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 2014  novembre 13 Giovedì calendario

E SE NON FOSSE TUTTO FUMO?


IL CENTRODESTRA DIVENTERÀ Un cumulo di macerie? Chiudono i giornali. Spariscono le Fondazioni. Non ci sono soldi. Facce stanche. Facce malpanciste. Facce ammusonite. Facce così, proprio adesso che la storia sembra dare ragione alle intemerate di Silvio sulla giustizia. Proprio adesso che anche i giustizialisti non si sentono tanto bene. Adesso che l’Anm è alle corde e che non passa giorno che “il fatto non sussiste”. Proprio adesso, il centrodestra rischia il de profundis. E chi è quello strepitoso fundraiser che con due cenette cotte e mangiate tra lo skyline milanese e l’Eur capitolino è capace di intascare una barca di euro (1,5 milioni, pare) col semplice tip tap ballato sul «cambio l’Italia», un altro hashtag e via? Neanche una Ong, un ente no profit, un’associazione benefica, rastrellerebbe tanto denaro in una ventiquattr’ore dell’autofinanziamento. Per di più, soldi esplicitamente e weberianamente incassati “dalla politica e per la politica”. Soldi che finiscono dritti nelle casse di un partito quando i partiti si dice non esistono più. Appunto. Tranne uno. Caro il nostro Carlo Giovanardi, vecchio combattente che mai ha smesso di dirsi «orgogliosamente democristiano». «Dovremmo imparare dal Pd. La nuova Dc. Loro sono capaci di sedersi a un tavolo e mettersi d’accordo. Noi, invece... Tu li conosci tutti i cosiddetti big del centrodestra, no? Dovrebbero mettersi insieme, stendere un programma, rilanciare una “cosa comune”. E invece no. Cosa titola Il Giornale! “Alfano lascia picchiare Salvini”. Roba da matti... Lascialo dire da uno che ormai è solo poco più di consulente e prende bastonate per le sue battaglie di verità. Ciascuno pensa per sé. Ciascuno corre dove crede di poter salvare la pelle di parlamentare. E, se possibile, ciascuno parla male degli altri. Ma dove vuoi andare?».
Niente di nuovo nel caos del centro-destra se non fosse che sulla scena, lemme lemme, con qualche amicizia pericolosa (il flirt con Landini) e qualche gaffe spaventosa («La Corea del Nord? Un po’ come la Svizzera»), si affaccia l’altro Matteo. Quello che nei sondaggi viene dato al 20 per cento di consensi, l’outsider che mantiene la ruota di Renzi e, sempre nei sondaggi, con la sua Lega rischia di agganciare e superare Forza Italia. È arrosto o sarà solo fumo? Giuliano Ferrara, sghignazzando sulla doxa, invita la compagnia di centrodestra (o come la chiama lui, i «sorcini miei») a restare con i piedi per terra. Così, da ventriloquo neanche troppo immaginario di Silvio Berlusconi, scrive che no, «Non chiedetemi primarie e rinunce alla patria potestà. Non ve le do. Chiedete a voi stessi l’energia di vivere anche oltre di me, e con me, e ricostruite una destra radicale ma non scema, che oggi non può che giocare la carta delle riforme istituzionali». Alternative? Una “marcia di lunga durata”. «Potete inventare la destra intelligente e resistere alla tempesta che noi stessi abbiamo suscitato ed esportato nel campo di Agramante, oppure potete adagiarvi sulla logica del “sì Salvini” e fare la fine dei sorci». Matteo Salvini incassa ma non ci sta. «Ammetterà anche Ferrara che tra sorci e sorcini forse una terza via c’è». Ce la delinei, please. «Voglio andare oltre la Lega». Con la Lega dei popoli? «Dovremo cambiare nome, d’accordo. Ma c’è un tessuto popolare che il sistema spinge nella braccia di Renzi e che sta solo aspettando che il centrodestra si svegli. Se è vero, come registrano i sondaggi, che c’è in giro così tanta gente che ha simpatia per Salvini, significherà pur qualcosa». Sì, ma “oltre la Lega”, che significa? «Guardi cosa succede in Francia con Marine Le Pen. Guardi alla resistenza diffusa sui matrimoni e adozioni gay. Qui in Italia, come in tutta Europa, la gente ne ha le tasche piene di politiche dell’austerità in economia e del semplice sbraco in società. Dalla Bce all’immigrazione devi pensare il mondo a una dimensione e pensare come lo pensa il burocrate della commissione finanziaria piuttosto che quello delle pari opportunità. E che palle! Guardi l’Ungheria, la Catalogna, la Scozia. Dobbiamo dare una voce politica al nuovo europeismo che ha come protagonisti i popoli. La gente è stufa del politicamente corretto». Però la gente ha anche paura a esporsi. «Vero. E infatti bisogna unire le forze. Mirano alla distruzione del popolo? Diamo battaglia!». Ammetterà che la sua leadership sembra un po’ fragile e controversa. «Non ho ambizioni personali. Vorrei portare il mio contributo e vorrei che altri, anche più sperimentati del sottoscritto, portassero il loro. Dal popolo e per il popolo, voglio dare una mano a ricostruire una casa politica unitaria. Anche con Berlusconi. Se ci sta. Ma non mi allineo all’altro Matteo: è quello il fumo, e presto lo si vedrà nel fallimento targato Ue». Questo anti-europeismo ha però il fiato corto. «Quante volte dovrò ripetere che sono un europeista convinto, e perciò contro questa Europa che ci riempie di immigrazione fuori controllo, ci mette in conflitto con la Russia contro ogni interesse europeo e insiste su regole di bilancio che è matematico faranno fallire l’euro?». Con chi parla di queste cose nel centrodestra? «Con tutti». Anche con Berlusconi? «Sì. Però è evidente che se Berlusconi ha il problema di non disturbare Renzi io non lo posso seguire. Stesso discorso vale per Ncd. Premesso che Alfano è il ministro sbagliato nel momento sbagliato, io non ho preclusioni rispetto a lui ne a nessun altro. E come sa, faccio un pezzo di strada anche con Landini, visto che Landini segue Salvini e la Fiom voterà il referendum promosso dalla Lega contro la legge Fornero». Invece, con Renzi solo pura e dura opposizione? «Mica vero. Il problema è che, certificato che la Lega è il gruppo parlamentare che lavora di più e ha fatto più proposte al governo, di là il riscontro è zero. Renzi non ha preso in considerazione niente di quanto gli abbiamo proposto noi». Resta la spaventosa rassegna stampa dopo la sua gita a Pyongyang in compagnia del senatore cabarettista Antonio Razzi. «Diciamo che mi ha tradito la mia irriducibile curiosità... Vabbè, qualche fesseria l’ho detta. Tornando alle cose serie: sto battendo l’Italia e ovunque trovo attenzione e disponibilità. La gente ha capito che siamo a fine corsa. E non vuole finire a fare da cameriere ai tedeschi. Non sto parlando di cose sentite in Valtellina. Ma in Calabria piuttosto che nella stessa Roma».
Le truppe di Fitto e l’ondivago B.
Intanto Raffaele Fitto muove le sue truppe. All’indomani della nostra copertina dedicata a Berlusconi “Dissolto nel renzismo”, l’europarlamentare più votato di Forza Italia aveva lanciato un tweet eloquente: «Purtroppo, il quadro di Tempi mi sembra veritiero». Ma la migliore conferma viene dallo stesso ex Cavaliere ondivago. Durante il giorno (giovedì 6 novembre) paria malissimo di Renzi al capogruppo Ppe Manfred Weber ospite a pranzo a Palazzo Grazioli. La sera stessa rampogna il povero Renato Brunetta perché col suo Mattinale «attacchi troppo Renzi». En passant, sempre settimana scorsa. Forza Italia subiva lo scorno dell’accordo Pd-M5S su Csm e Corte Costituzionale. E, in aggiunta, lo schema di un asse Renzi-Grillo trovava corpo nelle parole del grillino vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che in una rarissima intervista al Corriere della Sera, dichiarava che «Se nel Pd c’è buon senso, in futuro noi ci saremo anche per il Quirinale. Il popolo del centrodestra non esiste più». Berlusconi fa spallucce («Renzi sa che fidarsi di Grillo è come puntare sullo zero alla roulette»), però capisce l’aria che tira e non capendo il gioco del Quirinale (che ritiene essere sempre e comunque contro di lui) si affretta a farsi dare l’ultimatum dall’amico Matteo sull’Italicum e poi finisce come doveva finire: ok ai desiderata di Matteo. Perché questo amore mentre Forza Italia si comincia a sentire una specie di partito camaleonte? «Perché Renzi è il più berlusconiano che c’è. Con lui ci intestiamo le riforme istituzionali e sconfiggiamo il blocco Cgil-Anm. E poi i voti ce li ho io». Così ragiona Berlusconi con i suoi. Però adesso sono i suoi a non seguirlo proprio. Morale del “c’era una volta un solo uomo al comando”? Dalle parti di Raffaele Fitto giurano che il 27 novembre, al convegno fissato dopo le regionali, i parlamentari in rivolta contro l’appeasement con il governo saranno il doppio dei 32 (di cui 17 senatori) che Fitto aveva portato con sé in conferenza stampa il 5 novembre scorso. Se davvero i numeri della fronda saranno questi, è difficile immaginare un Berlusconi arroccato sulla linea dell’intransigenza. L’uomo è pratico e i parlamentari di Forza Italia sono 120: se metà sono sulla linea del leader pugliese, l’uomo pratico dovrà farsene una ragione. E discutere. Discutere cosa? Sempre dalle parti di Fitto si lavora a una triplice intesa. «Su un’agenda politica da forza di opposizione. Su una chiarezza intorno a forme e limiti della collaborazione istituzionale con Renzi. Sull’indizione (ahi, che dolore per B, ndr) di primarie nel centrodestra». Nel frattempo, per non rimanere schiacciata sull’Italicum a premio di lista e sbarramento che la condannerebbe all’irrilevanza politica (o alla confluenza nel Pd, qualcuno suggerisce), Ncd si gioca una buona fetta di autostima politica sperando in una riuscita del Family Act, forse l’ultimo atto per provare anche ad arginare l’enorme spinta di sistema all’equiparazione delle unioni gay al matrimonio uomo-donna anche in Italia. Roberto Formigoni naturalmente condivide ogni parola del cardinale capo della Cei e delinea l’ultima trincea del partito di Alfano. «Siamo forza di governo ma rivendichiamo la nostra identità, facciamo valere i nostri programmi, come si è visto con il Jobs act, ma non andremo mai a sinistra. Non capiamo l’ostracismo di Berlusconi e continuiamo a parlare con tutti. Se il centrodestra decide di parlarsi e di non autoaffondarsi nei personalismi noi ci siamo. Ma se il governo forza sulle unioni civili, un minuto dopo Ncd è fuori».

Italia federale e Roma da “Expo”
Matteo Forte, consigliere comunale a Milano per i popolari di Mario Mauro, ex Forza Italia ed ex ministro della Difesa di Letta, ex scissionista dell’atomo montiano, ricorda quello che è ormai abbastanza acclarato. «La legge di stabilità è una partita di giro. Ti danno 80 euro con una mano e te ne riprendono il doppio in tasse con l’altra. In più Renzi ricentralizza tutto, mette i tagli sulle spalle delle amministrazioni locali e non affonda il coltello sullo Stato centrale. La commissione per l’attuazione del federalismo fiscale rileva una crescita dell’incidenza sulla spesa primaria delle regioni fino a -38,5 per cento, contro un -12,2 per cento su quella dello Stato». Interessante. Però, senza che dai tempi di Miglio e Bossi si muova foglia sul tema, la fonte autorevole (e romana per eccellenza) di Repubblica rivela che 3 italiani su 10 sono favorevoli alla secessione. E se una formazione che andasse oltre il centrodestra si munisse di un manifesto intelligente di “nuova Italia delle autonomie”? È il piatto di Flavio Tosi, sindaco combattente e in prima linea nella ricostruzione di un centrodestra all’altezza di Renzi. «L’unica prospettiva di salvezza di questo paese è uno shock da investimento come quello delineato dai 400 miliardi di Corrado Passera e la completa riscrittura dello stato centralista ottocentesco. Urge la ristrutturazione dell’unità d’Italia su basi federali. Roma diventerebbe una specie di Expo permanente e la capofila della messa a valore di quella filiera di 50/60 per cento di patrimonio dell’umanità, storico, artistico e turistico che ci riconoscono gli organismi internazionali. E il ritardo del Sud sarebbe colmato da un’alleanza col Nord, all’interno di istituzioni comuni minime e di precisi e reciproci patti di solidarietà e di responsabilità. Insomma, una repubblica federale e meglio anche presidenziale. Con questo assetto dello Stato dove l’elefantiaca pubblica amministrazione fa da volano al debito e da fornace al Pil, non andiamo più da nessuna parte. Questo Stato è fatto di piombo. Cgil o non Cgil affondiamo. E i tedeschi non hanno nessuna intenzione di venirci a salvare, fanno giustamente il loro interesse, non il nostro».