Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 15/11/2014, 15 novembre 2014
IL PIANO G-20 ANTI-RISCHI METTE A RISCHIO I CREDITI
BRISBANE. Dal nostro inviato
Mission accomplished. Missione compiuta, è sembrato dire il presidente del Financial Stability Board, Mark Carney, nella sua lettera di ieri al G-20. Dopo la crisi finanziaria globale, dopo i salvataggi con i soldi pubblici delle grandi banche, le regole ora le abbiamo riscritte. Si tratta di applicarle. Secondo molti politici, il nuovo complesso di regole non si spinge abbastanza in là nel frenare possibili nuovi eccessi da parte delle banche e nell’impedire che si ripeta la situazione degli anni passati. Secondo diversi esponenti del settore, tuttavia, può avere effetti indesiderati, per esempio impedire il rilancio del credito che con altri mezzi invece si vuole espandere per favorire la ripresa dell’economia.
«La proposta – dice Roberto Nicastro, direttore generale di UniCredit, unica banca italiana nella lista – è pro-ciclica, nel senso che richiede alle banche una significativa quantità aggiuntiva di capitale o costoso debito junior nello stesso momento in cui la Bce spinge per far ripartire il credito. C’è il rischio che porti invece a una riduzione dell’attivo, visto che diventa molto difficile generare una remunerazione adeguata del capitale, in un periodo in cui le banche devono già fronteggiare tassi bassissimi e un’economia che non cresce». Una volta passata la misura, poi, è probabile che il mercato, come è già avvenuto in passato spinga tutti gli istituti ad alzare il livello di capitale.
«Non viene riconosciuto poi – afferma Nicastro – che non tutte le grandi banche hanno lo stesso modello di business. Chi come noi, Bbva o Wells Fargo, fa soprattutto banca commerciale viene assimilato a banche che intraprendono attività più rischiose e che sono state all’origine del problema del too big to fail».
Sui mercati si rileva tra l’altro che la proposta dell’Fsb peserebbe soprattutto sulle banche europee, in quanto l’emissione del nuovo debito è più conveniente attraverso una holding, il modello seguito dalle banche Usa e ora anche da quelle svizzere, oltre che dalle grandi banche britanniche. Per quelle europee, la sua adozione potrebbe rendere i costi di raccolta proibitivi.
Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 15/11/2014