Antonio Pascale, Rolling Stone 11/2014, 13 novembre 2014
UN’ANALISI DEL CAZZO
Bello parlar d’amore. D’amore e di sesso e di piacere. Leggiamo romanzi o saggi anche per questo. C’è tuttavia qualcosa che non convince nelle tante trattazioni sull’amore: si dà per scontato che l’amore renda la vita migliore. Sarà vero? Magari l’amore rende solo la vita possibile. E se invece di comporre e ricomporre il tema dell’amore, cercando gli aggettivi più appropriati per nobilitarlo, se invece di avviare il classico meccanismo interpretativo, si scomponesse la parola amore (e desiderio e piacere) in forze più semplici, forse, chissà, verrebbero fuori cose interessanti. Per scomporre ci vogliono strumenti adatti. Ci sono: quelli della biologia evoluzionista. Eppure, davanti a questo (nuovo) corpus di conoscenze, una parte di lettori abbandona il campo. Sente qualcosa di innaturale. Insomma, perché dovrei condividere la mia sfera emotiva con quella degli scimpanzé o dei bonobo? Non siamo mica la stessa cosa. Eppure riconoscere che la nostra natura (sentimentale e non) non è un’essenza immutabile e spirituale, ma un prodotto di milioni di anni di evoluzione, ecco, questa presa d’atto non rende la nostra natura meno vera, al contrario, la rende più vera. Chi siamo?, perché amiamo? non sono domande serie, insomma, sì, in bocca ai guru hanno ancora fascino, ma tanto sarà guadagnato se riusciremo a formulare le suddette questioni in termini diversi: come siamo arrivati fin qui? Come riusciamo ad amare? Galileo avviò una rivoluzione percettiva di enorme portata (ancora non ci siamo abituati) quando smise di chiedersi perché si muovono gli oggetti e si limitò a studiare come si muovono. Il fatto è che noi lettori siamo disabituati a queste nuove trattazioni, eppure, vi garantisco: potrebbe essere un bel cambio di passo leggere, per esempio Le forme del desiderio di Jesse Bering (Codice edizioni). Il titolo originale è: Perché il pene penzola così tanto. Bering si presenta così: “Da che io ricordi, ho sempre provato una sincera curiosità verso certe questioni, per così dire, inappropriate, e non ho avuto mai timore di manifestarle. Quand’ero alla scuola media chiesi alla sventurata seduta accanto a me: perché il mio pene quand’è eretto somiglia più a una scimitarra che a un pugnale? Un pene deve entrare diritto non formare un angolo di 45 gradi”.
Bering ama la scienza, trova che sia un mondo nel quale non esistono dogmi, tabù o domande troppe assurde. Aggiunge: “Consentitemi di essere chiaro fin dall’inizio, il punto di vista è quello di uno scienziato, con una specializzazione in psicologia, ateo, omosessuale e con una predilezione per le teorie evoluzionistiche più audaci”. Che altro non sono che studi molto seri che Bering commenta e su cui riflette.
A ogni modo, il viaggio inizia con un’occhiata ravvicinata ai nostri genitali: perché il pene è fatto così? A cosa serve? Quello umano ha caratteristiche specifiche, il glande per esempio. Ci piace considerare la nostra specie monogama, eppure da quando siamo diventati bipedi qualche sfizio ce lo siamo tolti. Siccome gli spermatozoi riescono a sopravvivere più di un giorno all’interno del muco cervicale femminile, se la donna dovesse avere uno o più partner sessuali, allora lo sperma di questi uomini entra in competizione per l’accesso all’ovulo femminile. S’era nella Savana e sesso di gruppo, stupri e promiscuità sessuali erano la norma e dunque il gioco era quello di allontanare lo sperma d’altri uomini e piazzare il nostro. Il glande si sarebbe evoluto per questo: è una specie di strumento per raccogliere il seme ed espellerlo. Per la cronaca, un gruppo di ricercatori, munito di peni, vagina e sperma artificiali ha davvero messo alla prova l’ipotesi di cui sopra, raggiungendo i risultati attesi. Comunque, non siamo i soli a fare i conti con il seme altrui, ogni mammifero ha preso le sue precauzioni. Osservate il pene del gatto, suggerisce Bering. È dotato di 150 aculei, acuminati e rivolti all’indietro. Perché? Perché da una parte graffiano le pareti della vagina della gatta e stimolano l’ovulazione (e fanno male, a giudicare dai sofferenti miagolii), dall’altra rastrellano via lo sperma degli altri gatti. Altre riflessioni di Bering sono molto particolari, e perché no, fonte di ispirazione, per gli scrittori come me, alla ricerca di storie. Una giovane coppia dell’Alabama, guardando con batticuore il pube del proprio bimbo di sei mesi. C’erano un sacco di peli pubici e diventano più ispidi, tanto che, al sedicesimo mese, i genitori si accorgono che anche il pene del piccolo è insolitamente grande – tra l’altro è spesso in erezione. Corrono dal medico. Ma il bimbo sta benissimo, pimpante e sprizza salute. Le analisi registrano un tasso di testosterone sopra la media. Come mai? Perché il padre, per combattere la depressione, si spalmava sul petto e sulla schiena un gel a base di testosterone, il bimbo dormiva abbracciato al padre e assorbiva l’ormone. Da qui parte una commovente analisi sulla pubertà e sulla nascita dei nostri istinti elementari.
Naturalmente, lo sappiamo, non basta un ormone per farci cambiare pelle e sentimento, ma libri così indagano proprio sulle forze elementari, quelle propulsive che avviano dinamiche d’amore più complesse. Così Bering ci regala spiegazioni di orgasmi femminili, strani comportamenti, anche quelli non legati strettamente al sesso, come nel capitolo “L’evoluzione della stronza”, tipico di alcune adolescenti.
Alla fine avevo soltanto una curiosità personale. Siccome ho passato tre anni della mia vita dai salesiani ed ero tormentato dalle raccomandazioni dei preti: non masturbatevi, è peccato! mi sono chiesto: ma la biologia evolutiva, come la spiega la masturbazione? In effetti, perché dovrei disperdere il seme, vista anche la fatica di raggiungere l’obiettivo, cioè l’ovulo? Bering ha la risposta: per sostituire il seme vecchio, che occupa i dotti spermatici, con quello nuovo. Dunque, non si dovrebbe avere paura di dire alle donne: mi masturbo perché sono attento alla qualità. In fondo questo libro insegna a non aver paura dell’amore, alto o basso che sia, nobile o meno, è tutta roba naturale e che viene da lontano, frutto della tradizione, a suo modo.