Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 14 Venerdì calendario

IL LIBRAIO DEL 2° PIANO


[Michael Seidenberg]

NEW YORK. Una sera di fine agosto nell’Upper East Side un concierge in divisa saluta un’anziana signora in tuta e orecchini di strass che calca il red carpet dell’ingresso senza aprire bocca. Più avanti, una coppia di quarantenni biondi e magri esce da un ristorante dalle pareti di cristallo. Il prossimo civico è il mio indirizzo. Suono al citofono che mi è stato indicato, un numero scritto a penna sulla targhetta. Salgo al secondo piano. So che dietro la porta di questo anonimo condominio della borghesia newyorkese troverò uno dei posti più eclettici di New York, una libreria segreta, la Brazenhead Books, così segreta che alcuni la ritengono una leggenda metropolitana. Continue notifiche di sfratto ne minacciano l’esistenza, ma scrittori come Jonathan Lethem si sono eretti a suoi difensori e articoli sono apparsi su New Yorker e Paris Review. Il proprietario, Michael Seidenberg, la definisce una speakeasy bookshop, come i rivenditori clandestini di alcolici durante il proibizionismo. Non ha un’insegna e Seidenberg non possiede biglietti da visita, ma il suo numero di telefono si trova sull’elenco e i curiosi possono contattarlo su Facebook. La libreria ha anche un sito internet, su cui naturalmente non è specificato l’indirizzo newyorkese.
Seidenberg ha aperto il primo bookshop di libri usati a Brooklyn, dove c’era l’allora quattordicenne Jonathan Lethem come commesso, trasferendosi poi nell’Upper East Side. Quando l’affitto del locale a Manhattan è stato improvvisamente quadruplicato, Michael è stato costretto a chiudere e trasferire tutti i libri nel suo appartamento finché nel 2008 ha aperto le porte di casa al pubblico.
Entro. Libri accatastati già nel corridoio, poi tre piccole stanze. A sinistra, un salottino con divanetto e luci soffuse. A destra, il «retrobottega», con i volumi più rari e gli autori russi. Al centro, bottiglie di whisky e bourbon incastonate tra i romanzi americani. C’è persino un bagno, così piccolo che sembra di urinare in pubblico come in una performance artistica. Michael Seidenberg sbuca tra i volumi con bicchiere in mano e sigaro in bocca, proprio come lo ritraggono le foto sparse tra gli scaffali. Riceve per appuntamento ma non fa pressione sui suoi ospiti, aspetta che siano pronti. A presentarsi, chiacchierare, comprare uno dei suoi libri introvabili. Il prezzo spesso non è indicato, a volte solo un appunto sbiadito a matita, ma poi capisco che viene deciso da Michael a simpatia. Se gli vai a genio ti regalerà un’edizione rara per pochi spiccioli. Non ha un modello di business. «Mi sono sposato due volte» racconta. «La prima perché ero giovane, la seconda per l’assicurazione sanitaria». A farlo sopravvivere ci pensano amici e habitué, disposti a pagare qualche dollaro in più per tenere in vita l’ultimo vero caffè letterario dei nostri tempi. Critici, giovani accademici, giornalisti, scrittori frequentano il salottino della Brazenhead. Vengono per i libri, restano per l’atmosfera di spontaneità che, nella New York degli hipster e delle mode, Michael riesce a creare attorno a sé.
Restare è l’unica cosa sensata da fare qui. Quando io e le mie compagne di viaggio proviamo a congedarci, Michael ci ferma: «Non potete andarvene, sta arrivando il mio amico George che vuole conoscervi e porterà il ghiaccio.» Non vogliamo essere scortesi, e poi in quelle stanze afose un drink on the rocks e una buona promessa: «Va bene, abbiamo ancora mezz’ora». «Dicono tutti così» fa Michael, «e poi restano tutta la notte.» Ha ragione, ce ne andremo alle quattro del mattino. George (Risacca) arriva e ha davvero portato il ghiaccio. Italoamericano, curatore del Metropolitan Museum of Art, è stata sua l’idea di trasferire la libreria nell’appartamento di Michael. È uno dei tanti intellettuali che gravitano attorno a Brazenhead, che ospita anche conversazioni letterarie (registrate su Podcast), serate di poesia e le riunioni del magazine The New Inquiry.
Come l’onnisciente e introvabile «testa di bronzo» della tradizione alchemica da cui prende il nome, Brazenhead è unica al mondo, nonché uno dei pochi luoghi in cui cercare le risposte alle domande della letteratura passata, presente e futura. Certo, non stupisce che una libreria abusiva abbia dei problemi legali. A luglio una nuova sentenza del tribunale ne ha sancito lo sfratto. Ma Michael ha fatto della sopravvivenza di Brazenhead Books un caso di resistenza culturale.
Sul suo profilo Facebook ha appena scritto «Brazenhead Books volterà la sua ultima pagina il 31 ottobre», ma è sicuro che andrà proprio così?
«Non ancora. Sta scadendo l’affitto ed è cominciato il processo, ma ho ottenuto un rinnovo del contratto di sei mesi e ora sto lottando per avere un altro semestre. In ogni caso non mi fermerò, Brazenhead continuerà a esistere, anche se in un altro posto».
Ha rifiutato di farsi intervistare dal New Yorker e la Paris Review: fa parte della sua strategia del «nascondersi in piena vista», come l’ha definita lei?
«Ho sempre evitato di concedere interviste ai principali periodici newyorkesi. Ho detto di no a New York Times, Wall Street Journal e recentemente anche a Daily News e Newsweek. Ma ho parlato con un giornale europeo, alcune pubblicazioni di Toronto, riviste studentesche e blog. Se ho la sensazione che negli Usa nessuno leggerà l’intervista, allora la faccio. All’inizio mi nascondevo quindi mi interessava che non si scoprisse l’esistenza di Brazenhead. Ora la cosa importante è che chi vuole trovarmi debba fare un sforzo».
Cos’è per lei una libreria?
«Tutto quello che so sui libri l’ho imparato nelle librerie. Al college ho studiato recitazione, non letteratura. La mia formazione sono state le persone che venivano in libreria. So che aveva un teatro di burattini nella sua libreria di Brooklyn, un po’ come Mickey Sabbath, il protagonista del Teatro di Sabbath di Philip Roth.
«Sì, ma ero un burattinaio molto più benevolo di Mickey Sabbath».
Brazenhead Books è forse l’ultimo vero caffè letterario della nostra epoca, Jonathan Lethem è diventato lo scrittore che è oggi anche grazie ai libri che leggeva nel suo bookshop di Brooklyn. Sente il peso della responsabilità?
«Sì, eccome. Responsabilità nei confronti degli scrittori che vengono a trovarmi e che sono parecchi. Però non ho mai percepito la cosa come un peso, tranne quando ho rischiato di perdere tutto. New York può sembrare una città letteraria: è piena di scrittori. Ma i cosiddetti eventi letterari sono spesso promozionali e gli autori tendono a formare gruppi chiusi, insulari. A Brazenhead tutti sono benvenuti, si parla di scrittori e libri ma non necessariamente delle novità o di quello che vende al momento. È un’ambientazione naturale, organica, e attrae gli scrittori che cercano esattamente questo. Qui non si fa networking, ma si interagisce e comunica davvero.
A guardare le foto sul sito di Brazenhead Books sembra che il tempo non sia passato. Anche quelle scattate nella vecchia libreria di Brooklyn ritraggono la stessa scena: lei e i suoi amici circondati dai libri, a bere e fumare.
«Mi fa piacere si noti questa continuità, credo dimostri la realtà e forse l’atemporalità di Brazenhead e delle persone che la visitano. Se perderò il locale, porterò questo senso di continuità nella nuova incarnazione di Brazenhead».
Francesca Mastruzzo