Diego Gabutti, ItaliaOggi 12/11/2014, 12 novembre 2014
FATECI CASO, CI SONO TANTE EMERGENZE MA SOLO UNA ALLA VOLTA: SE AVANZA L’EMERGENZA DELLE CASE ABUSIVE A MILANO, ARRETRA QUELLA DELL’EBOLA
In Italia, ormai, non ci sono che emergenze, e tutte da far tremare i polsi, ma non c’è mai, fateci caso, più di un’emergenza alla volta: se l’emergenza zingari e occupazioni abusive delle case a Milano avanza, allora arretra l’emergenza ebola. Di due emergenze, ciascuna delle quali mira alle aperture dei tg e ai titoli di prima pagina, una è sempre di troppo, come due sceriffi in città nei film western. Se non è una legge fisica, poco ci manca. È – diciamo – una legge metafisica.
«Alla lunga, quasi tutti i movimenti religiosi finiscono per scomparire. L’antropologo Richard Sosis ha studiato i tassi di sopravvivenza di un insieme rappresentativo di 200 comunità utopistiche, 7 laiche e religiose, nate nel diciannovesimo secolo, rilevando un modello sorprendente ma prevalente. In media, le comunità religiose sopravvivevano appena venticinque anni. In ottant’anni, nove comunità religiose su dieci, si scioglievano. Le comunità laiche (per lo più socialiste) andavano ancora peggio: duravano mediamente 6,4 anni e 9 su 10 scomparivano in meno di vent’anni» (Ara Norenzayan, Grandi Dei. Come la religione ha trasformato la nostra vita di gruppo, Raffaello Cortina 2014).
In questi giorni il tentato pestaggio di Matteo Salvini, che aveva tento un blitz mediatico in un campo rom bolognese, ha scacciato (per un po’, per qualche ora) tutte le altre emergenze. Non ha oscurato soltanto il ripensamento di Barak Obama, che dopo aver tuonato per un mandato e mezzo contro «le guerre di Bush» ha spedito anche lui 1500 «istruttori militari» in Medio oriente, ma ha messo in ombra persino le dimissioni di Giorgio Napolitano da presidente della repubblica: un evento cosmico, rispetto al quale tutto normalmente sbiadisce. Ma c’è lì il segretario leghista dentro un’automobile, e intorno ultrasinistri assatanati, e tutti insieme vanno in onda nei tg, nella certezza d’aver rubato (per un po’, per qualche ora) la scena a tutti i concorrenti: gli tsunami, Matteo Renzi, i virus ebola, il Gran Rifiuto del presidente Napolitano, le invasioni aliene.
Dopo una lunga, olimpica parentesi di rispettabilità e doppiopetto, un’epoca il cui simbolo restano gli occhiali con la montatura rossa di Bobo Maroni, allo stesso tempo chic e cafoni, la Lega è tornata alle origini.
È di nuovo un partito casinaro di lotta. S’attacca ai rom e alle tasse, gioca la carta nazionalista e quella nazionalistica, ostenta felpe coatte e una cultura da baita d’alta montagna, tutta castagne arrosto e formaggi tipici. Non ha più come obiettivo il governo, come ai tempi del Senatùr, ma il telegiornale delle otto e il talk show di prima serata, dove vuole presentarsi ogni sera con una nuova trovata. Ma le trovate, alla fine, sono sempre una: Roma ladrona e padroni in casa nostra.
«Secondo Jörg Lanz von Liebenfels i puri Ariani delle origini erano capaci di comunicare telepaticamente l’uno con l’altro servendosi di segnali elettronici. Sosteneva che Gesù, figura eminente di ariano, avesse compiuto i suoi miracoli grazie ai suoi poteri elettronici. Tali qualità sovrumane, però, erano state a poco a poco intaccate dall’incrociarsi degli Ariani con esponenti di razze inferiori. A volte gli Ariani venivano obbligati a questi incroci, tanto è vero che secondo Lanz il racconto evangelico delle ultime ore di Gesù, a dispetto di quanto generalmente si supponeva, non ne descriveva il processo e l’uccisione, bensì il tentativo di violenza ai suoi danni da parte di satanici pigmei in vena di sodomia» (Matthew Kneale, Un ateo racconta la fede. Storia di un’invenzione che ha cambiato il mondo, Dedalo 2014).
Intendiamoci: per lo più Matteo Salvini ha ragione. È vero che i rom sono un problema d’ordine pubblico, come lo sono anche gli squadristi dei centri sociali, e che i problemi d’ordine pubblico vanno risolti, pena la catastrofe, come l’Italia ha imparato a sue spese negli anni di piombo. Ma il capotribù leghista è uno di quei politici sgraziati che trasformano le ragioni in torti e l’oro puro delle buone cause in intolleranza e carbone.
Lui non ne ha colpa: è la sua faccia. È la sua mancanza di stile. O meglio è «il suo sarto», come ha detto (più o meno) Vittorio Feltri. A Salvini non si perdona nulla, manca d’appeal, «veste da cane», non è simpatico.
Per apprezzarlo bisogna essere taragni all’ultimo stadio, polentadipendenti, che segnaliamo qui ai reclutatori dei Taragni Anonimi.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 12/11/2014