David Allegranti, Panorama 13/11/2014, 13 novembre 2014
SIENA DECADENCE
Riceveva mille euro per «attività istituzionale», il circolo Arci Salvador Allende. Sul conto dell’Accademia dei fisiocritici ne venivano accreditati 100 mila per la realizzazione del centro didattico e di un «laboratorio di tassidermia». Alla Virtus Siena, seconda squadra di basket della città arrivata quasi in A2, ne arrivavano 150 mila: oggi, non potendosi più permettere le star, devono puntare soprattutto su giovani, che devono fare esperienza e maturare. Ma un tempo venivano staccati anche assegni da 650 mila euro per «acquisizione, restauro e manutenzione d’immobili» da destinare alle 17 contrade.
Altri tempi, bei tempi. Bastano due elenchi del 2006 e del 2010, con le erogazioni della Fondazione Monte dei Paschi quando ancora se le poteva permettere, a mostrare che cosa non si può più fare a Siena, la città che visse autarchica, autosufficiente, una Repubblica autonoma isolata dal resto del mondo e del mercato, perfettamente descritta da Henry James nelle sue Ore italiane: «A Siena ogni cosa è senese». Una città che però oggi decade, è costretta a tagliare e a rivedere.
Te ne accorgi dai dettagli, di quant’è cambiata la vita nella città del Palio. Alla Biblioteca degli intronati stanno attenti a non sforare l’orario per non pagare gli straordinari. Il Partito democratico fa la sua Festa dell’Unità diffusa in tutta la città, perché la Fortezza non era più sostenibile: l’assenza dei 683.500 euro versati in dieci anni, lecitamente, da Giuseppe Mussari al Pd si fa sentire. Il sindaco Bruno Valentini riduce il numero dei dirigenti da 18 a 4 e prepensiona i dipendenti, 700 per 56 mila abitanti, con il tasso tra addetti comunali e cittadini più alto d’Italia e, qui c’è il paradosso, un numero altissimo di esternalizzazioni.
Quindi tanti dipendenti, ma servizi affidati fuori. Ai tempi d’oro la Virtus Siena aveva come sponsor la Consumit, ovviamente del gruppo Mps, e un bilancio di quasi 1 milione. Oggi non arriva a 150-180 mila. «Si sfruttano meglio gli spazi a disposizione del palazzo di proprietà» racconta a Panorama il direttore sportivo Egidio Bianchi «e si cerca di limitare l’affitto di altre strutture. Prima c’era la possibilità di usare altre palestre, perché non riuscivamo, e tuttora non riusciamo, a coprire tutto il settore giovanile, il minibasket e la prima squadra. Non è più come prima, quando ci si poteva adagiare».
La fine delle vacche grasse è costata non poco al territorio. Uno studio dell’ufficio studi della Fondazione Mps stimava nel 2011 l’impatto economico esercitato in 15 anni dalla sola attività istituzionale dell’ente sulla provincia: in totale, dal 1996, circa 2 miliardi di euro con un valore medio annuo di 139 milioni, cioè il 2 per cento circa dell’intero Pil provinciale. Se si considerano invece gli importi attivati con l’attività istituzionale della Fondazione (cioè gli importi deliberati e assegnati a terzi e i cofinanziamenti esterni messi a disposizione dagli enti beneficiari per i progetti di terzi), l’impatto economico è stato di circa 3,9 miliardi di euro, mediamente 264 milioni all’anno, cioè il 4 per cento dell’intero Pil provinciale.
Ora, semplicemente, quei soldi non ci sono più. «Siena» dice il sindaco Valentini, un renziano anomalo che non piace a Renzi, «si è guardata per troppo tempo allo specchio senza guardare alla finestra, senza svolgere lo sguardo intorno a sé, senza imparare a essere competitiva. L’autosufficienza economica ha comportato un’autosufficienza strategica e questo è stato un errore in sé».
Eppure non erano soltanto le Arci senesi a beneficiare degli aiuti Mps. Perfino Grosseto, persino Mantova riceveva i denari senesi: e non solo i 3 mila euro al mantovano Club delle tre età nel 2006, per realizzare un libretto sulla riscoperta delle «tradizioni scomparse». Alla Fondazione Banca agricola mantovana (che fa parte di Mps) nel novembre 2013 l’amministratore delegato Fabrizio Viola aveva scritto ai vertici della Fondazione mantovana per dire che «le obsolete previsioni filantropiche» non sono più sostenibili: quindi, che si arrangiassero. I mantovani non l’hanno presa bene, anche perché 1 milione l’anno è cifra non da poco, specie di questi tempi.
Ma non è soltanto questione di quattrini. C’è anche una vicenda di psicologia irrisolta, di una città che ha perduto tutto ed è senza pubblica opinione, senza indignazione (a parte una manifestazione «contro chi ha rovinato Siena», cui venerdì 7 novembre ha partecipato qualche centinaio di persone, ma ormai fuori tempo massimo), senza intellettuali irregolari, quelli pronti a dire che il Re è nudo.
L’unico controcorrente si chiama Raffaele Ascheri, fa il professore di scuola media, si prende querele per i suoi libri autoprodotti contro la «Casta senese». Una città che non può scendere in piazza per protestare contro nessuno per il banale motivo che anzitutto dovrebbe protestare contro se stessa. Perché, come ha spiegato Emilio Giannelli, vignettista del Corriere della Sera ed ex capo dell’ufficio legale di Mps, esistono tre tipi di senesi: «Quelli che sperano di lavorare al Monte, quelli che lavorano al Monte e quelli che sono in pensione dal Monte». Come dire che è difficile parlar male del babbo, quando il babbo è appunto Mps e ha sempre pagato le bollette.
«Ora» dice Roberto Barzanti, sindaco di Siena dal 1969 al 1974 per il Pci ed ex vicepresidente del Parlamento europeo, «tutti sono pronti a criticare la Fondazione Mps per le dispersive e inefficaci elargizioni degli anni d’oro. Ma quanti si son levati allora a chiedere che la distribuzione delle ingenti risorse fosse fatta avendo ben presenti priorità rigorose e selettive?».
Barzanti sostiene comunque «che non deve destare scandalo che una quota di quelle risorse, disponibili solo perché la banca di riferimento nel 1995 aveva accettato la sfida della trasformazione in società per azioni fosse destinata al sostegno del fitto tessuto associativo di cui Siena come la Toscana è ricca. Questo è accaduto più o meno per tutti gli enti di questo tipo. È mancata semmai una visione strategica sui grandi obiettivi o sono stati enfatizzati acriticamente alcuni progetti non solidi».
La città ha i suoi fantasmi di cui non riesce a liberarsi. Non c’è uomo del «sistema Siena», o del «groviglio armonioso», che sia rimasto immune alle indagini: tutti compagni di partito, il Pd, che si sono combattuti finché non si sono annientati, come l’ex sindaco Franco Ceccuzzi e colui che riuscì a disarcionarlo, il presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci. Il primo costretto a cercarsi contratti di collaborazione nelle cooperative amiche, il secondo con problemi di salute, lontano dal palazzo del consiglio toscano.
L’innocenza è andata perduta quel 6 marzo 2013 quando David Rossi, capo di comunicazione di Mps, si buttò da Rocca Salimbeni spezzando la teca di cristallo sotto cui Siena si era rifugiata per anni. Un’inchiesta di Report, che mostra le immagini della caduta di Rossi e che andrà in onda domenica 16 novembre, riapre in città non solo vecchie ferite ma anche vecchi sospetti. Perché nel servizio si parla di «omicidio» e non di suicidio. E una parte dei senesi, piccola o grande non è importante, crede alla possibilità che non si sia trattato di un suicidio.
Siena è il miglior romanzo politico degli ultimi decenni, il vero House of cards della politica italiana: con una città sempre in equilibrio, prima che le cose precipitassero, fra strapotere e strapaese. Accanto all’Arci che fatica a tenere aperto per dare un po’ di svago agli anziani, si sono perdute squadre di basket stellari, come la Mens Sana, che ha vinto otto scudetti e gli ultimi sette di fila. La squadra che per 14 anni ha potuto contare sulla sponsorizzazione del Monte che per perdere la finale dell’anno scorso ha dovuto aspettare che gli avversari le fregassero le stelle, da Daniel Hackett a David Moss. Persino l’allenatore Luca Banchi si sono presi i milanesi, pur di riuscire a vincere. Fallita la società, indagato l’ex presidente Ferdinando «Nando» Minucci. Indagato pure l’inventore del «groviglio armonioso» Stefano Bisi, gran maestro massone, con l’accusa di ricettazione e di aver ricevuto uno stipendio da 5 mila euro al mese da Minucci.
È scomparsa anche la Robur, la squadra di calcio, che non è riuscita a iscriversi alla serie B. Sono nei guai gli ex vertici dell’università, per un buco da centinaia di milioni (l’ex rettore Silvano Focardi è stato condannato dalla Corte dei conti a pagare 21.500 euro per aver acquistato 360 chili di pesce, tra cui aragoste, la cui spesa non è stata giudicata compatibile con la ricerca scientifica). Mussari è stato condannato alla fine di ottobre a 3 anni e 6 mesi in un filone secondario dell’inchiesta sul derivato finanziario Alexandria: lui, che era il principe della città fino a quando persino gli amici gli hanno voltato le spalle. L’ultima beffa è stata la sconfitta contro Matera nella corsa per diventare capitale della cultura europea 2019.
La crisi finanziaria del Monte ha segnato la fine del sistema di una città che ha vissuto sopra i propri mezzi. Una città in cui, ha scritto James, «ogni cosa ha oltrepassato il suo meridiano». Siena decadence.