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 2014  novembre 13 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA RIVOLTA DELLE PERIFERIE


REPUBBLICA.IT
Il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Tor Sapienza si comincia a svuotare. Dopo le ennesime tensioni nel quartiere alla periferia di Roma, con proteste, lanci di bottiglie e urla - "Scendete bastardi, scendete" - da parte di un gruppo di residenti agli ospiti di di via Morandi, è stato deciso il trasferimento dei minori non accompagnati in un altre strutture della Capitale. A riferirlo per prima una operatrice della cooperativa ’Il sorriso’, che gestisce il centro. La conferma è arrivata poi anche dall’assessorato comunale alle Politiche sociali: "Si tratta di un trasferimento e non di uno sgombero - si precisa - pianificato per evitare il generarsi di altri incidenti e per far tornare rapidamente la calma". "Il centro di accoglienza presente da anni è stato gravemente danneggiato e al momento in molti suoi spazi è inagibile, si sta dunque procedendo alle perizie necessarie per rilevarne i danni" aggiungono. Gli ospiti sono in tutto 83, i ragazzi trasferiti, tutti soli e orfani, sbarcati ad agosto dai barconi del nordafrica, sono 45: 10 di loro stanno seguendo un percorso di semi-autonomia e frequentano un corso professionale per gli altri 35 la situazione è più complessa. Tra questi anche alcuni italiani in condizioni di grave disagio.
Nel primo pomeriggio i ragazzi sono stati portati via a bordo di alcune auto scortati da volanti della polizia e ci sono state anche lacrime, e commozione degli operatori che gestiscono la struttura prima dell’ultimo arrivederci. Ma giungevano anche voci di protesta: "Andatevene bastardi". Sono stati smistati in altri centri cittadini tenuti segreti, ma nessuno nel V municipio teatro degli scontri.
Gli immigrati adulti sono 38 e ospiti del centro da febbraio: sono tutti richiedenti asilo politico (secondo le procedure previste dallo Sprar) e arrivano da Etiopia, Somalia Gambia e Guinee. Loro restano, e verranno alloggiato in un solo piano, quello che non risulta danneggiato.
La decisione di portar via i più giovani è nata soprattutto dopo la nuova protesta di questa mattina. A far scoppiare la scintilla sarebbe, secondo i residenti, "l’aggressione a una ragazza spintonata stamani da uno straniero". Ma anche il rifiuto di far entrare gli immigrati in un bar: "Qui non potete entrare, non è per voi". E il Campidoglio, che ne è responsabile in quanto minorenni, ha deciso lo spostamento altrove per garantire loro maggiore sicurezza. E per procedere ai lavori nei piani danneggiati
Tor Sapienza, ancora proteste dei residenti contro gli stranieri. Blindato il centro immigrati
Per gli adulti richiedenti asilo del centro la questione del trasferimento è comunque sul tavolo: se ne sta discutendo, al Comune, in Prefettura e al Viminale. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha convocato alle 19 di oggi al ministero il prefetto ed il questore di Roma in merito alle proteste anti-immigrati nel quartiere.
"Non si può vivere così segregati, senza nemmeno la possibilità di uscire a fumarsi una sigaretta. Ora si stanno trasferendo i minori, poi si cercherà di provvedere anche con gli adulti" si sfoga Gabriella Errico, presidente della cooperativa "Il Sorriso". "Trasferiremo anche gli adulti così il centro di accoglienza chiude e alla fine saranno tutti contenti - aggiunge polemicamente - il quartiere ha vinto, Tor Sapienza sarà contenta, e sicuramente saranno risolti tutti i problemi legati a spacciatori, stupratori e travestiti pure".
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Una decisione, quella spostamento dei ragazzi extracomunitari, che suscita non poche perplessità anche negli stessi ambienti del Viminale, dove fonti qualificate fanno notare le possibili conseguenze di una ’resa’ ai malumori anti-immigrati della piazza, strumentalizzabile da alcune componenti politiche e il rischio di creare un pericoloso precedente, che potrebbe alimentare ulteriori problemi per l’ordine pubblico anche in altre realtà.
IL RACCONTO DIETRO LE SBARRE DEL CENTRO: "NOI, IN GABBIA COME BESTIE"
A Tor Sapienza le proteste vanno avanti ormai da giorni. Nella notte tra lunedì e martedì i residenti sono scesi in strada in via Morandi contro il centro di accoglienza per rifugiati. Sono stati lanciati sassi, bruciati cassonetti. E si sono viste anche bande con i cappucci in testa. Da quel momento la tensione è continuata a salire. La Procura della Repubblica ha avviato un’indagine su quanto accaduto nelle ultime ore. "E’ necessario e urgente che venga fatta chiarezza sulla reale natura e provenienza degli ingiustificabili attacchi subiti dal centro. Roma è capitale dell’accoglienza e rifiuta ogni forma di violenza, razzismo e xenofobia" fanno sapere dal Campidoglio.
Dopo due notti di scontri e paura, anche questa mattina gli abitanti del quartiere romano si erano radunati sotto il centro dei rifugiati scandendo insulti "Se ne devono andare", poi se lo sono presa con le forze dell’ordine schierate davanti alla struttura: "Difendete noi non loro perché noi vi paghiamo le tasse e lo stipendio". A rafforzare il cordone di sicurezza sono arrivati poliziotti che si sono aggiunti ai carabinieri. La situazione è precipitata quando sono state lanciate bottiglie e pietre contro l’edificio di via Giorgio Morandi, l’ennesimo episodio nel giro di pochi giorni che ha determinato la decisione del trasferimento dei minori per evitare ulteriori tensioni. "Trasferiscono i minori? A questo punto devono andarsene tutti - hanno commentato gli abitanti - Devono proprio chiudere il centro. Sarà una vittoria solamente quando li porteranno via tutti". L’ala più dura va oltre l’esasperazione: "Devono metterli fuori da Roma, fuori dal raccordo".
In strada anche Don Marco Ridolfo, parroco della chiesa di San Cirillo Alessandrino in viale Morandi. "Questo quartiere soffre il degrado e l’assenza di sicurezza e non riguarda la comunità di immigrati. Ora si parlerà solo di razzismo e basta ma questo è la punta dell’iceberg - ha detto Don Marco - i problemi sono anche di degrado e scarsa sicurezza: sono legati alla prostituzione, allo spaccio frequente che avviene nella zona, alla scarsa illuminazione. La sera le persone hanno paura a circolare perché ad esempio le luci sono spesso spente o comunque l’illuminazione non è sufficiente, c’è paura per atti di violenza che non riguardano solo gli immigrati, la situazione di degrado è più grande non riguarda solo la comunità di immigrati".
Tor Sapienza, sassi contro il centro immigrati. Cariche della polizia e feriti
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Per domattina il leghista Mario Borghezio aveva annunciato una visita a Tor Sapienza, per "incontrare gli abitanti del quartiere che difendono il loro sacrosanto diritto a vivere nella sicurezza e nella tranquillità, portando loro anche la solidarietà del segretario Matteo Salvini". "Vuole venire Borghezio? Vuole venire Salvini? Venissero pure, cacceremo via anche loro. Noi non facciamo la guerra agli immigrati, facciamo la guerra alle istituzioni che non ci proteggono da chicchessia, stranieri o no" rispondono però alcuni abitanti della periferia romana.
Intanto la comunità di Sant’Egidio ha lanciato un appello: "Contrastare la cultura della violenza" con l’invito a salvaguardare il carattere aperto della città di Roma "contro ogni forma di razzismo". "Più che di un presunto disagio sociale o di una ’guerra tra poveri’ che si vorrebbe innescare ad arte, si tratta spesso di episodi violenti a sfondo razzista, che dimostrano come nei quartieri delle periferie urbane si stia diffondendo una pericolosa cultura della violenza, che va contrastata con una positiva azione di sensibilizzazione sociale". "Il centro di accoglienza per richiedenti asilo e per minori stranieri non accompagnati di Tor Sapienza è da anni una struttura modello nella quale 36 minori stavano seguendo un utile percorso di formazione e di inserimento professionale. Grazie alle loro testimonianze raccolte dagli operatori sociali e confermate alle autorità di polizia, sono stati arrestati decine di scafisti ed altri criminali che in Italia o nei paesi di origine hanno sfruttato
le condizioni di disagio dei profughi e di quanti fuggivano da situazioni di guerra o di estrema povertà". Nessuno di loro risulta coinvolto in episodi di microcriminalità nel quartiere o altrove - si legge nella nota della Caritas - Quanto agli adulti ospiti del centro, si tratta di persone in attesa dei documenti che ne certifichino lo status di rifugiati, e che quindi non sono certamente interessate a creare disordini o tensioni con gli abitanti del quartiere".

GAMBIZZATO PER UNA COMPRAVENDITA DI CASE POPOLARI
REPUBBLICA.IT
Agguato con sparatoria a Roma. Un uomo è stato ferito alle gambe con colpi di arma da fuoco in un palazzo di Tor Bella Monaca alla periferia est della capitale. E’ accaduto intorno alle 17 in via dell’Archeologia, al secondo piano di un edificio. Ferito alla testa, forse con il calcio della pistola, anche il figlio 16enne.
A dare l’allarme al 113 sono stati alcuni condomini che hanno sentito forti rumori, grida d’aiuto e uno sparo. Gli agenti del commissario Tor Vergata arrivati sul posto hanno trovato padre e figlio feriti: l’uomo, M.M., del 1969, alla coscia destra, il figlio nato nel 1998 alla testa. Tutti e due sono stati portati all’ospedale Tor Vergata Ma non sarebbero in pericolo di vita. Sul caso indagano gli agenti per ricostruire l’esatta dinamica di quanto avvenuto in quel palazzo al civico 57. L’ipotesi che sta prendendo piede tra gli inquirenti è che ci sia una faida per l’occupazione di una casa popolare dietro al ferimento.
Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che l’appartamento in cui si è consumata l’aggressione sia finito al centro di un giro di compravendite abusive. La vittima, legittimo assegnatario, avrebbe infatti rivenduto la casa e l’acquirente a sua volta, sempre abusivamente, l’avrebbe
ceduta a una terza famiglia. Quest’ultima vendita avrebbe però fatto andare su tutte le furie M.M. che oggi si è presentato in via dell’Archeologia per cacciare i nuovi "proprietari". Le due donne presenti in casa avrebbero avvertito del blitz il compagno di una delle due che, armato, ha raggiunto l’appartamento e ferito padre e figlio. Ora è caccia all’aggressore. E ci sarebbe già un identikit: trent’anni, alto circa un metro e ottanta, occhi verdi.

INTANTO A MILANO
Un’altra giornata di tensione nelle palazzine Aler di Milano. Dopo che nei giorni scorsi con gli antagonisti avevano impedito uno sgombero al Giambellino, una decina di di militanti del centro sociale Corvaccio si è presentata in via Salomone, in zona Mecenate, dove era in programma lo sgombero di due famiglie, una italiana e una egiziana, tutte e due con figli.
Aler, a Milano ancora tensioni durante uno sgombero
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I manifestanti, almeno una cinquantina fra antagonisti e inquilini Aler, hanno cercato di sfondare il cordone delle forze dell’ordine, ma sono stati respinti: contro gli agenti in tenuta antisommossa sono volate uova e pezzi di legno. La situazione è molto tesa, come era del resto già successo in passato in occasione di altri sfratti esecutivi. Gli sgomberi anticipano il piano d’intervento deciso in prefettura contro le occupazioni abusive che scatterà il 18 novembre.
Gli inquilini hanno poi protestato nella vicina piazza Ovidio, dove la polizia locale ha fermato il traffico e alcune decine di persone hanno occupato la strada cantando
slogan. Davanti a loro, una decina di carabinieri con caschi e scudi. Imad ha 31 anni, è cittadino italiano ed è uno degli abusivi sgomberati: "Sono entrato nella casa due anni fa, l’ho trovata grazie a una persona che si è offerta di farmi entrare in cambio di 1.000 euro", racconta. "Adesso mia moglie e mio figlio andranno in un centro accoglienza, ma per me non c’è posto. E la casa verrà qualcun altro a occuparla questa sera stessa".

CORRIERE DELLA SERA
MAURO MAGATTI
D ue episodi in pochi giorni. Stesso scenario: le periferie degradate delle grandi città (Milano e Roma); stessi protagonisti: gruppi sociali marginali, abitanti esasperati, apprendisti stregoni in cerca di riposizionamento politico, gruppi antagonisti e centri sociali, forze dell’ordine. Stesso risultato: la violenza che scoppia e distrugge, confermando ciò che avremmo sperato non vedere più: l’odio che avvelena l’aria delle nostre città e della nostra democrazia.
In un libro di qualche anno fa Zygmunt Bauman ha sostenuto che la crescita tende a creare, come una sorta di effetto collaterale, «scarti umani». Uomini e donne, dice Bauman, che, per una ragione o per l’altra, diventano inadatti a vivere in una società avanzata. «Vite di scarto» che le democrazie tendono a rimuovere, concentrandole ai margini delle proprie città. Dove si pensa non diano fastidio. Almeno alle vite «normali». Salvo poi accorgersi che questa rimozione è un’operazione impossibile: non fosse altro perché c’è sempre qualcuno che è costretto a vivere vicino a questi luoghi della sofferenza contemporanea. Anche se è sgradevole osservarlo, accade cioè qualcosa di simile a quanto succede a proposito delle discariche dei rifiuti. Di cui tutti riconosciamo la necessità, salvo poi volerle sempre altrove e comunque mai nelle vicinanze della propria abitazione.
È attorno a questi luoghi dove concentriamo quelli che sono «scarti» — un campo di rom, un centro per l’accoglienza di immigrati — che è scoppiata anche in questi giorni la violenza. Perché?
È incredibile come le società umane sembrino non imparare mai. Le periferie delle grandi città di tutto il mondo sono contesti fragilissimi, che vivono di equilibri molto precari e instabili. Al loro interno, spesso sono solo le inesauribili risorse di socialità e di umanità presenti nella stragrande maggioranza degli esseri umani a tenere le maglie di un tessuto sociale che manca persino degli elementi più basilari. Ma provate a cambiare, senza nessuna azione di accompagnamento, gli equilibri etnici di questi quartieri (ad esempio attraverso una massiccia immigrazione); aggiungete qualche campo rom o un centro per immigrati illegali, «brillantemente» collocato in un contesto già fragile; fate seguire anni di recessione economica che — come non è difficile immaginare — produce disoccupazione particolarmente elevata, soprattutto tra gli abitanti di questi quartieri. Non è questa la ricetta per il disastro?
Anche se non ce ne rendiamo conto, attorno alle grandi città ci sono quartieri in cui si vive in una condizione di extraterritorialità. Dove i cittadini si sentono letteralmente abbandonati da istituzioni che sembrano non esistere (salvo la scuola che eroicamente continua a essere un presidio in tutta italia) eccetto che per saltuari se non estemporanei interventi repressivi.
In questi quartieri regna un profondo senso di insicurezza che alimenta il risentimento, un misto di rabbia e desiderio di rivalsa, protratto nel tempo, che si prova come conseguenza di un torto o frustrazione subita, sia essa reale o immaginaria.
In queste condizioni, basta una scintilla per far scoppiare l’incendio. E basta davvero poco per organizzare una speculazione politica. Che ha gioco facile nello sfruttare il disagio diffuso e volgerlo contro il capro espiatorio di turno — il migrante, il rom — che può facilmente fare da parafulmine per tutte le fatiche di chi vive in questi quartieri. Così che il risentimento — che non saprebbe con chi prendersela per una vita grama privata persino della speranza — riesce così a trovare uno sfogo. È stato questo il caso di Matteo Salvini, a sua volta bersaglio di aggressioni. Il leader della Lega, in cerca di un riposizionamento politico che fa del modello di Le Pen il proprio punto di riferimento, ha il fegato di andarci in questi quartieri. E di dare così la sensazione di essere vicino a chi non si sente ascoltato.
Nei prossimi mesi vedremo gli esiti di una tale campagna. Certo deve preoccupare lo stato di una democrazia dove i soggetti politici percorrono queste vie per ottenere un consenso che non riescono più a costruire con un discorso capace di guardare al futuro. Il risentimento è un’arma pericolosa. Maneggiarla può portare anche là dove non si voleva finire.