidi, siamo nati qui, ci batteremo per evitare le deportazioni». Mona Kareem, attivista per i diritti dei bidun, da New York sceglie invece l’ironia: «Ci siamo addormentati residenti dell’Asia occidentale e al risveglio abbiamo scoperto di essere africani dell’Est».
La protesta dei bidun si è riversata su Twitter innescando però reazioni anche favorevoli perché, come alcuni hanno scritto, «finalmente avremo un passaporto» e si tratta comunque di «un Paese della Lega Araba». D’altra parte l’accordo Kuwait-Comore segue quello fra Australia e Papua Nuova Guinea, che ha accettato di accogliere centinaia di clandestini espulsi da Canberra in cambio di un accordo economico, che vede gli australiani coprire le spese totali di accoglienza e varare investimenti in uno dei Paesi più poveri del Pacifico. Come dire: c’è una nuova tipologia di intese internazionali a disposizione di quegli Stati che si vogliono liberare da illegali e apolidi.
Maurizio Molinari, La Stampa 15/11/2014