Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 15 Sabato calendario

FUORILEGGE, MA NON TUTTI PUNIBILI

Milano
Dieci mesi per il furto di due paia di mutande, concime per piante e delle cesoie. Dieci mesi che non farebbero la differenza, considerate le condanne a 4 ergastoli e 296 anni di carcere già comminati, ma per Renato Vallanzasca quei dieci mesi potrebbero tradursi in carcere a vita. Intanto quel furto, di cui è stato accusato il 13 giugno scorso, è costato da subito la revoca del regime di semilibertà di cui godeva: andava a lavorare durante il giorno e tornava in carcere a dormire. Beneficio di cui l’ex capo della mala milanese godeva dall’ottobre del 2013. La decisione è arrivata ieri dal Tribunale di Milano.
“Io indosso solo mutande di Versace”, si è difeso inizialmente il bel Renè, come era stato soprannominato dai giornali a cavallo tra gli anni 70 e 80, quando le cronache raccontavano delle sue rocambolesche fughe dai carceri d’Italia. Il tempo l’ha cambiato nell’aspetto ma ha lasciato intatta la spavalderia. “Io non sono uno che crede ai complotti, ma certo quello che mi è accaduto è strano”, ha detto durante l’interrogatorio in aula nel tentativo di spiegare una memoria depositata al giudice in cui sosteneva di essere stato “incastrato”. Memoria in cui lega la vicenda del furto alle sue rivelazioni nel caso Pantani: poche pagine per dire, in sostanza, che il suo arresto per quel furto potrebbe essere stato una "macchinazione" collegata alle sue dichiarazioni ai pm di Forlì in merito alla scomparsa del Pirata. La Procura romagnola sta ora indagando su un presunto complotto ordito ai danni di Pantani per escluderlo dal Giro d’Italia nel 1999 con l’alterazione delle analisi del sangue. Vallanzasca, infatti, aveva raccontato di essere stato avvicinato, quando era detenuto ad Opera, da un camorrista che gli aveva detto di non puntare sul Pirata nelle scommesse clandestine, perché era già deciso che il ciclista sarebbe stato escluso dal tour.
Il pm Renna ha replicato depositando ieri atti del fascicolo della Procura di Forlì, tra cui i due verbali resi da Vallanzasca e dimostrare che la nuova inchiesta sul caso Pantani “è nata due mesi dopo questo fatto modestissimo”. Insomma: il collegamento è improponibile. Per il pm il "presunto complotto ai suoi danni di cui parla lambisce il confine della calunnia", e a smentire questa "macchinazione" ci sono "i fatti, il lavoro dei carabinieri e della Procura di Milano".
La difesa, rappresentata dall’avvocato Ermanno Gorpia, invece, ha sottolineato che il suo assistito "ha centinaia di nemici e se è vero che l’indagine di Forlì è successiva, lui aveva già rilasciato interviste sul caso Pantani tempo fa”. Subito dopo il furto, Valanzasca sollevò i primi dubbi: “Perché mi è stata fatta una cosa del genere non lo so, io so soltanto che entro Natale avrei dovuto discutere della mia liberazione condizionale e potevo tornare libero”, aveva spiegato, lamentando che le immagini delle telecamere del negozio che l’avrebbero potuto scagionare “sono sparite”, non sono state acquisite. Dopo aver intravisto la libertà, nonostante 4 ergastoli 296 anni di carcere, ora due paia di mutande possono chiudere per sempre il bel René dietro le sbarre.
d.vecchi@ilfattoquotidiano.it  
Davide Vecchi, il Fatto Quotidiano 15/11/2014