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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

FABBRICA DELLA MORTE DOPO 30 ANNI GIUSTIZIA

Per trent’anni hanno avvelenato gli operai e ammorbato l’aria del più grande quartiere della città. Sempre impuniti. Per trent’anni nessuno ha visto, nessuno ha letto le denunce, né i referti medici con le radiografie dei polmoni dei lavoratori mangiati dalle fibre di amianto. Per trent’anni operai della Isochimica e cittadini della periferia di Avellino hanno atteso che la giustizia si muovesse. E ieri, finalmente, si è mossa grazie a un procuratore che ama poco i riflettori, e che da tempo ha riaperto tutti i dossier della fabbrica della morte. Carte che erano state insabbiate per anni.
Le indagini sono finalmente chiuse, 29 le persone coinvolte. Sindaci e assessori troppo distratti, anche Paolo Foti (Pd) attuale primo cittadino, funzionari al vertice delle Ferrovie dello Stato, l’azienda che negli anni Ottanta del secolo passato affidò a Elio Graziano il compito di liberare dall’amianto migliaia di carrozze ferroviarie, funzionari che avrebbero dovuto occuparsi della tutela della sanità pubblica e invece si tappavano entrambi gli occhi, un ex assessore (Giancarlo Giordano) oggi deputato di Sel. Un lavoro paziente, lungo, quello del procuratore Rosario Cantelmo e dei suoi sostituti, centinaia di cartelle cliniche analizzate, di operai ascoltati, decine di vedove salite negli uffici della procura per raccontare di mariti morti lentamente divorati dall’asbestosi. Le vittime della voglia di arricchirsi di Elio Graziano, ex ferroviere diventato ingegnere grazie a una laurea conquistata a Parigi , inventore del Tnt (tessuto non tessuto, quelle puzzolenti lenzuola sintetiche dei vagoni letto), negli anni Ottanta del secolo passato amico di politici potenti, dai socialisti della “sinistra ferroviaria” di Signorile, ai comunisti di Salerno, la sua città.
A lui le Ferrovie affidarono il ma-xi-appalto miliardario per la “scoibentazione” (la ripulitura dell’amianto) di tremila carrozze ferroviarie. La fabbrica non c’era ancora e Graziano cominciò a far lavorare i suoi operai sul piazzale della stazione di Avellino. Trecento lavoratori raschiavano le fibre di amianto senza mascherina né tuta, tornavano a casa con gli abiti impregnati di fibre. Vietato parlare di salute all’Isochimica. “L’amianto fa meno male della Coca Cola”, diceva Graziano. E ai sindacati che accennavano qualche timida protesta, replicava a muso duro: “Non mi rompete le palle, qui la gente è arrapata di lavoro”.
Si è andati avanti così per anni. Con l’attività industriale “svolta in modo da diffondere polveri di amianto friabile del tipo crocidolite, la tipologia più pericolosa”, scrive la Procura. Che parla di disastro ambientale per le condizioni di lavoro e “l’illecito smaltimento dell’amianto” che ha generato “un diffuso inquinamento dell’ambiente”. L’Isochimica era stata costruita a ridosso di un quartiere popolare, a pochi metri da un asilo, da scuole elementari e medie, “l’amianto veniva immesso per decenni in ambienti di lavoro e di vita mettendo in pericolo l’incolumità della popolazione locale fino ad oggi”. Nessuno ha visto, il dirigente medico dell’Ufficio operativo amianto della Asl di Avellino “ometteva di effettuare il controllo sanitario sui lavoratori”, si legge nelle carte della Procura, e “indebitamente rifiutava atti del suo ufficio che per ragioni di igiene, sanità e sicurezza pubblica dovevano essere consegnati senza ritardo”.
Graziano accumulava denari e potere. Per tenersi buona la città diventa il presidente della squadra di calcio che gioca in Serie A. Intanto gli operai si ammalavano, qualcuno moriva. 237 su 333 lavoratori con la vita devastata, 15 morti dopo sofferenze durate anni, due si sono suicidati quando hanno appreso delle loro malattie. Un dramma tenuto nascosto per anni, affogato in una città indifferente, dove anche l’Isochimica da risanare era un business.
Tonnellate di amianto conservate in cubi di cemento per decenni esposti alle intemperie, migliaia di quintali interrati davanti allo stabilimento. Nel 2008 la bonifica viene affidata alla “Eurokomet”, un’azienda che si occupa di “progettazione e programmazione pubblicitaria, organizzazione di spettacoli, hotel e ristoranti”. Amianto e cubi sono ancora lì, al loro posto. Parla Nicola Abrate, uno degli operai dell’Isochimica: “Finalmente dopo 25 anni abbiamo giustizia, grazie alla procura e a quegli operai che in questi anni e in perfetta solitudine non hanno mollato. Ma nessuno ci ridarà i nostri compagni che non ci sono più, quelli che come noi cercavano solo un lavoro, ma hanno trovato malattie e morte”.
Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 12/11/2014