Marco Pastonesi, La Gazzetta dello Sport 12/11/2014, 12 novembre 2014
LA NUOVA VITA DI MARCO MOSER
C’è ancora. Sul sito ufficiale della Bmc – nella sezione «team», nella sottosezione «development team» – c’è ancora. Terza fila, il primo a sinistra. Nome e cognome: Ignazio Moser. Data di nascita: 14 luglio 1992. Luogo di nascita e residenza: Trento. Altezza: 190 cm. Peso: 85 kg. Musica preferita: dance music e il dj Hardwell. Film preferito: Troy. Cibo preferito: pizza. Luogo preferito dove allenarsi: Trentino. Paese preferito: Stati Uniti. Principale obiettivo nel ciclismo: vincere la Parigi-Roubaix.
Coraggio Ma a 22 anni, quando il padre Francesco esordiva nel professionismo, Ignazio è già un ex. Ha detto fine, basta, stop: «Una mattina, senza neanche il bisogno di guardarmi allo specchio, perché per specchiarsi con l’anima ci vogliono solo sincerità e coraggio, mi sono detto che il ciclismo non faceva più per me. La bicicletta sì, il ciclismo no. Quando tutto, dall’alzarsi al coricarsi, dall’uscire al rientrare, dall’allenarsi al correre, ti costa fatica, allora è già troppo tardi. Correre significa innanzitutto leggerezza. Se non hai quella leggerezza, ti stacchi anche in discesa».
L’ultima corsa Ignazio è il terzo dei tre figli di Carla e Francesco Moser: Carlo, Francesca e lui, Ignazio. Carlo e Francesca già nella squadra Moser, quella della famiglia, quella del vino e dello spumante, quella del maso e della cantina. E anche Ignazio, dalla fine di agosto. L’ultima corsa la penultima domenica di agosto, poi fine, basta, stop. Una decisione che ha stupito la Bmc, sorpreso i tifosi, disarmato gli appassionati. «I più comprensivi sono stati proprio i miei famigliari – racconta -. Non c’è stata l’urgenza di interrogare, né il bisogno di spingere o insistere o provare. I Moser, da un paio di generazioni, sono strada e terra, ciclismo e uva, biciclette e trattori. I Moser, nati con una bici sotto i filari. C’è un’anima agonistica, sportiva, competitiva, e ce n’è un’altra più attaccata alle radici. Sembrava che ci fosse un tempo per un’anima e un tempo per l’altra. E allora diciamo che la mia prima parte è durata meno del previsto».
Che peso Il momento più difficile è stato ammetterlo a se stesso: «Ma non volevo prendere in giro né me né soprattutto la mia famiglia. Ogni giorno il peso si faceva più pressante. La prima a saperlo è stata la mamma: ma lei aveva già intuito. Il papà non ha obiettato, lui sa benissimo che cosa significhi dedicarsi al ciclismo, e ha rispettato la mia decisione. Così, a quel punto, mi è quasi sembrata una liberazione. Non è stato l’onere del cognome, che pure è entrato nella storia, come una sorta di dinastia e anche come un marchio di fabbrica. Non è stato il possibile, inevitabile confronto con mio padre, lui è stato un campione, non ho mai osato pensare di poterlo raggiungere o addirittura superare. Non è stata neppure una carriera che, per quanto appena accennata, già mi aveva dato molte soddisfazioni, sulla strada e in pista, in linea e a crono, tanto più che stavo in una squadra all’avanguardia, in un gruppo internazionale, in una formazione attenta a farmi progredire per gradi, in un’attività che mi portava a girare il mondo e scoprire i paradisi, a volte un po’ infernali, del grande ciclismo. Penso alla Roubaix: foresta e pavé, ferrovia e miniere, storia e geografia, fango o polvere, maledettamente affascinante. L’ho corsa due volte. Vincerla rimarrà un sogno».
Scintilla Ignazio sembrava un predestinato: ha cominciato a correre a sette anni, 40 vittorie da giovanissimo, 10 il primo anno da esordiente, 10 il secondo anno, 9 il secondo anno da allievo, 5 il secondo anno da junior, 4 da dilettante più altre tre «open», metà dilettante e metà professionista, nel frattempo qualche pensamento e ripensamento. «Non è una vittoria – sostiene – che possa cambiare la vita. È quello che c’è dentro di noi: una scintilla quando si comincia, un falò quando si continua, ma se la fiamma si estingue, meglio dedicarsi ad altro». Per lui, perito agrario, c’è l’azienda di famiglia. «Per imparare il mestiere e i suoi segreti. Ma vorrei andare all’estero per aprirmi verso nuovi orizzonti tecnici, culturali, umani».
Incantesimo Quelli della Bmc hanno tentato di convincerlo a tornare in sella. «Mi hanno chiesto di aspettare, staccare, riposare, e poi ripensarci. Ma l’incantesimo si è spezzato». Quello con il ciclismo, non con la bici. «Ogni tanto esco. Da solo o con gli amici. Certe volte con mio cugino Moreno, se è a casa, se gli orari coincidono. Su strada o, meglio, in mountain bike. La bici è un modo per stare in sintonia con me, con la mia terra, che significa cielo e montagne. Senza mai perdermi fra le nuvole. L’altro giorno, in discesa, da solo – da non crederci - sono caduto».