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 2014  novembre 14 Venerdì calendario

IL FISCO È INGORDO? GLI AMERICANI ADESSO SCAPPANO


Non è certo una Ellis Island al contrario, perché di sicuro l’America continua ad essere la terra promessa per tanti, e la green card, ossia la residenza illimitata per gli stranieri, resta un obiettivo ambito, proprio come nell’omonimo film con Andie MacDowell e Gerard Depardieu. Eppure, numeri alla mano, continua a crescere la quota di americani che decidono di rinunciare alla propria cittadinanza.
Secondo la legge statunitense, il Dipartimento del Tesoro di Washington è chiamato a pubblicare ogni tre mesi la lista di coloro a cui sono stati revocati, su richiesta, il passaporto o la green card. Ebbene, la black list dell’ultimo trimestre annovera 776 nominativi, che portano il totale per l’anno 2014 a 2.353 persone che hanno rinunciato spontaneamente alla cittadinanza americana. Il record assoluto toccato l’anno scorso, con 2.999 rinunce, rischia di essere superato.
La famigerata lista è burocraticamente spoglia. Non indica cioè quali altre nazionalità detengano i rinunciatari, né spiega i motivi che hanno indotto queste persone a prendere una simile decisione. Eppure la tendenza emersa negli ultimi anni non sembra affatto casuale e anzi permette di individuare un preciso responsabile, il fisco.
Tutto è iniziato nel 2009, quando la banca svizzera Ubs ammise di avere convinto un buon numero di contribuenti americani a nascondere i loro asset nei conti correnti dell’istituto. Il governo svizzero trovò poi un’intesa con gli Stati Uniti per la progressiva rimozione del segreto bancario. La crisi economica, con i connessi scandali finanziari, hanno poi spinto Washington a lanciare una campagna in nome della trasparenza, a caccia delle risorse offshore non dichiarate dai propri cittadini. Attualmente circa un centinaio di banche svizzere collabora con il Dipartimento americano di Giustizia per togliere il velo ai conti segreti. Nel 2010 il Congresso ha votato il Foreign Account Tax Compliance Act (nome in codice, Fatca) che obbliga le istituzioni finanziarie straniere a comunicare all’Internal Revenue Service gli asset posseduti dai loro clienti statunitensi.
A differenza di molti altri Paesi, infatti, gli Stati Uniti tassano i cittadini per tutti i loro redditi, indipendentemente dal luogo in cui vengono generati. Regole che risalgono alla Guerra Civile e che negli ultimi anni hanno avuto un’applicazione ancor più stringente. Un americano che è nato, vive e risiede all’estero, per esempio, è sottoposto a una doppia tassazione, per tutte le entrate che riceve.
Non sorprende che, secondo un recente sondaggio, ben 5,5 milioni di statunitensi stiano pensando di rinunciare al proprio passaporto, una mossa per niente facile e anzi fino a poco tempo fa degna di disonore per un cittadino americano, tenuto conto del fatto che al di là dell’Atlantico il patriottismo è una sorta di religione civile.
Intanto il Dipartimento di Stato è corso ai ripari aumentando, ironia della sorte, una tassa, quella che copre i costi della rinuncia alla cittadinanza, passati da 450 a 2350 dollari. Motivi burocratici, dicono a Foggy Bottom. Ma si tratta di una cifra venti volte superiore a quanto viene richiesto negli altri Paesi sviluppati per istruire la stessa pratica.