http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/11/12/news/100353093-100353093/?ref=HREC1-14, 15 novembre 2014
Olive distrutte dalla mosca killerdi MAURIZIO BOLOGNI FIRENZE - Una bottiglia su tre dell’olio italiano se l’è bevuta una mosca terribile
Olive distrutte dalla mosca killerdi MAURIZIO BOLOGNI FIRENZE - Una bottiglia su tre dell’olio italiano se l’è bevuta una mosca terribile. E il prezzo di ciò che si è salvato è alle stelle. È l’anno nero dell’extra vergine d’oliva. Non se ne produce. Non se ne trova. Una tragedia per i coltivatori, un dramma per gli appassionati della bruschetta. Tutta colpa del clima pazzo e del concatenarsi di una serie di eventi negativi. A giugno l’unica vera ondata di calore ha provocato il disseccamento dei fiori compromettendo la produzione di frutti. Quelli sopravvissuti hanno poi dovuto combattere con alti tassi di umidità, piogge abbondanti, poco sole, condizioni ideali per malattie e attacchi parassitari. Come quello della famelica mosca. Che ha fatto strage. E come se non bastasse, a dare il colpo finale ad un settore che conta su 250 milioni di piante, garantisce impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative all’anno e un fatturato di 2 miliardi di euro, sono arrivate le tempeste di grandine. Quella del 19 settembre ha cancellato le olive da larga parte degli alberi in Toscana, terra d’eccellenza, dove il crollo produttivo ha toccato picchi del 90%, in media tra -70 e -50%. Ma ovunque, nelle settimane scorse, i frantoi italiani hanno lavorato a scartamento ridotto e oggi, ad olive frante e olio fatto, il bollettino è dappertutto di guerra: più che dimezzata la produzione nel centro Italia, Umbria compresa, in Puglia e Calabria contrazione di oltre un terzo, in Campania e Sardegna -40%, -37% nel Lazio, in Sicilia -22%. Lo stivale piange in media un crollo della produzione di -35% e si attesta intorno alle 302mila tonnellate rispetto alle 464mila (dato Istat) della scorsa campagna. È una batosta per gli italiani che ogni anno consumano 12 chili di olio etravergine a persona. E la qualità, checché ne dicano i produttori, non è quella delle annate migliori, mentre i prezzi sono ovviamente in salita. L’olio italiano ha toccato in media punte di 4,40 euro al chilogrammo franco frantoio, un valore superiore di quasi il 50% ai livelli dell’anno scorso e che ha spazzato via il record del 2006. E siccome sui mercati esteri l’olio italiano tira sempre di più, il crollo della produzione è compensato da un aumento del 45% delle importazioni. Fenomeno che preoccupa per l’impossibilità di riconoscere il prodotto straniero per la mancanza di trasparenza in etichetta e per le immagini ingannevoli che si associano talvolta a marchi italiani acquistati da multinazionali straniere. È la Coldiretti a lanciare l’allarme sull’invasione di olio di oliva straniero, sulla base dei dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2014. "Se il trend sarà mantenuto - ha detto il presidente dell’associazione, Roberto Moncalvo - l’arrivo in Italia di olio di oliva straniero raggiungerà nel 2014 il massimo storico con un valore pari al doppio di quello nazionale che registra un produzione attorno alle 300mila tonnellate. In altre parole due bottiglie su tre riempite in Italia contengono olio di oliva straniero. Un consiglio: leggere bene l’etichetta, soprattutto nelle parti scritte con caratteri minuscoli". Più garanzie con la nuova etichetta in arrivo di MONICA RUBINO ROMA - L’anno nero delle olive italiane si può riassumere in due numeri: sole 300mila tonnellate di olio prodotte contro le 464 mila indicate dall’Istat per il 2013. Circa il 35% in meno rispetto allo scorso anno, secondo le stime Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo), con un impatto inevitabile sui prezzi, schizzati del 40 per cento in una sola settimana, come afferma Coldiretti sulla base delle rilevazioni alla borsa merci di Bari. Visto che il fabbisogno italiano è molto più alto e ammonta a circa 1 milione di tonnellate, bisognerà importare dall’estero. Cosa che si è sempre fatta, peraltro. Ma quest’anno i quantitativi saranno maggiori: 700mila tonnellate contro le 481mila del 2013. E persino la vicina Spagna, da sempre paese principe delle nostre importazioni di olio, è in sofferenza: a causa dell’andamento climatico negativo ha addirittura dimezzato i livelli di produzione rispetto al 2013. Importazioni olio d’oliva (valori espressi in Tonnellate) 2010 2011 2012 2013 Gennaio-Aprile 2014 Spagna 439.952 446.282 392.485 255.202 199.930 Grecia 101.355 115.002 116.948 140.474 13.499 Altri Paesi UE 5.756 9.572 10.874 10.330 6.593 Tunisia 51.664 40.973 76.042 62.876 4.604 Altri Paesi Extra UE 7.947 13.384 2.928 12.510 n.d. TOTALE 606.674 625.213 599.277 481.392 224.626 fonte: Assitol/Ismea L’industria e il controllo qualità. Sorge allora la domanda: dove andremo a prendere l’olio che ci serve? E soprattutto: chi garantisce ai consumatori che il prodotto acquistato all’estero sia di buona qualità? In base all’andamento dei raccolti, la previsione è che le nostre principali fonti di approvvigionamento saranno Grecia e Tunisia. Quanto alla qualità, le industrie dell’olio Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia) e Federolio (Federazione del commercio oleario), rassicurano: "I rischi sono molto limitati. Non è un caso che la sicurezza sia ampiamente garantita, come testimonia il Rapporto su vigilanza e controllo di alimenti e bevande in Italia redatto dal ministero della Salute (2012): su un censimento di 22.076 controlli sull’olio extravergine di oliva da parte di Arpa e laboratori di Sanità pubblica è stata rilevata una percentuale di campioni irregolari modesta e tre volte inferiore alla media degli altri prodotti". Il ricorso al blending. Quanto agli strumenti concreti per garantire olio importato di qualità, le associazioni ricordano il sistema del blending. "Le aziende olearie - ricordano - sono abituate ad affrontare situazioni simili a quella eccezionale di quest’anno in cui mettere in campo tutte le competenze di controllo qualitativo necessarie. Tanto che negli anni hanno sviluppato una grande esperienza nella selezione e nell’accostamento di oli diversi per ottenere prodotti di qualità e ben conservabili nel tempo, attraverso un’arte, quella del blending (miscela, ndr), che consiste nell’unire oli vergini con profili diversi per ottenere un prodotto qualitativamente superiore. Per semplificare potremmo paragonare il blending alla creazione di cuvée nel settore vinicolo o alle diverse tipologie di miscele di caffè". Gli oli vergini importati vengono quindi miscelati per ottenere prodotti migliori. Tutto sta ad evitare che in queste miscele ci vadano a finire porcherie per opera di qualche produttore o imbottigliatore disonesto. Per questo, tranquillizzano ancora gli industriali dell’olio, i controlli sono serrati: "Premesso che anche in Spagna, Grecia e Tunisia la qualità degli oli negli ultimi anni è nettamente migliorata, grazie a interventi nel processo agricolo e produttivo, dal punto di vista del controllo della qualità, le aziende associate svolgono, a seconda della dimensione, dalle 2000 alle 30000 analisi all’anno per verificare la materia prima. Dal punto di vista della qualità organolettica invece il blending ha proprio lo scopo di garantire ai consumatori lo standard in termini di qualità e profilo organolettico dell’olio, a fronte di campagne più o meno scarse nei vari Paesi. Indubbiamente occorre che i controlli siano stringenti su tutti gli anelli della filiera, partendo dal campo e dal frantoio passando per il commercio e fino all’industria, grazie al sistema nazionale di tracciabilità. In ogni caso - aggiungono Assitol e Federolio - auspichiamo un tavolo in cui tutta la filiera possa costruire meccanismi di auto controllo più razionali ma ancora più efficaci di quelli esistenti e che possano, in collaborazione con le autorità, diventare sinonimo di massima trasparenza". La nuova etichetta europea. Va ricordato che, dal 13 dicembre 2014, entrerà in vigore la nuova etichettatura europea, che fornisce informazioni più trasparenti, garantendo così maggiore libertà di scelta: il consumatore, nel momento in cui compra al supermercato una bottiglia di extravergine di un grosso marchio industriale italiano, deve sapere che si tratta di un prodotto frutto di una miscela di oli qualitativamente selezionati, ma provenienti da diversi paesi. E l’industria olearia plaude alla novità: "Senza dubbio l’obbligo di mettere l’indicazione di origine nel fronte principale sulle bottiglie di olio extra vergine di oliva, indicazione peraltro già precedentemente prevista sul retro dell’etichetta, rappresenta un passo avanti per la piena trasparenza e corretta informazione del consumatore - concludono Assitol e Federolio - Siamo convinti che la nuova normativa, salvo alcune eccezioni, vada nella direzione giusta per quanto riguarda le informazioni da fornire ai nostri clienti in etichetta. Certamente resta molto da fare, a cominciare da una maggiore libertà di descrivere il gusto ed il profumo del prodotto come accade in altri settori, requisito essenziale per poter raccontare le caratteristiche uniche di alcune cultivar e di alcuni blend. In questo senso l’etichetta rappresenta il principale strumento per contribuire all’educazione del consumatore e per valorizzare i prodotti di qualità". Toscana: "Un crollo del 90 per cento"di MARIA CRISTINA CARRATU’ FIRENZE - "Una situazione drammatica". Non ci sono sfumature nei commenti dei produttori di olio toscano extravergine di oliva. Lo scenario 2014 dell’oro giallo pilastro dell’economia e terza voce dell’export della regione (dopo vino a moda), oltre che simbolo della qualità del territorio, è da decimazione. Come era già evidente alla vigilia della raccolta, a causa delle tre ondate di attacchi della mosca Bactrocera Oleae, contro cui gli altrettanti trattamenti delle piante (invece dell’unico, o al massimo i due, che si fanno di solito) sono serviti a poco, il crollo della produzione (di solito 18mila quintali annui) è stato del 70%, fra olio Igp, Dop e non, con punte di oltre il 90% in alcune zone, dove la concentrazione di elementi negativi è stata massima. Ultima, la furiosa grandinata di settembre che nel solo Montalbano, uno dei poli d’eccellenza della produzione olearia toscana, ha causato danni per 35 milioni e provocato la richiesta dello stato di calamità da parte dell’Alleanza delle Cooperative Toscana, in rappresentanza di circa 3.500 soci attivi, (2.500 nel settore dell’olio e un migliaio del settore vitivinicolo) che sviluppano un fatturato aggregato di 25 milioni di euro. "L’eccezionale grandinata - spiega Giancarlo Faenzi, consigliere delegato della cooperativa Montalbano - ci ha messo in ginocchio. Solo per il nostro oleificio, i costi di frangitura vanno a pareggio con 70.000 quintali di olive, e quest’anno ne lavoriamo solo 10.000 quintali, con uno sbilancio di circa mezzo milione di euro". Il rito del frantoio 1 di 13 A niente sono serviti i bollettini dell’Arsia, l’Agenzia regionale per lo sviluppo agricolo, che aveva avvertito a più riprese gli olivicoltori. "Nessuno immaginava una calamità di queste proporzioni", dice Fabrizio Filippi, presidente del Consorzio toscano olio Igp. E ora, occhio ai prezzi al consumo: la bottiglia Igp da 750 cl da 10 euro, quest’anno può toccare gli 11-12 euro, e sui 12 euro potrebbe attestarsi anche quella da mezzo litro, apprezzata soprattutto fuori Toscana e per l’export. L’olio non Igp si può trovare a un po’ meno, ma per modo di dire: se nel 2013 un chilo costava 8-9 euro, quest’anno potrà toccare i 10. Molti frantoi si sono attrezzati per lavorare olive di altre regioni italiane, Umbria, Lazio, Calabria, Puglia, e produrre oli sui 7 euro. Molti toscani, però, non si accontentano, come dimostra il tam tam degli ’orfani’. "Dice che non c’è olio", dialoga Facebook da giorni, "Già, e adesso?", "Addio fettunta, ribollita, il crostone con i fagioli e il cavolo nero, per i quali l’olio ha da essere "bòno", o niente. E quest’anno è vera tragedia. Tutta colpa della Bactrocera, infida mosca che ha fatto marcire le olive sui rami, quando non sparire del tutto. Insieme all’olio crollano certezze, vengono meno un mito, un rito, un fondamento identitario. A Reggello niente "Rassegna dell’olio", primo stop dopo 42 anni ininterrotti, a Tavarnelle niente "Olio a Tavola", a Bagno a Ripoli la mostra mercato "Prim’olio" prima ha cercato di resistere, con olio d’importazione, ma alla fine si è scelto di riunciare. Orci vuoti in fattorie piccole, medie e grandi, niente feste sulle aie a base di fettunta, danno forfait anche il piccolo frantoio, il contadino, il piccolo consorzio agrario, centinaia in tutta la regione, dove un tempo si andava di domenica con le taniche. Perfino orti e giardini sono in default, le poche piante che nutrivano intere famiglie a costo zero sono lì, inutili, e quel po’ di olive servono giusto da mettere in salamoia. Si stenta a credere che il dramma sia generale, "ma no, ho un amico all’Impruneta", e invece nemmeno gli amici hanno più niente, i litri salvati, come dice Stefano Fusi, ex sindaco di Tavarnelle Val di Pesa che con 3 trattamenti antimosca ha ricavato metà dell’olio dell’anno scorso, "è sparito fra parenti e amici-amici", e il resto è chiuso a chiave in cantina. Gruppi di questuanti si riuniscono per fine settimana di ricerche, auto piene di bottiglie vagano fra il Chianti e il Valdarno, le colline del Montalbano, il pratese, la Maremma, ma nulla, il massimo che si trova è un po’ d’olio dell’anno prima. A prezzi, si intende, maggiorati. In un’azienda di Follonica un litro del 2013 è stato pagato 7 euro. Le associazioni consumatori avvertono: attenti alle truffe. Basta un pizzico di betacarotene o di clorofilla, per ridare smalto agli esausti oltre che camuffare gli olii di semi, anche se il gusto dovrebbe comunque mettere in allarme. Mai prendere olio vecchio in lattine, perché non si vede il colore, e mai olio nuovo (quando si trova) con troppa fondata: ci sta che sia pieno di bachi della mosca, una poltiglia che in pochi mesi fa marcire tutto. Non che l’olio extravergine toscano non si trovi, nei supermercati il "nuovo raccolto" è lì in bella mostra ma occhio alle etichette, il disegnino con la colonica e il cipresso a volte nasconde olio confezionato in Toscana, sì, ma prodotto con olive di tutta Italia, se non estere. L’indicatore resta il prezzo: guai a pagare un extravergine a meno di 6 euro. Così, non resta che adeguare la cucina, anzi, un intero stile di vita. Fine dello scialo: il tesoro verde-oro verrà riservato d’ora in poi a pochi must della tavola toscana. Fine delle bottiglie regalo per Natale e dei sottolii casalinghi, stop ai balsami per capelli fatti in casa. Sotto con l’olio degli amici ellenici, "che almeno si fa un’azione utile", si riflette su Fb. Umbria: "Le aziende devono fare mea culpa" di GLORIA BAGNARIOL SPOLETO - Prima le piogge eccessive, poi il picco di sole nei momenti decisivi della fioritura: sembra che tutto abbia cospirato contro le olive quest’anno. Il tempo ha compromesso la produzione e ha creato il clima perfetto per gli attacchi della mosca olearia che hanno definitivamente danneggiato i frutti dimezzando il raccolto. I dati dell’Ismea (Istituto dei servizi per il mercato agricolo alimentare) parlano del 45% di produzione in meno. "Un vero e proprio disastro", secondo Sandra Monacelli, consigliere regionale in quota Udc che ha chiesto alla Regione di attivarsi per lo stato di calamità naturale: "Non possiamo affrontare il problema in maniera semplicistica, è a rischio una delle eccellenze non solo del territorio, ma di tutta l’Italia". Condividi Tutta colpa di madre natura quindi? Secondo Angela Canale, agronomo ed ex Presidente di Assoprol (organizzazione dei produttori olivicoli), prima di prendersela con il tempo e gli attacchi della mosca, i produttori dovrebbero fare mea culpa: "È vero, ci sono stati eventi climatici particolari, ma il problema è stato preso sottogamba. È da luglio che diciamo di fare attenzione, ma quasi nessuno ci ha preso sul serio". Per Canale si corre il rischio di nascondere i veri problemi del settore: "Non c’è conoscenza, ci si affida a quello che facevano i propri nonni. Bisogna avere il coraggio di capire la differenza tra l’orto di casa e l’azienda agricola e scegliere cosa si vuole fare". Una chiave di lettura che pare confermata dalla vicenda di Giuseppe Giancarlini: 23 ettari di olivi nella zona di Trevi, è uno dei pochi ad aver salvato parte del proprio raccolto. Non ha una tradizione familiare nel settore, viene dalla città. Quello che ha imparato sull’olio lo ha studiato sui libri, non lo ha conosciuto grazie ai racconti del padre: "Questo basta per farmi vedere dagli altri produttori come un alieno, un ’traditore’. Io ci metto tutto il mio impegno e la passione, ma non si può continuare a fare l’olio come 60 anni fa. L’agricoltura è cambiata, il clima anche, è necessario aggiornarsi". Nonostante l’impegno, Giancarlini riuscirà a produrre solo il 38% rispetto all’anno scorso; ammette di essersi mosso in ritardo e che non tutte le aziende sono attrezzate per prendere provvedimenti. Avere gli strumenti per difendersi non è solo una questione di conoscenza, ma anche un impegno economico che molti produttori non riescono ad affrontare. L’agricoltura soffre già una pesante crisi e le piccole aziende a conduzione familiare non riescono a sostenere costi aggiuntivi. Proprio per questo il consigliere Monacelli crede che si debba agire subito: "Ci sono state delle imprudenze? È probabile, ma la storia non si fa con i se e con i ma, è inutile ora pensare a chi ha sbagliato, dobbiamo solo contenere le conseguenze". Canale riconosce le difficoltà economiche, ma è convinta che "l’ennesimo provvedimento tampone" non aiuterà il settore: "Certo, c’è la crisi. Ma chi vuole impegnarsi seriamente per fare impresa non può continuare ad agire alla meno peggio. Se non interveniamo sulle difficoltà strutturali continueremo a perdere terreno. Venti anni fa eravamo i primi produttori al mondo, poi siamo diventati i secondi, quest’anno scenderemo ancora di più. Quanto ancora dobbiamo rimetterci prima di cambiare passo?". La Puglia colpita anche dalla Xylella di FRANCESCA RUSSI BARI - Produzione al minimo e prezzi al massimo. La crisi dell’oro verde travolge la Puglia. Il calo della produzione olivicola dal Gargano al Salento è drastico. "Un’annata da dimenticare" allarga le braccia il presidente della Coldiretti Puglia, Gianni Cantele. Si stima oltre il 30% in meno rispetto allo scorso anno con un contestuale ridimensionamento delle rese fino al 50% perché le olive sono più piccole e rovinate e un aumento del 40% dei costi di produzione. Colpa del maltempo (l’ultima tromba d’aria ha sradicato 1000 ulivi solo nel tarantino), degli attacchi di mosca e del batterio killer Xylella, un fenomeno tutto pugliese che ha distrutto centinaia di oliveti. Le conseguenze di quella che i coltivatori pugliesi definiscono la più grossa emergenza degli ultimi 15 anni sono però anche nazionali. Perché il tacco d’Italia è la regione con la più alta incidenza sulla produzione olivicola italiana, il 36,6%, e rifornisce centinaia di frantoi in tutta la Penisola. Il risultato, dunque, si fa sentire sulle tasche degli italiani: i prezzi dell’extravergine sono schizzati a 7 euro al chilogrammo a fronte dei 3 euro dell’annata precedente. Ad aggravare il dramma in Puglia ci ha pensato, come detto, la Xylella. È nelle campagne del leccese che il batterio killer ha mandato in fumo ettari ed ettari di oliveti. "Il Salento avrà il calo più sensibile - ammette Nicola Santoro, imprenditore olivicolo di Cursi (Lecce) - per colpa del clima impazzito, del caldo primaverile, della Xylella". Ma non ci sta ad addossare tutta la colpa solo al maltempo il produttore di Canosa di Puglia (Bat) Sabino Leone. "Purtroppo il 90% degli agricoltori non è stato attento alle temperature e il caldo umido di agosto ha fatto schiudere le uova di mosca prima, è colpa nostra, non del tempo". La diminuzione della produzione e l’aumento del costo ha fatto sì che siano cresciuti anche i furti nelle campagne. A Bitonto, nel barese, in un mese e mezzo sono stati oltre 70. "Un quintale di olive è arrivato a 100 euro - fa i conti Leone - con la crisi e la disperazione un furto di olive rende". Poche olive, dunque, e prezzi alti, così il rischio di invasione di produzioni estere a basso costo è dietro l’angolo. "Il mercato rischia di essere invaso dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non rispondono agli standard qualitativi e di sicurezza alimentare obbligatori qui - denuncia Domenico Pelillo, imprenditore olivicolo-oleario di Palo del Colle (Bari) - I consumatori devono prestare molta attenzione all’etichetta che deve riportare la scritta ’ottenuto da miscela di olio comunitari o extracomunitari’ se non si tratta di olio 100%". "Bisogna lavorare contro il danno all’immagine che troppo spesso il nostro territorio e le nostre produzioni di qualità subiscono", aggiunge Floriana Fanizza, titolare di un’azienda a Montalbano di Fasano (Brindisi). Gli olivi sradicati in Puglia 1 di 5 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () Nel corso degli ultimi dieci anni le importazioni complessive in Puglia, regione che detiene il 12% della produzione olivicola mondiale, sono cresciute più rapidamente delle esportazioni, confermando la perdita di competitività della filiera pugliese sui mercati esteri. Le importazioni low cost di oli di oliva da Spagna, Grecia e Tunisi ammontano a circa 87mila tonnellate mentre le esportazioni, per lo più verso Usa, Giappone, Australia e Canada, si aggirano sulle 38mila tonnellate. "Le importazioni di olio di oliva sono aumentate del 45 per cento - denuncia il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti - ma sul mercato è praticamente impossibile riconoscere il prodotto straniero per la mancanza di trasparenza in etichetta. Due bottiglie su tre riempite in Italia contengono olio di oliva straniero: occorre combattere i rischi di frodi e assicurare ai consumatori scelte di acquisto consapevole". Condividi Liguria: "Dopo 100 anni costretti a importarlo" di GIULIA DESTEFANIS IMPERIA - Un’annata così avrebbe persino cambiato i programmi di Paolo Sorrentino e del suo cardinale Bellucci, che nella celebre cena in terrazza de La Grande Bellezza raccontava orgoglioso l’Ecce coniglio alla ligure, spiegando la ricetta con "rosmarino, vino rosso e olive taggiasche". La stagione nera dell’olio colpisce anche la Liguria e il suo gioiello, la taggiasca, qualità che arriva dal Ponente della Regione, dolce e fruttata, conosciuta in tutto il mondo: "La produzione calerà del 50% - spiega Roberto De Andreis, presidente del consorzio Oliva taggiasca di Imperia - Per un po’ compenseremo con le scorte del 2013, ma poi finiranno e per avere olio di taggiasca, ma soprattutto le olive in salamoia che richiedono mesi di preparazione, bisognerà aspettare l’estate 2016". Nessuno ricorda un anno così difficile, qui dove tutti rivendicano l’origine della tradizione italiana dell’oliva in salamoia e si conservano documenti del ’32 in cui i produttori locali chiedevano al Governo di tutelare il prodotto. "Alla fine è arrivato anche l’Oscar - scherza Franco Roi, produttore delle alture di Arma di Taggia, dove è nata la taggiasca - Sorrentino ci ha regalato una grande visibilità". Ma ora il problema è stare al passo con la richiesta. "Abbiamo avvertito i clienti del calo - continua - Ma è dura dire di no: la taggiasca in salamoia la chiedono ormai chef di tutto il mondo, la nominano negli show televisivi. È una moda, non dovuta a una nostra strategia di marketing ma alla sua bontà. E speriamo che un anno difficile non la freni". L’olivicoltura ligure non è però solo il microcosmo della taggiasca, gioiello di una cinquantina di produttori: olio ligure vuol dire 4500 aziende solo nella provincia di Imperia, dove si produce il 98% dell’extravergine Dop Riviera Ligure della Regione, e vuol dire un’economia trainante da Ponente a Levante. Tutta in ginocchio: "Il calo della produzione arriva al 60% - dice Agostino Sommariva, produttore di olio e prodotti derivati di Albenga, in provincia di Savona - I prezzi aumenteranno, si arriverà ad esempio da 9 a 13 euro per un litro di extravergine" (da 9 a 11 l’aumento previsto per un chilo di taggiasche in salamoia). Per la prima volta da 100 anni, continua Sommariva, "dovremo importare olio dall’estero, ma, proprio perché è una forzatura, lo faremo in modo particolare, scegliendo solo uliveti affacciati sul mare in una zona del Mediterraneo". Nel frattempo, però, avverte che una riduzione del personale, "o almeno degli orari di lavoro, è una scelta obbligata". Le ragioni della crisi sono le stesse del resto d’Italia: un’estate piovosa, un autunno troppo caldo, la mosca olearia che ha colpito più del previsto. "E alla fine i temporali, che ci stanno massacrando e potrebbero aver danneggiato le poche olive rimaste - aggiunge Federica Guasco del Frantoio Olivo di Liguria di Torre Paponi, sopra Imperia - Potenzialmente arriveremo a un calo del 90%". Lei non ricorrerà a olio straniero, "venderò di meno per un anno. Anche perché spesso gli oli comunitari ed extracomunitari sono di qualità più scarsa, con maggiori residui di pesticidi o di plastiche: molti paesi hanno regole meno stringenti di quelle italiane". Ma è un rischio che "si evita selezionando a dovere gli oli", spiega Gianfranco Carli, amministratore delegato di Fratelli Carli di Imperia, uno dei più grandi produttori liguri. "La nottata, alla fine, passerà - conclude Agostino Sommariva - Ci auguriamo annate migliori. Sperando che nel frattempo i consumatori, trovando molto più olio straniero sul mercato, non dimentichino l’olio ligure e le bontà del nostro territorio". Ci penserà La Grande Bellezza, a ricordarle. Calabria: "Chi l’ha salvato sarà ricco"di GIUSEPPE BALDESSARRO REGGIO CALABRIA - "Chi ha olio in Calabria quest’anno si fa ricco". Non è entusiasmo quello di Giacomo Giovinazzo. Tutt’altro. Dietro la frase del dirigente dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Calabria c’è preoccupazione. È vero che la richiesta di olio alimentare è schizzata verso l’alto e che i prezzi che gli acquirenti sono disposti a pagare sono arrivati alle stelle, ma è altrettanto vero che la produzione media regionale ha subito un abbattimento medio del 50-55%. Colpa del clima da una parte e della Bactrocera oleae, meglio nota come mosca dell’olivo, dall’altra. Per questo le aziende riuscite a salvare il prodotto avranno introiti importanti, mentre le altre soffriranno per una stagione partita male e che rischia di finire peggio. I numeri calabresi sono sempre stati tra i più importanti del Paese. Con oltre 184mila ettari di terreni dedicati all’olivicoltura, la regione garantisce al mercato il 16,66% (dati dello scorso anno) della produzione nazionale, seconda solo alla Puglia. Quantità che fa il paio con la qualità garantita da centinaia di piccoli produttori che danno lavoro a 150 imbottigliatori. Dati che quest’anno non saranno confermati a causa di una stagione che, dal punto di vista della quantità del prodotto, è considerata da dimenticare. In alcune province come quella di Catanzaro l’80% di produzione è andata perduta, mentre hanno tenuto un po’ meglio le colture della provincia reggina. "Si sono salvati - spiega Giovinazzo - soltanto gli imprenditori che hanno saputo prevedere il rischio ed hanno protetto le piante". Un brutto momento, insomma. In un periodo in cui la Regione aveva puntato tutto sulla promozione dell’olio di qualità calabrese con una campagna sia nazionale che internazionale e un lavoro a tappeto anche sui ristoratori "locali", dove su una media di 500 esercizi ancora soltanto 60 usano olio calabrese. Ora, paradossalmente, con l’aumento della domanda, quest’anno non ci sarà la quantità di prodotto necessario a soddisfare la richiesta. E non è l’unico rischio. Il presidente di Confagricoltura, Alberto Statti, ricorda l’aggressione che il mercato subisce dai contraffattori esteri che, con diverse strategie, tentano di sporcare i marchi Italiani. Una sofisticazione che cercherà di trarre vantaggio anche dal fisiologico aumento del prezzo di mercato. Oggi l’olio calabrese è quotato, a seconda della qualità, tra i 4 e i 6,5 euro al chilo per un prodotto che sulla tavola degli italiani potrebbe arrivare mediamente a 8,5. Il prezzo secondo Rosario Franco (di Arsac e Unione dei produttori) è in costante crescita. E Anche su questo Statti chiede di essere prudenti: "Un prezzo troppo alto abbatterebbe i consumi e favorirebbe l’arrivo sugli scaffali di oli di scarsissima qualità". Insomma, è un gioco di equilibri a cui anche i produttori calabresi devono fare attenzione, come spiega Pierluigi Taccone, uno degli olivicoltori più importanti della regione, con uliveti sia nel lametino che nella piana di Gioia Tauro. "Quest’anno il prezzo è particolarmente alto - conferma - ma non è straordinario rispetto ai costi di gestione degli impianti. Si può dire che si tratta, forse per la prima volta, di un prezzo giusto. L’ideale sarebbe mantenerlo anche in futuro, ma a quantità di produzione normali. I nostri oli lo meritano, sono eccellenti". Come leggere l’etichetta 1 di 9 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () La Forestale: "I trafficanti sono già all’opera"di GIUSEPPE CAPORALE ROMA - Amedeo De Franceschi, direttore della divisione sicurezza agroalimentare del Corpo Forestale dello Stato, è molto preoccupato. E’ lui a coordinare le indagini più delicate contro i "trafficanti d’olio", gli imprenditori senza scrupoli che in questo momento di crisi del settore ne approfittano per fare grandi affari. Sono in corso indagini di rilievo in Puglia, Lazio, Toscana, Sicilia e Calabria. In tutta Italia nel settore c’è massima allerta. "L’olio in Italia - avverte - ormai si trova solo a quindici euro al litro. E sa quant’è la quotazione di un quintale d’olive?". No, quanto? "Cento euro. Questo significa che l’olio d’oliva oggi costa una euro al chilo. Ecco spiegato perché in questo momento così difficile il settore rischia di cadere nelle mani della criminalità organizzata". Un dramma per il settore. "Un problema molto serio che investe almeno un milione di aziende agricole. Parliamo di produttori piccolissimi, con una media di un ettaro di coltivazione a testa. Sono tutti in ginocchio. In Umbria è stato chiesto lo stato di calamità. La regione più colpita è di certo la Puglia. Ma consideri che i danni economici sono rilevanti anche in Toscana che esporta olio in tutto il mondo. E poi nel resto del Paese". E in questo contesto c’è il rischio che la criminalità prenda il sopravvento. "E’ un fenomeno purtroppo già in corso. I trafficanti d’olio esistono da sempre, ma in situazioni come questa hanno la possibilità di coinvolgere operatori che sono disperati. Noi stiamo lavorando molto per bloccare questo traffico illecito". Chi sono i trafficanti d’olio? "Colletti bianchi, che provano ad importare olio straniero o olive da vendere alle aziende che sono in crisi. Ma c’è anche il pericolo che davanti a questa debacle del settore senza precedenti anche le mafie siano interessate. E’ qui che scatta un ulteriore allarme". E il consumatore come può difendersi? "Innanzitutto deve comprendere che l’olio va consumato entro 18 mesi. Poi il consiglio è quello di leggere sempre l’etichetta e puntare al valore del prodotto". L’identità smarrita dei produttori sabini dal nostro inviato VALERIO GUALERZI POGGIO MOIANO (RIETI)- Secondo la leggenda è qui in Sabina, per l’esattezza a Canneto, nei pressi di Fara, che vive il più vecchio olivo d’Europa. Un albero maestoso che ha conosciuto ben 2000 primavere. Non è escluso che anche al prodotto di questo patriarca si riferisse Galeno da Pergamo, il grande medico dell’antica Roma, quando definiva l’olio di queste terre a pochi chilometri dalla capitale il migliore del mondo, consigliandolo come base per molti preparati terapeutici. Una affermazione che sino all’estate scorsa gli agricoltori locali sarebbero stati pronti a ribadire con orgoglio, ma che ora, con grande sgomento, quasi con imbarazzo, non se la sentono proprio di sottoscrivere. "Le olive sono tutte malate, quel poco di olio che siamo riusciti a fare ha un sapore atroce, è praticamente lampante, ovvero non è commestibile", spiega Domenico Felli, presidente della Cooperativa olivicola Alta Sabina che raccoglie 240 piccoli produttori della zona di Poggio Moiano. Condividi "Lo scorso anno - ricorda - abbiamo raccolto 7mila quintali, quest’autunno appena 140, un autentico disastro: non c’è frutto che non sia stato attaccato dalla mosca olearia. La mancanza di gelate invernali e poi l’estate particolarmente umida hanno fatto proliferare questo parassita come non era mai accaduto. Qui in paese nessuno, neppure i più anziani, ricorda una stagione come questa. Noi facciamo coltivazione biologica, non abbiamo modo di trattare le piante. Poi, come se non bastasse, ci si sono messe anche le grandinate". La situazione dell’Alta Sabina è particolarmente drammatica, ma è tutto il Lazio, dove sono registrate ben quattro Dop e i frantoi attivi sono oltre 300, a piangere i danni causati dal clima pazzo. Secondo l’Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, nella regione si registra un -37% di produzione. "Il livello di produzione atteso - rilancia l’allarme la Coldiretti Lazio - è di circa 12.000 tonnellate, un quantitativo assolutamente insoddisfacente, che si accompagna a una stagione della molitura aperta in ritardo e con molte strutture che probabilmente non apriranno affatto per assenza di prodotto". Il danno tra l’altro rischia di esser doppio, visto che oltre ad un’intera economia finita in ginocchio c’è anche il pericolo di sofisticazioni o truffe capaci di danneggiare l’immagine di un prodotto di pregio. "Si tratta di concertare le misure più adatte a tutelare il reddito dei produttori, la qualità dell’olio d’oliva laziale ed evitare inganni al consumatore che potrebbe trovarsi di fronte prodotto straniero, spacciato per made in Italy", spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri. A Poggio Moiano la speranza è che un aiuto possa arrivare nuovamente dall’Europa. "Abbiamo vissuto una situazione simile nel 1985, quando una gelata fenomenale uccise moltissime piante", spiega l’assessore comunale Vincenzo Ludovisi. "Quella volta da Bruxelles - ricorda - arrivò un aiuto economico che ci permise non solo di rimetterci in piedi, ma anche di rinnovarci". Che la crisi si possa trasformare in un’opportunità è anche il punto di vista di Andrea Cortese, presidente di Slow Food Sabina. "L’importanza dell’olio - sostiene - si scopre ora che non c’è. Fino ad oggi abbiamo avuto una grande abbondanza e forse ci si è adagiati su questa ricchezza, trascurando alcune migliorie necessarie (penso alle potature eseguite con regolarità) e all’importanza di promuovere tutti insieme, agricoltori, ristoratori e amministrazioni, la consapevolezza del valore eccezionale di questo prodotto che troppo spesso è finito per essere stato svenduto". Attenti a strapazzare la natura di LICIA GRANELLO "Il giorno che morisse l’ultima ape, l’Umanità avrebbe ancora quattro anni di vita". Vera o falsa che sia l’attribuzione della frase ad Albert Einstein, resta il monito, alto e severo, a non strapazzare troppo la natura. Se le api rischiano grosso per colpa dei nicotinamidi, gli ulivi non se la passano tanto meglio. Certo, i cambiamenti climatici non aiutano. L’estate piovosa, le temperature in altalena, grandinate e trombe d’aria assortite hanno minato la qualità di moltissime coltivazioni dal Piemonte alla Sicilia, olive comprese. L’acqua senza tregua ha stroncato le fioriture, dimezzato le alligagioni, alterato le invaiature. Ma il clima non è mai stato una certezza monolitica. E gli uomini producono olio da migliaia di anni. A peggiorare, insieme al clima, è stata la salute degli ulivi. Perché le malattie sono sempre esistite, e attaccano tutti gli esseri viventi, vegetali o animali che siano. A fare la differenza è la capacità di non ammalarsi, o - se ci si ammala - di respingere vittoriosamente l’attacco. Il guaio è che mezzo secolo di inquinamento pesante ha indebolito tutto e tutti. Perfino gli ulivi, che la storia dell’uomo ci consegna come simbolo di resistenza, pace, saggezza. Resistere alla mosca olearia, oltre che a parassiti vari, è la storica battaglia degli ulivi, una lotta condotta per troppo tempo con pesticidi a go-go. Le mosche non sono scomparse, ma in compenso gli ulivi si ammalano molto più facilmente. Malattie e morìe sono in aumento anche tra castagni, aceri, querce e perfino le tostissime edere. Succede perché i pesticidi abbassano le difese immunitarie di uomini e piante. E se gli uomini cercano di tamponare i danni a sé stessi con vitamine e antiossidanti, le piante invece sono fregate. La raccolta ridottissima di quest’anno farà lievitare i prezzi e aumentare in maniera esponenziale il rischio di produzioni contraffatte, tra oli di sansa, lampanti, rettificati, deodorati. Meglio tenerlo a mente davanti alle bottiglie di extravergine offerte a pochi euro. Un prezzo troppo basso perfino per l’olio della vostra automobile. "Ma per il tartufo è un’annata record" di MAURIZIO BOLOGNI FIRENZE - Ce n’è tanto, di buona qualità, a prezzi bassi. È il novembre del tartufo bianco, "low cost" nelle mostre mercato che in questi fine settimane si svolgono nei poli dell’Italia tartufigena: da Alba ad Acqualagna, dalle Crete Senesi a San Miniato di Pisa. "In media il prezzo è ridotto del 30% rispetto ad un anno fa", dice Michele Boscagli, presidente delle città del tartufo, che in questi giorni salta da una parte all’altra d’Italia per presenziare alle Fiere. "La situazione è a macchia di leopardo, sia per quantità che per qualità. Per quanto riguarda quest’ultima, diciamo che in media siamo sulle tre stelle e mezzo su cinque". Ma è il prezzo la vera calamita per gli appassionati, soprattutto a confronto con l’impennata di due anni fa. Allora, a San Giovanni d’Asso, capitale del tartufo delle Crete Senesi, il pregiato tubero bianco è passato di mano con punte di 5.000 euro al chilo. Quest’anno il borsino del Museo del tartufo della cittadina senese, che giorno per giorno quota il valore del tubero, indica prezzi assai più abbordabili: all’8 novembre 1.600 euro al chilo per le pezzature più grandi da oltre 50 grammi del nobile tuber magnatum pico (è il nome originale del tartufo bianco), 1.300 euro per le pezzature tra i 15 e i 50 grammi, 900 euro al chilo per i pezzetti più piccoli tra 0 e 15 grammi di peso, che solo il primo novembre scorso aveva toccato il minimo di 600 euro. L’ultimo aggiornamento del borsino del tartufo di Alba, che quota solo i pezzi da 20 grammi, indica in 2.400 il prezzo al chilo, in fase di assestamento dopo una risalita dai 2.000 euro del 22 settembre. Roba da leccarsi i baffi. Eccellenza a buon mercato. "Prezzi alla portata di tutti" esulta il presidente dell’associazione tartufai senesi Paolo Valdambrini, brindando all’inattesa svolta "democratica" di una leccornia considerata per pochi. Il ribasso dipende dalla grande quantità di tartufi, legata alla stagione piovosa che ha favorito allo stesso modo la produzione dei funghi, e che si accompagna ad una qualità buona anche se non eccelsa. E all’abbondanza, si sposa di tanto in tanto l’eccezionalità dei ritrovamenti. Il 4 novembre a Savigno (Bologna) è stato scavato il tartufo bianco più grande del mondo. Sottoposto a pesatura certificata prima di essere custodito in caveau, ha fatto segnare il peso di 1chilo e 483 grammi, 173 grammi in più di quello raccolto in Croazia nel ’99 (1,310 chili). Appennino Food, azienda di commercializzazione e trasformazione funghi e tartufi, lo ha messo all’asta per Sla e associazione Amani. Da record, ma per altro motivo, il tartufo gemello d’Alba battuto per 100mila euro alla tradizionale asta svoltasi a Grinzane Cavour. Se lo è aggiudicato uno sconosciuto imprenditore di Hong Kong. Ma il settore ha le sue spine. Le frodi, la contraffazione. "Colpa di una legislazione vecchia - attacca il presidente Boscagli - che non assicura la tracciabilità del prodotto. A certificare la provenienza del tubero è il commerciante che lo acquista dal raccoglitore. Emette fattura, senza dover indicare personalmente da chi acquista, e pagando, senza poterla scaricare, l’Iva. Che sborsa una seconda volta al momento della vendita. E’ una legge assurda. Non dà garanzia sulla provenienza del tartufo, favorisce l’importazione non certificata da Istria, Romania e Bulgaria, non aiuta a vincere la piaga del commercio al nero. Stiamo lavorando per cambiarla". E così le mostre-mercato locali diventano anche presidi di tracciabilità. Lì dovrebbe essere sicuro che in vendita si trova solo prodotto raccolto sul posto, a prezzo da chilometro zero. E le occasioni, in questo mese, sono tantissime.