Tino Oldani, ItaliaOggi 14/11/2014, 14 novembre 2014
JUNCKER SALVA LA POLTRONA UE GRAZIE A GERMANIA E OLANDA, MA SE NON TROVA I FAMOSI 300 MILIARDI, RESTERÀ UN’ANATRA ZOPPA
I veri amici si vedono nel momento del bisogno. E Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Ue da appena due settimane, può confermarlo più di tutti. È di ieri la notizia che il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, politico tra i più autorevoli in Europa, ha scritto una lettera alla Commissione Ue con la quale, senza mai nominare Juncker, lo aiuta a superare un momento politicamente difficile, dopo che un’inchiesta giornalistica a più mani lo ha accusato di avere aiutato migliaia di multinazionali, europee e Usa, a non pagare le tasse quando, per 18 anni, è stato a capo del governo del Lussemburgo, noto paradiso fiscale.
Oltre a Schauble, che come Juncker fa parte del Partito popolare europeo (Ppe), anche il socialdemocratico olandese Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Ue con ampi poteri, ha lanciato una ciambella di salvataggio al suo presidente: ha convocato i giornalisti per una conferenza stampa e, a sorpresa, ha annunciato che il pacchetto dei famosi 300 miliardi di investimenti promesso da Juncker, da molti ritenuto un dossier privo di contenuti, sarà svelato nei dettagli dallo stesso presidente Ue nel Consiglio dei capi di Stato e di governo in programma per il 18-19 dicembre.
È del tutto evidente che, con queste mosse rapide e studiate, i due esponenti della larga coalizione che sostiene la nuova Commissione Ue hanno scongiurato l’ipotesi delle dimissioni di Juncker, che, per forza di cose, avrebbero provocato una crisi traumatica del nuovo esecutivo europeo, in carica solo dal primo novembre. Assai abili, nel tentativo di trasformare un male in un bene, sia Schauble che Timmermans hanno spostato l’attenzione su due questioni nuove, di interesse generale in Europa. La lettera del ministro tedesco, infatti, è indirizzata al francese Pierre Moscovici, commissario Ue per gli affari finanziari, perché «promuova con rapidità un miglioramento degli scambi di informazione tra i Paesi Ue sugli accordi fiscali con le società multinazionali». Nel dare conto della lettera, il portavoce di Schauble a Berlino ha spiegato che il governo tedesco ritiene che «l’Europa abbia bisogno di garantire correttezza e trasparenza sulle tasse». Per questo, Schauble ha scritto di «essere molto favorevole a un’iniziativa della Commissione Ue che produca uno scambio spontaneo di informazioni tra i Paesi sui cosiddetti accordi fiscali. In questo modo, le informazioni tra le autorità fiscali degli Stati membri potrebbero migliorare, per poi diventare obbligatorie». Obiettivo, ha precisato il ministro tedesco, che coincide con quello del G20 di «combattere le pratiche fiscali sleali».
Guarda caso, lo stesso concetto è stato espresso da Juncker nella conferenza stampa in cui, con riconosciuta abilità politica e coraggio personale, si è difeso dalle accuse di avere aiutato alcuni colossi mondiali a pagare appena l’1% di tasse, invece di quelle in vigore nei Paesi d’origine. «Quando agivo come primo ministro del Lussemburgo, non ho commesso nulla di illegale», ha premesso. «Anzi ho sempre lavorato per una maggiore armonizzazione fiscale in Europa, e ho già proposto ai colleghi della Commissione Ue di impegnarsi con me per rendere obbligatori gli scambi di informazioni sugli accordi fiscali tra i Paesi europei». Non solo. Juncker ha aggiunto che «questi scambi di informazioni fiscali dovranno diventare obbligatori su scala mondiale. Obbligo che proporrò alla prossima riunione del G20», in programma a Brisbane in Australia per questo fine settimana.
Che bastino il sostegno degli amici politici e le buone intenzioni sul futuro per sopire lo «scandalo Luxleaks», non è detto affatto. Sul sito del gruppo di giornalisti che ha prodotto l’inchiesta-denuncia di 28 mila pagine, campeggia la foto di un moderno palazzo di sei piani in vetro e acciaio che, al numero 5 di rue Guillaume Kroll, a città del Lussemburgo, è il recapito fiscale di 1.600 società internazionali. In altri due palazzi, di cui viene fornito l’indirizzo, vi sono le sedi fiscali di altre 1.450 e di 1.300 società che nel 2012 hanno pagato di tasse anche meno dell’1% (addirittura lo 0,13%).
Finché questa realtà non sarà resa trasparente dalle autorità lussemburghesi, finché i regimi fiscali non saranno armonizzati in tutta l’Europa, Juncker potrà fare tutte le promesse che vuole, ma resterà «un’anatra zoppa» invece che un presidente Ue con pieni poteri. Un ruolo oggi più che mai necessario per dare credibilità al fantomatico piano di 300 miliardi di investimenti, e rilanciare l’economia europea in crisi. Oltre agli amici, Juncker ora deve trovare anche i soldi. Non gli sarà facile, ma ne sapremo di più tra un mese.
Tino Oldani, ItaliaOggi 14/11/2014