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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

IBRA: «DAVANTI ALLA MORTE, TUTTO PERDE SENSO»

L’obiettivo è raggiungere quota dieci: ora alla collezione di Palloni d’oro svedesi di Zlatan Ibrahimovic ne manca uno. Zlatan infatti ha ricevuto il Guldboll, il premio della federcalcio svedese e del quotidiano Aftonbladet , per la nona volta. «Voglio vincerne dieci e diventare ancora più storico, ma già così sono contento e orgoglioso. E mi godo i premi più adesso di quando ero ragazzo. Per me tutto gira intorno all’importanza di vincere: nei libri non si parlerà di qualche tunnel che ho fatto sul campo ma dei miei trofei».
Quindi vuole giocare ancora? Con la Svezia Under 21 c’è la possibilità di qualificarsi all’Olimpiade. Andrebbe a Rio da fuori quota?
«Se va tutto bene e se posso rappresentare la mia Svezia, perché no? Non ho mai giocato alle Olimpiadi. Sarò disponibile. Poi bisogna vedere se ci sarà posto per me».
E’ stato infortunato per sette settimane, ora è tornato a giocare. Come si sente?
«Sempre meglio. Ho avuto un problema con il tendine d’Achille, un’infiammazione. Per il dolore non riuscivo neanche a mettermi le scarpe da calcio. Ma ora va meglio. Stare fuori è stata dura, ma la squadra ha vinto le partite che doveva vincere, anche senza di me. Questo significa essere una grande squadra, vincere quando qualcuno manca. E io intanto ho cercato di avere pazienza, anche se non mi viene molto naturale...».
Dicono che lei cominci a essere vecchio...
«Io miglioro con gli anni. Ho avuto due infortuni strani ma per il resto va benissimo. Non penso minimamente alla vecchiaia. Ogni volta che scendo in campo mi godo il fatto di giocare».
Durante la premiazione ha avuto un pensiero per suo fratello, morto di cancro ad aprile scorso, e i giocatori morti poco tempo fa: Pontus Segerström e Klas Ingesson.
«Klas Ingesson è stato un simbolo per tante persone. La sua morte e quella di Segerström sono cose tragiche. Ricordo cosa mi è successo quando è morto Sapko. I trofei e le vittorie, tutto perde senso di fronte a cose del genere. In quei momenti il calcio diventa una cosa di nessuna importanza, non ci pensi, vuoi solo stare con le persone importanti. La mia famiglia, quella che ho creato, e poi l’altra: mamma, papà, il fratello piccolo, le sorelle. La vita cambia velocemente. Bisogna prendere un giorno alla volta e godersela».
Malgrado i suoi infortuni ha avuto una stagione molto buona, con il record di gol nella nazionale. E sta diventando un simbolo per la Svezia. L’avrebbe mai immaginato?
«Quando avevo 17-18 anni ci pensavo già. Tutti ridevano, mi trovavano arrogante, un divo. Dicevano “chi crede di essere, questo ragazzino?!”. Ma ora tutto si sta verificando. E così rispondo a tutti quelli che non ci hanno creduto. E godo, ma non sono sazio».
Nato in Svezia da genitori immigrati. Ora è capitano della Svezia, ha fatto pubblicità per la Volvo, ha rifatto l’inno nazionale ed è sui francobolli. Cosa significa per lei?
«Molto. Se posso aiutare la gente a capire che tutti possono farcela, allora è una bella cosa. Nel calcio c’è solo una religione e tutti sono benvenuti. Io rappresento questo».
Le piace la caccia, la solitudine nel bosco: come è iniziata questa passione?
«Mi è sempre piaciuto pescare, poi un mio amico mi ha convinto a provare la caccia. Ho esitato, non mi sembrava giusto, però mi è piaciuto subito. E ho continuato, facendo la caccia in tutto il mondo. Ma non è solo la caccia. E’ il fatto di uscire nel bosco e sentire quei piccoli suoni della natura, camminando».
Le manca la Svezia?
«Sì, ogni volta che sono in vacanza sento come può essere bella la vita, mi godo la vita in pieno a casa. Ma non voglio farlo troppo, perché forse dopo farei fatica a ritrovare la fame di calcio. Però la Svezia mi manca e continuo a creare il mio mondo, a costruire quello che mi servirà quando smetterò di giocare».
E’ stato criticato ogni tanto per non rispettare le donne, che cosa ne pensa?
«Non è vero. Sono cresciuto con mio padre e quindi, nel mio documentario, ho parlato più di lui. Ma c’è mia mamma nella mia vita e le mie sorelle. E vivo con una donna. Certo che rispetto le donne, non è l’età della pietra ma il 2014».
Con il Psg siete già qualificati per gli ottavi di Champions. Sensazioni?
«E’ una cosa bella: siamo primi nel girone e possiamo vincerlo. Ma la cosa importante è che siamo qualificati per il terzo anno di fila. E’ fantastico, significa che il progetto è forte e continua. Non ci sono limiti per noi».