Marco Merola, Sette 14/11/2014, 14 novembre 2014
NELLE FATTORIE DI PAPA FRANCESCO IL LATTE È PIÙ BUONO
Acqua, sole e concimi naturali. Sono i tre comandamenti che nessuno oserebbe mai mettere in discussione nella fattoria... del Papa.
A Castel Gandolfo, sede delle Ville Pontificie, per curare la terra e gli animali come si faceva cent’anni fa, ogni giorno scende in campo un battaglione di 30 persone (sulle 55 totali dello staff). Le distanze da un campo coltivato all’altro sono immense, per coprirle si cammina su meravigliosi viali alberati in cui domina una pace assoluta, irreale, disturbata solo da una potente tramontana che scuote le foglie ed eccita le bestie. La tenuta è grande 55 ettari, una decina più del Vaticano. Di questi, oltre la metà hanno vocazione agricola, cioè servono a produrre la frutta e la verdura che finiranno poi sulla tavola del Papa, alla Residenza Santa Marta.
Entrare qui è un privilegio unico. Ogni cosa funziona come un orologio svizzero. «La vita comincia alle 5 del mattino», spiega Alessandro Reali, il capo fattore. «A quell’ora facciamo la prima mungitura delle mucche ed è già pronto a partire un nostro corriere con tutti i prodotti freschi destinati al Vaticano, soprattutto frutta, latte, yogurt e uova».
Castel Gandolfo è un’enclave autarchica ed efficiente. Lo è diventata nel corso di ottant’anni, da quando, cioè, con i Patti Lateranensi del 1929, l’Italia riconobbe alla Santa Sede la piena proprietà del Palazzo Apostolico, di Villa Cybo e si obbligò a cederle anche «la Villa Barberini […] con tutte le dotazioni, attinenze e dipendenze» (art. 14. del Trattato). Pio XI, poi, volle completare la residenza acquistando alcuni orti “verso” Albano con l’idea di mettere su una piccola azienda agricola. «Prima era solo una fattoria con animali da cortile e nulla più, poi grazie alle migliorie apportate nel tempo e alla dedizione dei dipendenti, è diventata un’eccellenza» spiega il Direttore delle Ville, Osvaldo Gianoli.
Gianoli è l’uomo della rivoluzione, scelto da Papa Francesco per aprire (con moderazione) al mondo Castel Gandolfo e la sua area produttiva. Ex direttore di banca, un anno fa è piovuto ai Castelli Romani direttamente dalla Lombardia. Veniva a sostituire il suo predecessore che aveva occupato il posto per trent’anni. Compito non facile. «Mi ha chiamato il Vaticano e io non ho potuto rifiutare, capirà... Qui devo affrontare problemi che vanno dal filo d’erba da tagliare alla mungitrice che non funziona, ma lo faccio con passione e umiltà e, soprattutto, con l’aiuto di persone di grande esperienza».
Amata dai Pontefici. Una decisione d’imperio, quest’anno, il direttore ha dovuto però prenderla: «Rinunciare a produrre l’olio. Sarebbe stato “velenoso” per colpa dei piccoli ma ripetuti trattamenti chimici cui le olive (di qualità Leccino, ndr) sono state sottoposte per tentare di salvare il raccolto». Un’estate tropicale, con alternanza di sole e forti piogge, come quella appena passata, ha lasciato profondi segni nella terra. E ora, nonostante abbia a disposizione circa 2.000 piante d’ulivo, il Papa rimarrà senz’olio? «Naturalmente no», sorride Gianoli, «abbiamo 200 litri stoccati dall’anno scorso e nel caso non bastassero ce ne verrà portato dell’altro». In pole position per prestare l’eventuale soccorso si è già piazzata San Giovanni Rotondo, nel Foggiano, terra di padre Pio.
C’è stato un tempo in cui i Papi venivano ai Castelli a passare le estati, a godersi l’aria fresca del lago, ma oggi è cambiato tutto. Benedetto XVI ci ha trascorso l’ultimo periodo di riposo e meditazione subito dopo il celebre “passo indietro” e Francesco ha fatto solo una rapida incursione ferragostana nel 2013, a bordo della sua Ford Focus, poi più nulla. In molti anelerebbero qui una sua visita e forse saranno accontentati prestissimo. Addirittura entro novembre, si mormora nei corridoi vaticani.
La prova decisiva dell’imminenza dell’evento ci capita davanti mentre percorriamo la “Via di Mezzo”, arteria principale che conduce alla fattoria (a Castel Gandolfo ci sono complessivamente 20 chilometri di strade interne alle Ville). Due uomini sono chini sull’erba prendendo le misure di quella che sarà una composizione floreale molto grande. «Lo stemma di Papa Francesco», dice Antonio Rotondi, caposquadra dei giardinieri. «Useremo la Euonymus pulchellus aurea per il giallo dorato e le pansè per l’azzurro scuro». Ma tutta questa fretta di realizzare l’emblema è sospetta e sicuramente non casuale. A giorni Francesco passerà di lì e l’ammirerà.
Qualità, prima di tutto. Le nuvole del primo mattino hanno ormai lasciato il posto a un cielo blu intenso che fa letteralmente esplodere di colori la tenuta. Costeggiando un immenso campo coltivato a erba medica arriviamo alla fattoria e rimaniamo subito impressionati dalla pulizia e dall’ordine che regnano sovrani. «Se si vogliono prodotti di qualità bisogna pulire tutto per tenere bassa la carica batterica. È per questo che il nostro latte è così buono» dice Reali, nostro accompagnatore designato nel giro “turistico”. In lontananza un carro-miscelatore impasta senza sosta fieno, polpa di barbabietola, acqua e melassa, l’alimentazione base delle mucche del Papa.
A Castel Gandolfo ci sono una settantina di esemplari di razza Frisona, che ogni giorno danno circa 600 litri di latte. La maggior parte va alla dispensa papale e all’Annona (il supermercato vaticano, a Roma, cui si accede attraversando Porta S. Anna) il resto viene venduto ai dipendenti delle Ville sotto forma di yogurt e formaggi. «Contiamo di raggiungere la qualità del Parmigiano Reggiano, per riuscirci manca appena una puntina di grasso nel latte», si rammarica il fattore.
Ogni mattina, proprio mentre il prezioso oro bianco viene confezionato in eleganti buste con il marchio vaticano, una squadra di uomini va nei campi e nei frutteti per raccogliere ciò che è maturo. «Prugne, pesche, mele, cachi e kiwi o zucchine, cavolfiori, melanzane, peperoni, abbiamo tutto, non ci manca nulla», riprende Gianoli. «E se altrove l’insalata ci mette tre giorni a crescere, da noi ce ne mette 20, come natura richiede...».
Futuro didattico. Dal frantoio si alzano voci di bambini, è una scolaresca in gita dalla vicina Albano. Uno degli effetti dell’apertura voluta da Francesco. Il luogo privato, privatissimo dei Papi deve essere pian piano restituito alla collettività, a cominciare dai più piccoli. Per ora vengono invitate solo scuole della zona ma l’idea, nel prossimo futuro, è accoglierne in numero sempre maggiore. Promuovere e far riscoprire i mestieri della terra è considerata, in ambienti vaticani, un’irrinunciabile forma di evangelizzazione. «Stiamo facendo “prove tecniche” per capire quanti e quali istituti invitare ogni anno», conferma Gianoli, «capirà, non siamo ancora molto abituati alle visite».
Lo scorso marzo il Papa ha dato il suo via libera ad aprire i cancelli delle Ville al mondo, quindi anche ai turisti (sono venuti già in 7.000) e così tutta la macchina organizzativa di Oltretevere ha dovuto in fretta e furia ingranare la marcia per tener dietro alla sua decisione. È stato pensato un itinerario, stabilite delle regole, fissato un prezzo per il biglietto. I visitatori (gruppi di massimo 25 persone) devono prenotarsi su internet ed essere accompagnati da una guida. Gli è concesso visitare solo gli splendidi Giardini e il Portico di Domiziano che, lì di fianco, funziona da sontuoso muro di contenimento.
Castel Gandolfo, pochi lo sanno, vanta tra i suoi primati anche quello archeologico. Al suo interno conserva i resti di una villa d’ozio appartenuta agli imperatori romani e tre lunghe strade basolate che pare arrivino fino al mare, ad Anzio. Se questo posto lascia oggi a bocca aperta, duemila anni fa doveva essere un autentico paradiso in terra.
Di ozio Reali può concedersene veramente poco, così dopo averci fatto vedere i famosi ulivi e le vigne di Trebbiano e Trebbianello mestamente spoglie, ci riaccompagna alla fattoria. Lui lavora a Castel Gandolfo da vent’anni, ma è nativo di Albano. Prima aveva un vivaio lì, poi un bel giorno venne chiamato da un cardinale, a Roma, per una fornitura di piante. «La mia cortesia lo impressionò e così mi propose di entrare a lavorare alle Ville. Accettai subito». Adesso con la sua famiglia occupa uno degli alloggi destinati ai dipendenti della fattoria. Alcuni vivono in un palazzo con corte interna di inizi Novecento chiamato il “castelletto”, altri direttamente vicino alle stalle perché devono essere pronti all’azione in caso di emergenza, come quando, pochi giorni fa, è nato un vitellino alle 4 del mattino.
Dieci nuclei familiari e tanti bambini richiedono, naturalmente, sforzi organizzativi aggiuntivi. Al mattino c’è scuola per tutti. La “Paolo VI”, sia elementare che media, si trova subito fuori le mura. Al pomeriggio non c’è che l’imbarazzo della scelta. In una tenuta di 55 ettari ogni sogno può diventare realtà. Anche una partita di pallone all’ultimo sangue tra papà e figli sull’eliporto del Papa, perché no. Le due piccole porte da calcio che si fronteggiano sulla piazzola d’atterraggio testimoniano, ove mai ce ne fosse bisogno, un’atmosfera molto rilassata e ludica, in linea con l’immagine di sé che al Pontefice piace dare al mondo.
Lontano il ricordo in cui il popolo di Roma, afflitto dalla fame, si ribellò al suo Vescovo attraverso le parole taglienti di Giuseppe Gioachino Belli: «Lui (il Papa, ndr) l’aria, l’acqua, er zole, er vino, er pane, li crede robba sua: È tutto mio; come a sto monno nun ce fussi un cane».
Se ci fosse un’ultima minestra da distribuire, magari fatta con le verdure del suo orto, siamo sicuri che Francesco saprebbe a chi darla.