varie, 15 novembre 2014
ARTICOLI SUL LICEO CLASSICO DAI GIORNALI DEL 15/11/2014
VERA SCHIAVAZZI, LA REPUBBLICA -
ILliceo classico è assolto, perché «il fatto non sussiste ». Ma dovrebbe essere riformato al più presto.
Così, al Teatro Carignano, una corte già fortemente influenzata da una serie di opinioni favorevoli al liceo più antico d’Italia, da Luciano Canfora a Ivano Dionigi, ha deciso ieri, dopo un processo organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, dal Miur e da Il Mulino, dove l’economista Andrea Ichino e il semiologo e scrittore Umberto Eco sostenevano l’accusa e la difesa. Un processo guidato da Armando Spataro, procuratore capo a Torino, e accompagnato da testimonianze e “tifo”, nonché grida di dolore e di richiamo al cambiamento di insegnanti e studenti. Ma anche di argomenti che hanno trionfato, come l’invito di Eco a considerare che la cultura classica è utile e forse indispensabile, a chi deve progettare il software di un computer.
Ecco gli argomenti principali con i quali Eco e Ichino si sono “sfidati”, con ironia il primo, con passione e dovizia di dati il secondo. Ma oltre che di scuola si è parlato moltissimo dei modi italiani, e non solo, di formare una classe dirigente.
Andrea Ichino: In questo processo cercherò di far condannare il classico perché inganna alcuni studenti, che lo scelgono per avere strumenti migliori. E poi perché è inefficiente e perché è figlio della riforma Gentile, la “più fascista delle riforme”, che voleva creare una scuola di élite impedendo alle classi svantaggiate di accedervi.
Umb erto Eco: Sono d’accordo: il classico non prepara meglio dello scientifico, ma prepara in modo uguale. Ed è vero che Gentile non aveva fiducia nelle materie scientifiche. Nel liceo classico che ho fatto io c’era perfino pochissima storia dell’arte, la studiavamo solo su un vecchio manuale, il Pittaluga, con le foto in bianco e nero. E si erano dimenticati di spiegarci che Leonardo era un genio della pittura, ma non sapeva granché di chimica dato che molti suoi affreschi si scoloriscono.
Ichino: Nessuno vuole davvero abolire la cultura umanistica. Ma in Italia le competenze matematiche sono sconosciute al 70 per cento degli adulti contro il 52 medio degli altri paesi: forse è ora di restituire qualcosa. Occorre ripensare un equilibrio. Le ore non sono illimitate. Dobbiamo scegliere: studiare i mitocondri, dove si ritiene ci sia l’origine della vita di tutto il pianeta, o l’aoristo passivo e le origini della nostra cultura?
Eco: Ripensare un equilibrio vuol dire insegnare meglio il latino, dialogando in latino elementare, introdurre per tutti i cinque anni almeno una lingua straniera, e perfino la storia dell’arte. Anche il greco si può cambiare, aumentando le traduzioni del greco della koiné e di quello che anche Cicerone parlava. Propongo l’abolizione del liceo scientifico e la nascita di un’unica scuola, umanistica e scientifica.
Ichino: Su 1700 studenti bolognesi che si sono candidati al test per entrare alla facoltà di Medicina, quelli del classico erano avvantaggiati rispetto a quelli dello scientifico perché il loro voto di maturità era superiore di un punto e più rispetto alla media della scuola. Ciò nonostante, sono andati peggio nei test di chimica e di fisica. E se si paragona l’andamento al test con le medie successive degli esami si vede che a Medicina va meglio chi ha superato meglio la prova.
Eco : Ma chi ci dice che i test di medicina così come sono vadano bene? Che controllino anche la conoscenza memoriale, che pure è utile? E che invece non creino sacche di iperspecializzazione dove chi cura una malattia rara non sa più curare il raffreddore?
Ichino: Quello che sappiamo è che in Italia avere il padre laureato conta 24 volte di più per ottenere, da adulti, un reddito elevato. In America si arriva al massimo a 6 volte e ciò che conviene davvero non è tanto nascere nella famiglia giusta, ma provvedere a laurearsi in proprio. Per tacere del fatto che non solo l’inglese, ma anche l’arabo o il cinese possono essere oggi necessari.
Eco: Ma abolire la cultura classica serve solo a perdere la memoria, a farci vivere in una società orientata sul presente. Con le conseguenze che sappiamo: nessuno sa dire in che anno Mussolini e Hitler stipularono il primo accordo, nessuno dice che era il 1936.
Lo stesso Hitler non doveva aver studiato bene la storia napoleonica, altrimenti avrebbe saputo che non si può invadere la Russia senza dover affrontare almeno un inverno. Quanto a Bush, invadendo l’Afghanistan non si era informato da nessuno su come mai né Inghilterra né Russia l’avevano già fatto nei secoli precedenti: realtà orografica e rivalità tribali rendevano l’impresa difficile.
Ichino: Ma se il liceo classico è così fondamentale, mi sapete spiegare come mai nessuno lo riproduce in altri paesi? O perché anche nazioni come la Francia e la Germania lo hanno abolito e oggi riescono a reagire alla crisi meglio di noi? E perché invece di imporre a un ragazzo di 14 anni un menù fisso non glielo si propone invece à la carte, lasciandogli la possibilità di scegliere un po’ alla volta quali corsi frequentare? Vi suggerisco di guardare alla Boston Latin School.
Eco: È vero, un mio nipote frequenta a Roma un liceo francese e in effetti ha potuto scegliere à la carte, decidendo per greco ed economia. Non è troppo appassionato alla grammatica, ma ama molto il modo in cui il suo professore passa facilmente da quella alla civiltà di Atene antica. E forse così scoprirà un poco anche i misteri dell’aoristo.
Ichino: Ma perché la nostra futura classe dirigente, o presunta tale, studia per anni il greco e il latino, passa il tempo a fare versioni, e alla fine non parla nessuna di queste due lingue mentre l’inglese o il francese sì?
Eco: Perché c’è modo e modo di studiare latino e greco. Adriano Olivetti cercava e assumeva oltre agli ingegneri anche persone con cultura umanistica, educate sulle avventure della creatività. Io stesso del resto appena ho avuto uno dei primi computer di Apple ho imparato a programmare un sistema per riprodurre i sillogismi classici sulla base della mia conoscenza di Aristotele. Non è vero dunque che un informatico sia un semplice esecutore di equazioni, anche se non è necessario che abbia letto i formalisti russi per pensare all’intertestualità.
Ichino: Il liceo classico è iniquo perché non dà strumenti adeguati alla società, e dunque contribuisce a ridurre la mobilità sociale. La storia è certamente utile, ma dopo aver studiato quella e la filologia ci sono molte altre cose che uno studente deve fare. E tra queste utilizzare informazioni qualitative, di tipo scientifico, per risolvere i problemi.
Eco: È in un certo senso la mia proposta di un unico liceo. Si deve studiare il teorema di Pitagora, ma anche la sua teoria sull’armonia delle sfere. E il suo terrore dell’infinito.
Applausi, riunione della corte, sentenza dopo un’ora soltanto.
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MARIO BAUDINO, LA STAMPA -
L’accusa è implacabile, e quando il pubblico ministero tuona «Quanto tempo dedicate ai mitocondri?», la sala del Teatro Carignano, zeppa di studenti di licei classici piemontesi, ha un lieve sussulto. La domanda suona tremenda e non cerca risposta, dato per scontato che i molto probabilmente trascurati mitocondri non sono insetti marziani ma importanti organismi cellulari, assurti a simbolo della trascuratezza riservata alle scienze in quello che è stato lungo il re dei licei e ora dà segni di crisi, almeno per quanto riguarda le iscrizioni.
Ieri il liceo umanistico è stato comunque assolto - non senza difficoltà - nel processo che si è celebrato con tutti i crismi; con la corte, l’accusa e la difesa addobbati di toga e severità sul palcoscenico. Presidente un magistrato vero, il procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro, divertito e ironico nell’imporre e un po’ spiegare la procedura penale, pubblico ministero un fremente Andrea Ichino, economista dell’European University Institute (Fiesole). Alla difesa Umberto Eco.
Con tanto avvocato (e considerato anche il fattore ambientale, cioè il pubblico orgogliosissimo della propria scuola) si sarebbe detto che non c’era partita. Invece no. Il Classico se l’è cavata da gravi accuse quali l’iniquità sociale, la frode nei confronti degli studenti (illusi di poter acquisire conoscenza e possibilità che non avranno) e persino una sorta di plagio, perché favorirebbe una visione distorta della realtà: ma il presidente ha disposto la «trasmissione degli atti» alla Procura perché indaghi se non ci siano nuovi reati emersi dal dibattimento a carico di chi, negando i finanziamenti, non ha permesso alla scuola di funzionare.
I processi, si sa, non finiscono mai, ma la formula scelta dalla Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo e dal Ministero della Pubblica istruzione risulta efficace. Esempio virtuoso di giustizia-spettacolo, tiene avvinta una trepidante platea, e nella discussione fa emergere nodi decisivi che riguardano il classico sì, ma più in generale i problemi della formazione. I testimoni illustri aiutano a chiarire il problema: che non è la contrapposizione fra classico (in calo) e scientifico (preferito dagli studenti) ma il senso globale dell’istruzione superiore, il dosaggio, il contemperamento delle discipline. Se, come dice il testimone Luciano Canfora, insigne antichista e storico della modernità, «la scuola è la trincea della democrazia», meglio sbarazzarla dei luoghi comuni. L’avvocato Eco commenta che non ha senso parlare di culture separate ma bisogna difendere la «liceità» in quanto tale.
Non mancano amene frecciate accademiche. Marco Malvaldi, romanziere di successo e chimico, ricorda che la cultura classica è umanistica e scientifica, tanto che sulla porta della scuola di Platone c’era scritto «Non entri qui chi ignora la geometria». E Canfora si complimenta ironicamente, visto che dell’Accademia non abbiano immagini, salvo quella concepita da Raffaello. Altri come Stefano Marmi (matematico della Normale di Pisa) invitano a rivolgersi ai numeri, poco favorevoli agli studenti del Classico.
Alla fine, tocca a Eco, che accetta i numeri ma si chiede maliziosamente quanti umanisti ci siano oggi nel mondo delle start up, lasciando capire che ce ne sono parecchi. La conclusione è che sarebbe necessario un nuovo liceo umanistico-scientifico «dove insegnare non solo il teorema di Pitagora ma anche la teoria sempre pitagorica sulle sfere, e il suo terrore dell’infinito».
Sono già trascorse quattro ore, forse più. La corte si ritira per deliberare, fra gli applausi (anche dei mitocondri).
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ANDREA GIAMBARTOLOMEI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Il classico è assolto, ma chi è il responsabile delle mancate riforme della scuola? Questa è la conclusione della Corte che ieri ha processato gli studi classici nel teatro Carignano di Torino. Al banco dell’accusa l’economista Andrea Ichino. Vicino un avvocato difensore d’eccezione, Umberto Eco. In mezzo al palco una giuria presieduta dal procuratore capo Armando Spataro, nell’insolito ruolo di magistrato giudicante.
Al centro del dibattimento tre le accuse del pm Ichino: il liceo classico è ingannevole, non prepara gli studenti anche per le materie scientifiche; è inefficiente, non aiuta ad affrontare problemi e opportunità del mondo moderno; è iniquo, ha contribuito a ridurre la mobilità sociale a favore di chi nasce in famiglie avvantaggiate. Dietro una domanda : è ancora la scuola migliore per formare le prossime teste del paese? “Il classico è stato la fucina delle classi dirigenti e qui si parla della scuola del futuro”, ha affermato la professoressa Anna Maria Poggi, presidente della Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, che ha organizzato l’evento. Agli studenti dei licei presenti la situazione ha suscitato un certo effetto: “È un processo assurdo in cui ci troviamo costretti a difenderci”, ha detto nel suo intervento una studentessa. Assurdo sì, ma stimolante.
Sul palco sono sfilati molti testimoni illustri. Il primo, lo scrittore di gialli e ricercatore di chimica Marco Malvaldi, ha ricordato i contributi dei greci e dei latini alla scienza, perlopiù ignorati dagli studenti. Per la difesa è arrivato tra gli applausi un supertestimone, Luciano Canfora: “Il liceo è la trincea della democrazia, nel senso più alto della parola”. Gravi accuse sono state lanciate da Stefano Marmi, matematico e professore della Scuola Normale Superiore di Pisa: il liceo classico non prepara a capire il mondo attorno, una colpa che ricade anche sulle altre scuole. “Abbiamo generato in Italia una società in cui si dice: ‘Io non mi vergogno a dire che non so nulla del teorema di Pitagora’, anche nei salotti determinanti per il futuro dell’economia”. Per il matematico oggi “viviamo in un mondo dominato dalla matematica tramite il suo braccio armato, che è il computer”, un motivo per prediligere le materie scientifiche. Di tutt’altro avviso il rettore dell’Università di Bologna, il latinista Ivano Dionigi, incalzato dal pm Ichino sulla presunta inutilità del greco e del latino oggigiorno di fronte a inglese, arabo o cinese: “Ci siamo rassegnati all’aut aut, a cui bisogna contrapporre la cultura dell’et et”, ha risposto ribadendo l’importanza di lingue morte.
In difesa sono intervenuti pure Gabriele Lolli, logico e filosofo della matematica, e Adolfo Scotto di Luzio, studioso delle istituzioni scolastiche: “La scuola pubblica senza il classico sarebbe un apparato per una moltitudine sommariamente scolarizzata.
Bisogna smettere di pensare che l’educazione si risolva nella mera preparazione professionale”. Al termine, il pm ha chiesto la condanna del liceo classico: “In Italia il 70 per cento degli adulti è incapace di analizzare informazioni matematiche – ha ricordato citando i dati dello studio Piaac-Ocse –. Bisogna rifare gli equilibri tra cultura umanistica e tecnico-scientifica, non eliminare la prima”. Eco ha ricordato come Adriano Olivetti avesse coniugato conoscenze tecniche e classiche: “Una buona educazione umanistica è fondamentale anche per rendere inventiva e feconda la ricerca scientifica”. Dopo quasi due ore di “camera di consiglio”, i giudici hanno assolto il liceo classico perché “non sussistono” le ipotesi di inganno e inefficienza e perché l’iniquità “non costituisce reato”. Hanno però ordinato nuove indagini: bisogna capire chi – nei governi passati – ha ristretto il diritto di accesso al ginnasio, che ha sempre meno iscritti, e chi è responsabile della “mancata o distorta opera riformatrice della scuola italiana”.
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LETIZIA TORTELLO, LA STAMPA
«Se fossi stato nei panni della Corte, sarei stato un poco più severo. I giudici, invece, hanno assolto con formula piena il classico. La colpa è del pubblico ministero, che ha impostato l’accusa in modo virulento, in bianco e nero. Non si poteva fare altro che dire: il fatto non sussiste o non costituisce reato, le accuse non erano fondate». Umberto Eco commenta a caldo la sentenza che l’ha decretato avvocato vincitore del processo al liceo classico, la finzione scenica che si è svolta al Teatro Carignano di Torino. Sul banco degli imputati c’era l’istituzione scolastica più longeva e discussa. Il liceo classico era stato trascinato in tribunale dall’economista Andrea Ichino, con l’accusa di essere «ingannevole, inefficiente e iniquo».
Il dibattimento di questa insolita udienza ha un che di storico: ha il merito di aver radunato in difesa della formazione umanistica alcuni tra i massimi studiosi della classicità e del pensiero scientifico, da Luciano Canfora al matematico Stefano Marmi, al logico Gabriele Lolli, testimoni pro e contro il classico, che sono stati interrogati dal pm Ichino e dell’Avvocato Eco al processo. Ma quest’ultimo non è poi così soddisfatto: «Bene l’assoluzione. La mia arringa, però, puntava a eliminare lo scientifico. Con la prospettiva di un liceo unico, umanistico-scientifico», spiega.
Il professore torna per un giorno nella città in cui ha studiato. Dopo l’arringa appassionata, che ha convinto la Corte, nel pomeriggio si è concesso una passeggiata nei luoghi lontani della giovinezza. Il viaggio comincia dal Collegio Universitario Einaudi di via Galliari 30, di cui il semiologo è stato ospite dal 1950 al ’54. «E’ lì che ho gettato le basi del mio amore per la filosofia», dice. Svestito della toga, si tuffa tra gli studenti che oggi abitano al convitto. E’ come aprire di nuovo la porta dei ricordi. Riaffiorano di colpo le nottate sui libri e le serate a scherzare con gli amici, «a scazzottarci per gioco», racconta, «se non avevamo voglia di dormire ci sfidavamo alla lotta libera». Marachelle di gioventù e ardori di ragazzo, come quelli che gli tornano a mente quando sale «a visitare la sua stanza, al primo piano di fronte alle docce, mi ricordo benissimo dov’è», dice.
Al posto di quelle docce, oggi, ci sono spazi wifi libero e una cucina comune per i ragazzi. Ma «eccola lì, la stanza 122 - salta su Eco –. O forse era la 123? E’ tutto diverso, la mia camera era pre-Ikea». Apre la porta e viaggia nel passato: «Ti ricordi che da quella finestra guardavamo la Feli?», gli suggerisce Annibale Rosignani, ex compagno, oggi psichiatra, già primario alle Molinette. «E’ vero. Diciamo che la Felicita che abitava dall’altra parte della strada era l’unica presenza femminile nel circondario, Il nostro era un collegio maschile, di donne neanche a parlarne», spiega il semiologo. Da quella finestra su via Ormea, Eco scrisse anche «una poesia. Parlava dei comignoli e di cosa si poteva vedere al di là», precisa. Dal 1954 a oggi ha fatto in tempo a cambiare persino il Teatro Carignano, che il professore frequentava abitualmente con i compagni, «ma non vedevo mai la fine delle rappresentazioni, perché a mezzanotte e mezza dovevamo tassativamente rientrare in stanza. Perdevamo sempre i 5 minuti finali dello spettacolo - dice -. Per tanti anni ho ignorato cosa fosse accaduto a Edipo o ad Amleto». Al collegio di via Galliari, oltre a Eco hanno studiato Claudio Magris, Gian Luigi Beccaria, Massimo Salvadori, Valentino Castellani. La stanza dello scrittore de «Il nome della rosa», al momento, è occupata da una ragazza, e chissà chi diventerà. Lui evoca i bei tempi e si abbandona senza freni alle confessioni: «C’è sempre una sola lampada, di notte la spostavamo per leggere dal letto. Ma soprattutto ora ci sono i bagni. Noi non li avevamo e a volte orinavamo nel lavandino».
Ad attendere il semiologo, invitato insieme a Canfora per un secondo intervento in difesa del liceo classico, ci sono gli amici dell’epoca. Eco li riconosce al primo sguardo: «Ciao, ma sei tu? Giancarlo Coscia. Ti ricordi che nelle foto di classe tu e l’altro Coscia, Gianni, vi mettevate sempre ai lati del preside? Così dicevamo che il preside stava tra le cosce», scherza. I ragazzi del convitto lo interrogano sull’importanza degli studi umanistici. Il diario della memoria non smette di restituire pagine: «Mi sono iscritto a Filosofia perché al classico ho avuto un meraviglioso professore di filosofia che sapeva insegnare. Questo è il problema delle nostre scuole, manca la pedagogia dell’insegnamento. Le università non preparano buoni insegnanti». Il pensiero va a suo padre: «Non aveva molta fiducia in me evidentemente, né che la laurea in filosofia mi avrebbe portato bene. Mi diceva: “Non smetterai mai di prendere il treno alle 5 di mattina, finirai a fare il supplente a Pinerolo. Direi che non è andata così”». In difesa della formazione umanistica Eco dice: «Vorrei vedere quanti start upper, oggi, vengono dal classico e quanti dallo scientifico».
L’ottanduenne professore non si lascia sfuggire l’occasione di parlare dei social network. «Benissimo i 140 caratteri di Twitter, sono un esercizio di scrittura che aiuta la gente a diventare sintetica, quando serve. In fondo, anche Gesù parlava in 140 caratteri: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Breve e c’è tutto». Il pericolo delle reti virtuali? «I social network sono l’universo della solitudine, fanno perdere il contatto umano. Questo è il dramma. Su Facebook puoi innamorarti di un maresciallo in pensione, illudendoti che sia una splendida ragazza bionda. I social non fanno bene né alla scienza né all’umanità. Sono il sostituto, il surrogato del Bar Sport: alla fine della serata tutti sono intervenuti, nessuno si ricorda più cosa è stato detto. La società di oggi ha un gigantesco problema di memoria».
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LETIZIA TORTELLO, LA STAMPA 14/11/2014
Resiste, amato e difeso da studenti e professori, nelle aule scolastiche. Il liceo classico italiano è rimasto da solo, sul fronte occidentale, a difendere lo studio del latino e del greco nel panorama dell’istruzione superiore. In Europa è un esempio unico. All’estero, però, ce lo invidiano. E forse facciamo bene a non cancellarlo con un colpo di spugna. Il nostro «petrolio» mal sfruttato, in fondo, sono arte, architettura, archeologia.
Mai come negli anni della crisi e della disoccupazione giovanile alle stelle, il classico finisce sul banco degli imputati. Attaccato dai detrattori, che lo individuano come il responsabile di una scarsa preparazione nelle materie scientifiche da parte degli studenti.